La tortura e la guerra
Sui giornali di questi giorni sono apparsi numerosi articoli sullo scandalo delle torture in Iraq, manifestando orrore e indignazione. Uno in particolare ha colpito la mia attenzione, perché va nella direzione opposta. Su Il Mattino del 10 maggio il prof. Umberto Curi ha scritto un’interessante riflessione sulla guerra e le torture praticate ai prigionieri iracheni da parte dei militari anglo-americani. Egli definisce ipocrita lo stupore e l’indignazione che Governi e popoli hanno manifestato. Ciò sarebbe frutto di ignoranza, o di malafede, perché la tortura non sarebbe un’eccezione, ma piuttosto "il pieno compimento di ciò che è alla base della guerra". Secondo il prof. Curi "lo specifico principio di individuazione della guerra è quello di essere ‘legibus solutus’", svincolato da ogni legge, e ricorda in proposito l’antico detto "sileant leges in bello" (tacciano le leggi durante la guerra).
Io stimo moltissimo Umberto Curi come docente universitario, come scrittore e come persona, e mi onoro di essergli amico, tuttavia non riesco a convincermi della correttezza della tesi da lui sostenuta. Secondo me la guerra è una cosa, e la tortura un’altra. Molti Stati praticano o tollerano la tortura anche in tempo di pace. Anche l’Italia: nessuno ha ancora dimenticato i fatti di Genova e di Bolzaneto, o il processo ai Ros a Padova qualche anno fa all’epoca del terrorismo. Tutti sanno ciò che spesso accade nelle camere di sicurezza della Polizia o dei Carabinieri. Eppure l’Italia è uno Stato di diritto e una democrazia. Mi permetto di contestare il principio da cui parte il ragionamento del prof Curi: che la guerra sia il precipitare del conflitto (che è condizione fisiologica dei rapporti tra individui e fra Stati, regolato dalle leggi di pace) nel conflitto patologico (la guerra) oltre ogni limite, oltre ogni vincolo morale, giuridico e religioso. Ciò varrebbe in particolare per la guerra moderna definita totale. In assenza di regole (leggi) non sarebbe più possibile distinguere quali comportamenti siano leciti e quali no.
Se il prof. Curi avesse ragione, perché sarebbe stato condannato Erich Priebke per il massacro delle Fosse Ardeatine? Un processo inutile e una condanna ingiusta. Senza leggi è impossibile distinguere l’eroe dal criminale, e ogni comportamento diventa lecito. Io invece sono convinto che anche nelle guerra moderna, totale o asimmetrica, permangano regole morali e giuridiche codificate, internazionalmente riconosciute. Esse sono state troppo spesso violate dai nazisti nella seconda guerra mondiale ma anche dagli Alleati (vedi Dresda, Hiroshima e Nagasaki, le fosse di Katin, l’orrore del Vietnam, e oggi le torture in Iraq, dove si doveva esportare la democrazia (questa sì è ipocrisia!).
Non è affatto vero che nella guerra il militare sia "legibus solutus": egli rimane pur sempre un uomo, e quindi necessariamente soggetto e oggetto di regole. Secondo le nostre leggi militari, per fare un esempio, il militare può e deve disobbedire ad un ordine illegittimo. Se un comandante in un’azione di guerra gli ordina di sparare a una donna, civile e inerme, il soldato può rifiutarsi di obbedire. Se obbedisce, spara e uccide, ne risponde di fronte alla Corte marziale. Ciò aiuta a capire perché la guerra, questo scivolare del conflitto fisiologico (regolato dalle leggi di pace) nel conflitto patologico (la guerra, regolata dalle leggi di guerra) sia contrastato non solo dallo sforzo di ristabilire la pace, ma anche da quello di impedire l’imbarbarimento della guerra. La Convenzione di Ginevra non è una formalità ipocrita, ma corrisponde a esigenze di carattere morale, politico e giuridico, non eliminabili.
La tortura quindi non è una conseguenza necessaria della guerra. Si può fare (ed è male) la più devastante delle guerre per gli scopi più immorali e detestabili, senza per questo fucilare i prigionieri di guerra o torturarli. Se non si distingue la tortura dalla guerra, si arriva a giustificare persino lo sterminio degli Ebrei.
La natura criminale della guerra non può costituire un alibi per la tortura dei prigionieri e dei detenuti, vietata dal diritto interno, internazionale e dalla convenzione di Ginevra. Il modo di condurre la guerra è vincolato a regole morali e giuridiche che, dentro il crimine della guerra, permettano di distinguere e di condannare altri delitti e di distinguere il comportamento corretto di un esercito da quello scorretto e colpevole di un altro. Io la penso così.
Per concludere, la vera vergogna che desta stupore e indignazione è l’affermazione del nostro Governo di non essere stato informato dagli altri membri della coalizione e di aver appreso delle torture dai giornali e dalle foto scioccanti delle TV. Affermazione non credibile. In Iraq ci sono le nostre Forze Armate, c’è l’intelligence militare, i servizi segreti, gli informatori iracheni e i nostri diplomatici.
Le proteste irachene avanti la prigione di Abu Ghraib contro la tortura si susseguono da mesi. E’ mai possibile che i nostri servizi segreti e i nostri diplomatici, se non altro per salvarsi il "culo", non abbiano informato i vertici militari e questi il Governo? La menzogna sarà presto svelata e Berlusconi il bugiardo sarà seppellito da uno sghignazzo.