Il senatore a pile
Cristano de Eccher, da piazza Fontana a Palazzo Madama. È lui il custode dei timer della strage? Ora siede nei banchi del Senato, come il giudice che lo investigò, Gerardo D’Ambrosio.
Del senatore trentino Cristano de Eccher (Pdl) e del suo passato, non intendevamo occuparci. Estremista di destra, più nazista che fascista, picchiatore, implicato nello stragismo. Ora veste il doppiopetto di senatore, non andiamo a rivangare. E invece no: bello bello presenta in Parlamento una proposta di abolizione della norma (costituzionale) che proibisce la ricostituzione del partito fascista. E allora il passato è giusto ricordarlo. Anche perché è doveroso che gli elettori trentini sappiano chi mandano a Roma a rappresentarli.
Di seguito riportiamo ampi stralci da un articolo di Gianni Barbacetto apparso su Micromega, a proposito delle implicazioni di de Eccher nella strage di piazza Fontana. E a seguire una nostra ricostruzione della carriera di picchiatore (poi picchiato) nella Trento dei primi anni ‘70 dell’attuale senatore della Repubblica.
Sul sito del Senato c’è la sua foto (sorridente), la data di nascita (16 agosto 1950, a Bolzano) e la professione (insegnante di chimica e scienze naturali). La sua storia no, non è scritta. Eppure sarebbe lunga e istruttiva, un pezzo della storia recente d’Italia. Cristano de Eccher, dopo le elezioni dell’aprile 2008, è entrato a Palazzo Madama. Lì ha ritrovato una sua vecchia conoscenza, Gerardo D’Ambrosio. I due, oggi, sono entrambi senatori della Repubblica: D’Ambrosio siede nei banchi del Pd, de Eccher in quelli del Pdl, area Alleanza nazionale.
Ma quando le loro vite si sono incrociate per la prima volta, tanti anni fa, i loro ruoli erano diversi. D’Ambrosio aveva 43 anni, era magistrato a Milano e indagava sulla strage di piazza Fontana. De Eccher aveva 23 anni ed era un neofascista di Trento, responsabile triveneto del gruppo Avanguardia nazionale.
Era il 1973. Dopo i primi depistaggi che per la strage avevano portato all’incriminazione dell’anarchico Pietro Valpreda, D’Ambrosio aveva seguito la via aperta dal giudice di Treviso Giancarlo Stiz: “pista nera”, l’avevano chiamata, e portava diritta ai neofascisti veneti di Ordine nuovo e di Avanguardia nazionale. Dunque, il 20 marzo 1973, D’Ambrosio spedisce i carabinieri a perquisire un appartamento di Trento, in via Cesare Abba 6. È l’abitazione di Cristano de Eccher, finito nelle indagini per i suoi stretti rapporti con Franco Freda, allora in carcere con l’accusa di essere l’organizzatore della strage. Il giovane de Eccher, discendente di una nobile famiglia del Sacro Romano Impero proprietaria del castello di Calavino, nei pressi di Trento, era una delle poche persone che, in virtù delle sue nobili origini, si dava del tu con Franco Freda.
Le pile
Quel giorno di marzo del 1973, a Trento, il bottino della perquisizione a casa de Eccher è comunque scarso: qualche opuscolo e qualche volantino che chiedono la liberazione di Freda e 78 pile elettriche. Le pile incuriosiscono i carabinieri, che le segnalano nel loro verbale. Che se ne fa uno di ben 78 pile elettriche in casa? Cristano risponde: “Mi servono per i miei hobby”. Sua madre, invece, dà un’altra spiegazione: “Servono per far giocare i figli del colonnello Santoro”. Le pile in quegli anni e in quegli ambienti erano ferri del mestiere, servivano a confezionare ordigni a orologeria.
La storia della perquisizione torna alla ribalta molto tempo dopo, negli anni Novanta, quando un altro giudice milanese, Guido Salvini, indagando ancora su piazza Fontana, viene in possesso di alcuni documenti dei servizi segreti militari. Il giudice Salvini si chiede: come mai per una manciata di pile buone per un trenino elettrico si mette in moto l’intera catena di comando del servizio segreto militare?
Salvini dà una risposta inquietante: evidentemente Cristano de Eccher “era un personaggio per nulla secondario, che tuttavia è riuscito sempre a tenersi ai margini delle indagini della magistratura, e il cui ruolo non è stato ancora messo nella giusta luce”. Cristano de Eccher è infatti, secondo le testimonianze filtrate dall’interno del mondo dell’eversione nera, nientemeno che il custode dei timer di piazza Fontana.
Conclude Salvini: “Dall’appunto del colonnello Viezzer, fortuitamente ritrovato, emerge comunque che (...) Cristano de Eccher, il custode dei timer di piazza Fontana, e i suoi camerati della cellula trentina erano da molto tempo ‘coperti’ dal Comando carabinieri di Trento e molto probabilmente dal Centro Cs di Verona, che all’epoca disponeva di un sottocentro a Trento. Per quali scopi e con quali modalità probabilmente non lo sapremo completamente mai, anche se certamente tale copertura si riferiva non solo alle attività locali del gruppo, ma anche ai fatti del 12 dicembre e alla necessità di occultare la verità su tale operazione”.
Il colonnello Santoro non è un carabiniere qualsiasi. È un uomo legato ai servizi segreti militari. Secondo Eliodoro Pomar (un ingegnere nucleare scappato in Spagna dopo aver ricevuto un mandato di cattura per il golpe Borghese) è un componente della rete occulta composta da ufficiali dei carabinieri e dai “neri” Stefano Delle Chiaie, Paolo Signorelli, Mario Merlino, Franco Freda e Giovanni Ventura. Ecco allora l’ipotesi conclusiva del giudice Salvini: che “il colonnello Santoro fosse, all’interno dell’Arma, uno stabile punto di riferimento per i gruppi di estrema destra e fosse disponibile, probabilmente tramite qualche sottufficiale, a fornire aiuto sul piano logistico, procurando materiale esplosivo da utilizzarsi in attentati “diversivi”, che dovevano cioè essere attribuiti ai gruppi di sinistra”.
I Timer
I timer di piazza Fontana: sono questi il grande segreto di Cristano de Eccher. Aggiunge infatti il giudice Salvini: “Se de Eccher, come pare ormai certo, ancora deteneva in quel periodo parte dei timer utilizzati per gli attentati del 12 dicembre 1969, la perquisizione ordinata dal giudice D’Ambrosio avrebbe potuto consentirne il ritrovamento con conseguenze catastrofiche per il gruppo di Padova e per coloro che all’interno del Servizio avevano offerto loro copertura”.
Che de Eccher riceva i timer avanzati dopo gli attentati a Milano e Roma del 1969 lo scrive Pomar, in un suo memoriale del 1977. Lo testimoniano i “pentiti” Angelo Izzo e Sergio Calore nel processo di Bari per la strage di Milano. Ma sul punto non viene raggiunta alcuna certezza. La vicenda è poi ricostruita negli anni Novanta dal giudice Salvini.
Quei timer facevano parte di un lotto di cinquanta, comprati il 15 settembre 1969 personalmente da Franco Freda a Bologna presso la ditta Elettrocontrolli, costo 80 mila lire. Quelli non utilizzati per gli attentati del 1969, secondo i racconti che vengono dall’interno della galassia nera, sono custoditi da de Eccher, che li fa scomparire e, secondo il giudice Salvini, utilizzati come strumento di pressione, se non di ricatto, nei confronti di Freda.
Le sue imprese
Quella dei timer non è l’unica storia nera del curriculum di Cristano de Eccher. Secondo un rapporto del 21 gennaio 1971 inviato al Sid dalla fonte Avorio, nel gennaio ‘71 de Eccher, insieme ai fratelli Cecchin, avrebbe organizzato, scrive il giudice Salvini, “un addestramento alla guerriglia sulle pendici della Maranza, una zona montuosa nei pressi di Trento”. Il gruppo “avrebbe avuto a disposizione 50 chili di esplosivo rubato in cantieri della zona, detonatori e quattro moschetti modello 91. Tale esplosivo era destinato ad attentati da compiere a Trento in danno dell’Istituto di Sociologia, della Questura e del Tribunale”.
Nel 1972 avrebbe invece avuto un ruolo in un attentato sulla linea ferroviaria Trento-Verona. Racconta Vincenzo Vinciguerra: “Posso dire per la prima volta che sono al corrente di un episodio di cui mi parlò Mario Ricci, esponente di Avanguardia nazionale a Trento, nel 1974-75 a Madrid, dove ci trovavamo entrambi. Egli mi disse che una sera ricevette l’ordine di recarsi con altri camerati sulla linea ferroviaria nelle vicinanze di Verona per compiere un attentato dimostrativo. Successivamente qualcuno li raggiunse e disse loro di fare ritorno a Trento e che l’attentato non si doveva più fare, infatti non venne compiuto. Mario Ricci aggiunse che l’ordine glielo aveva dato Cristano de Eccher”.
Ma il giovane neonazista viene arrestato per la prima volta solo nel giugno 1973, per un fallito attentato a Gardolo contro l’auto di uno studente di Lotta continua. È scarcerato dopo un mese. Arrestato di nuovo nel novembre 1975 come organizzatore delle attività eversive di Avanguardia nazionale, è condannato a due anni. Al giudice Salvini, che prima di interrogarlo nel 1992 gli chiede i precedenti penali, risponde: “Sono già condannato per oltraggio a pubblico ufficiale e a due anni di reclusione per ricostituzione del disciolto partito fascista”.
Per il resto, nulla di penalmente rilevante. Anche Salvini ha dovuto infine emettere sentenza di non doversi procedere perché i fatti o erano non sufficientemente provati, o erano prescritti. Ma de Eccher non ha ricorso in appello per ottenere un proscioglimento nel merito. Cristano sostiene comunque di aver abbandonato completamente l’attività politica dopo il 1973. Se intemperanze ci furono, dunque, si tratta di errori di gioventù. Peccato che Cristano sia smentito da un camerata calabrese, Carmine Dominici, il quale racconta di averlo incontrato (“un giovane alto, biondo e distinto”) nel1975 a una riunione riservata con Delle Chiaie a Pomezia, nella villa di Frank Coppola, in cui fu discussa l’unificazione di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale. L’unificazione poi non si fece. Si è quasi fatta invece, tanti anni dopo, quella tra Alleanza nazionale e Forza Italia: così de Eccher, dopo essere stato militante del Msi e poi consigliere provinciale di An a Trento, è stato eletto senatore del Popolo della libertà.
Una carriera da picchiatore
La recente preoccupante sortita del senatore trentino Cristano de Eccher sul via libera alla ricostitu-zione del partito fascista, non deve aver stupito chi possiede un po’ di memoria storica. Nel 1970, de Eccher era infatti il leader trentino di Avanguardia Nazionale, nerboruta formazione neofascista e golpista che vantava, peraltro, anche una rappresentanza in Consiglio comunale.
Non andava certo per il sottile, il senatore. La sua carriera inizia da minorenne, nel 1967, con un processo per furto nel quale beneficia del perdono giudiziale. Dal 1972 al 1981, poi, inanella una serie di visite al tribunale. Divulgazione di stampa clandestina, oltraggio aggravato e resistenza a pubblico ufficiale, minaccia, vilipendio, manifestazioni fasciste, fabbricazione di ordigno esplosivo, detenzione di materiale esplosivo, lesione volontarie, intimidazioni. Alcune si risolvono in assoluzioni per insufficienza di prove, altre vengono amnistiate, altre ancora si traducono in condanne ad ammende o periodi di reclusione. La più celebre è senz’altro la condanna a due anni di carcere per riorganizzazione del partito fascista.
Un curriculum di tutto rispetto. Di un uomo tutto d’un pezzo, che qualche anno fa confidava, durante un’intervista, a Fabrizio Franchi: «È vero, ho anche menato le mani, ma ho rispetto per i miei avversari, per quelli che dicono a viso aperto quello che pensano, non per i democristiani».
Menato le mani, sì. Diciamo pure: la sua “attività politica” fu improntata alla pura violenza. Cui risposero, poco inclini a porgere l’altra guancia, i giovani del Movimento studentesco e di Lotta Continua. Sandro Schmid, nel libro “1969 autunno caldo trentino”, riporta alcune delle azioni nelle quali de Eccher fu direttamente implicato. L’organizzazione di un campo paramilitare sul Monte di Mezzocorona (1971). La partecipazione al convegno nazionale degli Arditi (1972). Le minacce di morte a Mario Pelz (1973). Il tentativo di attentato dinamitardo messo in atto, con l’avanguardista Mario Ricci, in via Paludi, a Gardolo, ai danni di uno studente simpatizzante di Lotta Continua (1973). Il pestaggio di uno studente roveretano (1973).
Ciò di cui resta maggiore memoria, tuttavia, è la sequenza di fatti che lo portò, nel 1972, al ricovero in ospedale. La mattina dell’11 aprile, davanti al liceo “Prati”, de Eccher partecipa, con altri aderenti ad Avanguardia Nazionale (capeggiati dal consigliere comunale Quinto Massimo Marchesini), alla distribuzione di un volantino e all’esposizione di due dazebao riportanti scritte dall’anelito sincopato e vagamente farneticante: “Cinesi la legge vi perdona noi no” e “Italia Europa rivoluzione”. Il tutto condito da croce runica. Del gruppetto dei neofascisti - nota di colore - fa parte anche un insospettabile Alberto Pattini (presidente del Consiglio comunale di Trento nella scorsa legislatura; e peraltro molti dei nomi che di seguito ricorrono, hanno ricoperto e ricoprono cariche di un certo prestigio, anche se non al livello di quella di de Eccher). Alla consegna del volantino, uno studente del liceo lo strappa; alcuni altri cercano di rimuovere i dazebao: scoppia lo scontro, e gli avanguardisti iniziano a menare le mani, mandando tre studenti all’ospedale. Tra essi c’era Loris Taufer, che dichiarerà agli investigatori: «Mentre mi difendevo dall’aggressione del Pattini, venivo colpito alla mandibola [...] dal de Eccher Cristano. Inoltre il de Eccher mi ha rincorso per le scale dell’istituto, colpendomi alle spalle con un manganello». La voce si sparge, e in tarda mattinata un gruppo di studenti medi e di Sociologia fa irruzione, sfondando la porta, nella sede (vuota) di Avanguardia Nazionale, in via S. Maria Maddalena, e danneggia il ciclostile, il giradischi e qualche altro oggetto. La polizia arriva e identifica, tra gli altri, Fernando Guarino e Renato Troncon. I manifestanti si disperdono temporaneamente, ma tornano sul posto nel tardo pomeriggio: la sede di A.N. non è più vuota, e la polizia si frappone tra studenti e avanguardisti, senza però poter impedire il lancio di sanpietrini (da parte dei primi) e mortaretti (da parte dei secondi). La tensione sale. Il neofascista Riccardo Leveghi viene fermato in via Oriola e bastonato, e la stessa sorte tocca, in via Manci, allo studente di Sociologia Giuseppe Roncone. Il 12 aprile è domenica. Cristano de Eccher, appena uscito dal cinema, passeggia con la fidanzata (e futura moglie) Maria Cristina Corsi per le vie del centro. In Piazza Pasi viene affrontato da un gruppo di giovani armati di bastoni, fra i quali riconosce Mario Postal e Giovanni Endrici (successivamente processati, condannati e amnistiati): sfugge alle prime botte, ma poi viene raggiunto in via Dordi, bastonato e mandato all’ospedale con il cranio sfondato; vi resterà diverse settimane.
Senza però perdere lo smalto. Né la verve: «Quando io fui picchiato dall’Endrici è vero che avevo in tasca una pistola ma era scarica», dichiarerà durante l’interrogatorio del 20 marzo 1973. Goliardia e buone intenzioni, insomma, o forse un malinteso senso cavalleresco, in realtà paravento di una preoccupante propensione alla violenza; il tutto viatico alla futura carriera parlamentare. Spiegava ancora a Fabrizio Franchi il senatore: «Sono soddisfatto dell’immagine che lascio a mio figlio, la considero pulita». La fedina penale è un altro paio di maniche.
Luca Facchini