Bush: uno smacco dopo l’altro
Nella notte della ragione in cui, a me sembra, sono caduti gli Stati Uniti dopo il terribile 11 settembre, è facile scambiar lucciole per lanterne perché le nostre speranze amplificano i segni come fa il vento con i fuochi fatui. Eppure negli ultimi mesi sono accaduti fatti non equivoci.
Quindici giorni fa il Senato con 79 voti favorevoli e 19 contrari ha ordinato al presidente Bush di riferire ogni tre mesi al Congresso sulla situazione in Iraq. Ciò rappresenta una significativa riduzione dei poteri del Comandante in Capo: una sorta di briglia posta attorno al collo di Cavallo Pazzo che gli impedisca di trascinare nella sua probabile rovina l’intero popolo americano.
Un altro segnale confortante è quello dato dal stesso Senato sui diritti dei prigionieri di Guantanamo, che potranno finalmente, in caso di condanna dei Tribunali militari, fare appello alle Corti civili. Un successo voluto fortemente dal senatore repubblicano John Mc Cain, eroe del Vietnam e probabile candidato repubblicano alla Casa Bianca nel 2008. Nel mese di novembre è stata scoperta una prigione segreta nei sotterranei del Ministero degli Interni a Baghdad dove erano detenuti circa 170 iracheni sunniti denutriti e torturati. Il presidente iracheno ha subito ordinato un’inchiesta e le forze di occupazione USA non lo hanno impedito, ma anzi sollecitato!
Sul fronte interno un sondaggio Gallup rivela che nel mese di novembre 2005 il presidente Bush ha moltiplicato tutti i suoi record negativi: solo il 37% degli americani approva oggi il suo operato (appena nel febbraio scorso era il 57%) e il 63% è contro la guerra (era il 48% a febbraio). Ciò fa scrivere a Vittorio Zucconi, attento e preparato inviato di Repubblica negli USA, che "oggi l’America non crede più a Bush".
Molto significativa è la fuga dei fedelissimi che non amano più, almeno in questo periodo, farsi vedere troppo legati al Presidente. Alcuni lo dicono apertamente: "Il fatto che il Presidente sia venuto a fare un comizio con me la sera prima del voto - ha detto il candidato repubblicano James Kilgore - è stato più un danno che un aiuto".
L’enorme scalpore suscitato nel mondo dall’uso di bombe al fosforo a Falluja, e la quasi ìmmediata conferma da parte del Pentagono, costituiscono a mio giudizio un altro segnale non equivoco. "Gli Stati Uniti hanno usato il fosforo bianco in Iraq e a Falluja come arma incendiaria contro combattenti nemici" ha dichiarato il portavoce del Pentagono Barry Venable alla inglese BBC. E’ un’ammissione che in altri tempi non sarebbe stata fatta. Ma forse era impossibile tacere dì fronte al filmato che ha fatto il giro del mondo, in cui si vedono corpi carbonizzati ma con le vesti (civili) intatte, effetti "tipici del fosforo bianco" (Claudia Pisani in Repubblica del 16 novembre).
E’ recente la notizia che 400 "insurgents" (insorti non terroristi, come li chiamano gli americani) hanno occupato e tenuto per 48 ore la città irachena di Ramadi: nessun civile, nessun militare iracheno o americano è stato ferito o ucciso. La notizia ha occupato i giornali e le televisioni, oscurando l’ultimo delirante discorso di Bush: "Fino a quando sarò io il Comandante in Capo, l’America non fuggirà dall’Iraq". Molti credono di sapere che invece un piano di ritiro è già pronto, prima che sia troppo tardi e gli americani siano costretti a fuggire come in Vietnam.
Forse sono un ottimista e vedo lanterne dove sono lucciole. Eppure nella notte della ragione qualche luce si è accesa: la speranza, come si sa, è l’ultima a morire.