La pietà per i morti. La preoccupazione per le macerie che hanno sepolto il diritto internazionale. Ma anche la speranza suscitata da un movimento planetario che si oppone all’arroganza dei “liberatori”.
Dalla "politica di difesa comune" al riarmo dell'Europa. Effetti, azzardi e costi del nuovo "realismo": e le obiezioni economiche di fondo alla politica di George Bush.
Quando Saddam Hussein era un amico. Servizio fotografico sul bellicismo irakeno ai tempi in cui era supportato dall'Occidente.
Da Narcomafie, mensile del Gruppo Abele di Torino.
Non saranno gli attentati di questi giorni, e i prossimi prevedibili, a indurre gli Stati Uniti a rinunciare ai propri progetti. Il confronto strategico con la Cina, le dinamiche interne agli stati islamici, il ruolo di Francia, Germania , Russia e quello dell'Europa.
La retorica patriottarda sulle vittime (non "eroi"!) di Nassiriya copre il problema vero: che il terrorismo lo si sconfigge non con le guerre e le invasioni, ma con l'azione politica, la giustizia economica, la legalità internazionale.
Dopo Nassiriya, che basi ha la rinascita del sentimento patriottico? Che relazione con le contrapposizioni di religione, la propaganda sulla lotta al terrorismo? A colloquio con i prof. Sergio Fabbrini e Massimo Giuliani.
“Nessuno ha un progetto complessivo per il futuro dell’Irak; per questo c’è di che essere pessimisti”. A colloquio col sociologo italo-irakeno Adel Jabbar.
E' ormai evidente il fallimento della guerra come risposta al terrorismo. Però, mentre la 'vecchia Europa' riacquista spazi, la sinistra italiana stolidamente si divide.
Il ritiro delle truppe è la sola decisione ragionevole. posizione condivisa anche da Spagna, Francia e Germania. Eppure viene presentata come "estremista".
Dalla tremenda vita quotidiana alle incerte prospettive future; all'unico esito positivo, la fine dell'occupazione. A colloquio col sociologo irakeno Adel Jabbar.
Dopo il rapimento delle due Simone: le Ong, le manifestazioni congiunte con gli islamici, la possibilità di sfuggire alla spirale terrore-odio-guerra. La lezione, i limiti, il nuovo importantissimo ruolo delle esperienze di volontariato internazionale.
Il terrorismo, purtroppo, è una strategia militare di cui molti (ieri come oggi) si sono macchiati. Presentarlo come il grande Nemico nasconde le vere cause dell’instabilità mondiale.
La diserzione e l'elogio del disertore sono, per fortuna, accadimenti tutt'altro che insoliti nel corso della storia. Qualche considerazione storica in margine alla recente polemica sul monumento al disertore di Rovereto.
L’insicurezza, i clan, la condizione della donna, e uno sviluppo dovuto soprattutto ai soldi della droga.
Da Narcomafie, mensile del Gruppo Abele di Torino.
Dal male della guerra irakena sortisce il bene di una pur limitata, ma significativa, prova di democrazia. Ma il giudizio complessivo sulla guerra di Bush non può cambiare.
Riflessione dopo la morte di Nicola Calipari, uno tra i tanti orrori irakeni, solo per noi più doloroso. E la causa prima di tutto è sempre quella: la guerra preventiva.
Qualche bandiera arcobaleno resiste ancora. In attesa della prossima guerra preventiva? Ragionamenti e umori del popolo delle bandiere, oggi riarse, sfilacciate, corrose; o portate via dal vento.
L'invasione dell'Irak, un'avventura criminale, per di più fallita. E non serve a nulla piangere i morti: il nuovo governo faccia l'unica cosa saggia e doverosa, andare via.
Dopo “Flags of our fathers”, Clint Eastwood racconta la battaglia di Iwo Jima dal punto di vista dei giapponesi. E pur all'interno di un buon film, ineccepibile, il regista non riesce a volare così alto e scavare nel profondo come aveva fatto con il punto di vista americano.
Militarista, grondante di retorica patriottarda e fascistoide, il film-fumetto su Leonida alle Termopili può essere letto come una chiara allegoria politica: pro interventismo americano. Se si passa sopra a tutto questo, e al compiacimento verso una violenza continuamente esibita, si può trovare una narrazione tesa ed incalzante, in un prodotto ben confezionato.
Se lo scopo è distruggere i Taleban, 30.000 soldati sono assolutamente insufficienti. Se è invece la pacificazione, l'azione militare di stranieri ferisce l’autonomia di un popolo e ne perpetua la disgregazione. E allora?