Porfido: perché non va abbassata la guardia
Da Rosy Bindi ai Litfiba: attenzione alla ‘Ndrangheta
Già a metà luglio, durante la visita a Trento della Commissione parlamentare antimafia, la sua presidente Rosy Bindi aveva sottolineato come il settore del porfido fosse a rischio di infiltrazioni ‘ndranghetiste. “Campanelli d’allarme trentini: riciclaggio, caporalato, il caso porfido”, così sottotitolava sul quotidiano L’Adige del 13 luglio 2017, l’articolo di Francesco Terreri in cui si dava la notizia.
Il giorno successivo lo stesso quotidiano pubblica un articolo a firma di Andrea Bergamo nel quale si ricorda che “le connessioni con la criminalità organizzata erano emerse alcuni anni fa nell’ambito dell’inchiesta Aemilia e riguardavano in particolare l’azienda Marmirolo Porfidi srl (sede legale a Trento e cava in provincia di Mantova)”. Nell’articolo si parla di “rischi di infiltrazione della criminalità organizzata, in particolare della ‘Ndrangheta”, che “sarebbero legati in particolare alle concessioni per l’attività estrattiva”. “Riteniamo che questo settore non vada sottovalutato per via delle vicende pregresse” avrebbe dichiarato l’on. Bindi.
Il 31 luglio è stato il Fatto Quotidiano a riprendere la questione, ma la cosa non ha destato particolare clamore in Trentino e nella stessa zona del porfido: non essendo quel giornale molto diffuso, si poteva tranquillamente far finta di niente.
Ci sono voluti i Litfiba ad attirare l’attenzione su questo aspetto quando, nel loro concerto a Castellano il 2 agosto, hanno spiazzato tutti ricordando, per bocca di Piero Pelù, che “la mafia c’è ovunque, anche in Trentino”. Pelù ha parlato della vicenda di Marco Galvagni, segretario comunale di Lona-Lases, al quale è stata tolta la responsabilità sul settore estrattivo nella nuova gestione associata, dopo che lo stesso ha denunciato all’Anac le infiltrazioni della ‘Ndrangheta nel mondo del porfido. Al suo posto, come si legge nell’articolo dell’Adige del 4 agosto a firma di Domenico Sartori, i Comuni coinvolti nella gestione associata (Albiano, Lona-Lases, Segonzano e Sover) hanno nominato la giovane avvocata perginese Maria Luisa Offer, assunta il 17 luglio per un anno ma prorogabile fino alla conclusione della legislatura. Proprio questo non la mette certo in condizione di affrontare da una posizione di forza le delicate questioni legate all’attività estrattiva, ancor più in un contesto nel quale le Amministrazioni locali sono fortemente condizionate dalla lobby dei concessionari di cava.
La solidarietà espressa a Galvagni da Pelù non è stata però ben accolta da tutti nella zona del porfido; qualcuno infatti ha affermato stizzito: “I Litfiba pensino a suonare!”.
Il Trentino “è una provincia sana”
Certo non dev’essere stato contento nemmeno il presidente Ugo Rossi che, commentando i dati relativi ad un’indagine statistica “volta a rilevare la percezione della presenza di infiltrazioni criminali e del fenomeno della corruzione” nei settori delle costruzioni e dei trasporti, nell’ottobre 2016, parlava di “territorio in cui sono corretti i rapporti tra le imprese, la comunità e le istituzioni”. La citazione è tratta dall’articolo dell’Adige del 26 ottobre 2016 titolato: “Trentino, legalità diffusa”, nel quale si legge che “il Trentino è una provincia sana” che “ha una percezione ridotta della presenza di criminalità organizzata e corruzione e, ancora meno, ne ha un’esperienza diretta”.
Purtroppo il quadretto rassicurante è smentito dall’ articolo del Fatto Quotidiano sopra citato e titolato: “Mafie: Roma cerca le prove, al Nord regna la ‘Ndrangheta”, nel quale è esposto un quadro relativo alla presenza mafiosa o più precisamente ‘ndranghetista nelle regioni del nord, sulla base delle inchieste fin qui condotte dalla Magistratura. Dalla Lombardia al Piemonte, dalla Liguria all’Emilia Romagna, al Veneto passando per il Trentino-Alto Adige, sottolineando come in quest’ultima regione siano state 870 le operazioni bancarie o finanziarie dietro le quali si poteva celare riciclaggio di denaro sporco segnalate nel 2016. Nell’articolo è citata anche la vicenda di Galvagni che da anni denuncia l’infiltrazione dei “calabresi” nel mondo del porfido.
Tra l’altro il segretario comunale ha messo in evidenza la presenza operativa in Trentino di una ‘ndrina importante come appunto quella legata alla famiglia Grande Aracri, ben radicata anche in Germania. A questo proposito il Fatto Quotidiano ricorda l’inchiesta “Aemilia”, che attraverso la ditta Marmirolo Porfidi srl lambì anche il Trentino e più precisamente il settore del porfido, in relazione alla quale è in corso a Reggio Emilia un maxi processo che vede tra i testimoni l’ex sindaco e oggi ministro Graziano Delrio. Nell’articolo si precisa che non vi sono accuse a suo carico ma si accenna a “responsabilità politiche” in relazione ad un viaggio a Cutro, regno della famiglia Grande Aracri, per partecipare ad una processione.
I boss di questa ‘ndrina sono ritenuti tra i principali responsabili dello sbarco al Nord e il segretario Galvagni ha denunciato, in una dettagliata relazione presentata ai sindaci all’inizio di marzo, conflitti di interesse, incroci societari e presunte infiltrazioni ‘ndranghetiste.
Ne dava notizia un ampio servizio dell’Adige del 17 marzo 2017 curato da Domenico Sartori e Francesco Terreri, nel quale vengono illustrate le vicende della Marmirolo Porfidi srl al centro di un processo per bancarotta fraudolenta che portò alla condanna dei fratelli Cesare e Antonio Muto, che ne avevano preso il controllo attraverso la Cms srl ed erano titolari anche della Materiali Inerti Nord che avrebbe lucrato acquisendo beni e rami della società fallita. Galvagni ricordava che nella Marmirolo Porfidi srl rivestiva la carica di amministratore unico Giuseppe Battaglia, il quale aveva ricoperto la carica di assessore all’Industria nella prima amministrazione guidata dal sindaco Marco Casagranda a Lona Lases e rivestito cariche nella società Camparta srl dei fratelli Carlo e Tiziano Odorizzi.
Per completare il quadro il segretario comunale sottolineva come Antonio Muto risulti tra i soci della Immobiliare San Francisco srl assieme a Michele Pugliese (condannato a Bologna per riciclaggio e intestazione fittizia di beni e considerato uomo delle cosche Arena-Nicosia di Crotone) e Salvatore Grande Aracri.
Non sono però solo i politici a far finta di nulla, anche il sindacato confederale in questi anni ha fatto orecchie da mercante e ancora oggi, di fronte a denunce e fatti, Maurizio Zabbeni, segretario della Fillea-Cgil “spiega di non avere riscontri puntuali a questi dati” (il Trentino 3 agosto 2017), pur ammettendo: “Sicuramente nel porfido che attraversa una drammatica crisi esiste il lavoro sommerso e non escludo nulla. Bene, che si faccia luce, noi lavoriamo per ridurre dinamiche perverse che denunciamo da anni e la riforma Olivi da poco approvata ci aiuterà”.
La legge migliore d’Italia?
A commento della bocciatura da parte dell’Antitrust della legge Olivi-Viola i segretari di Fillea, Filca e Feneal dichiaravano testualmente: “Non si può pretendere che lasciando le mani libere, peraltro come fatto fino a questo momento, si favorisca il mercato e dunque la ripresa del settore. I fatti ci dimostrano che non è così. In questo modo si tutelano solo le imprese meno trasparenti” (L’Adige 24 maggio 2017). Per ben dieci anni gli stessi sindacati confederali non hanno battuto ciglio di fronte “alle dinamiche perverse” e alle sempre più evidenti violazioni della legge provinciale 7/2006 in materia di tutela occupazionale e rispetto dei contratti vigenti (regolarità retributiva e contributiva), altro che denunce!
Eppure la legge in vigore, nonostante le lacune anche nella sua applicazione (vedansi ad esempio le inadempienze in merito all’art. 33, comma 5), forniva solidi appigli per difendere l’occupazione ed esigere il rispetto delle norme contrattuali. In questo senso si è sviluppata una parte consistente dell’attività del Coordinamento Lavoro Porfido (CLP) che, a partire dal 2014, in merito a tali inadempienze ha dapprima fatto segnalazioni puntuali ai Comuni (vedasi ad esempio l’articolo titolato “Cave: ecco i nomi delle ditte che non rispettano le regole” a firma di Domenico Sartori sull’Adige del 4 agosto 2015), non esitando di fronte alle palesi inadempienze degli stessi a presentare dettagliati esposti alla Procura della Repubblica nei confronti di sindaci e assessori comunali.
Non solo il sindacato confederale non ha mai denunciato nelle sedi competenti, ma ha addirittura sollecitato l’assessore Olivi ad intervenire per modificare una legge che andava in primo luogo fatta rispettare, togliendo proprio quegli elementi utili a fare luce sulle troppe opacità del settore. Quando il CLP ha denunciato situazioni intollerabili di ritardo nel pagamento dei salari, questi signori si sono prodigati nel firmare accordi di rateizzazione senza garanzie per i lavoratori, in modo da togliere d’impaccio le Amministrazioni comunali della zona, che altrimenti sarebbero state costrette a sanzionare tali comportamenti. Sanzioni che avrebbero fornito un quadro preoccupante della situazione del settore, basti pensare che ad Albiano i controlli avevano evidenziato come soltanto un terzo delle imprese concessionarie fossero effettivamente in regola a distanza di quasi un anno e mezzo dalle prime richieste di verifica fatte al Comune dal CLP!
La legge Olivi-Viola, approvata dal Consiglio provinciale all’inizio di febbraio, è stata presentata come rivoluzionaria per il settore del porfido, ma in realtà si è trattato di una grande manovra per nasconderne le magagne e rafforzare ancor più lo strapotere della lobby dei concessionari di cava. Pur essendo stata presentata infatti dallo stesso assessore, in occasione della pubblicazione del Rapporto cave 2016 di Legambiente a Roma, come la migliore d’Italia, in realtà non ha per nulla toccato i problemi fondamentali che lo attanagliano.
Politica sorda e Magistratura esitante
Attraverso ben tre protocolli d’intesa con i datori di lavoro, i sindaci e lo stesso assessore provinciale, i sindacati confederali hanno cercato di aggirare i pochi obblighi di legge che avrebbero potuto costituire un argine alla massiccia riduzione occupazionale. Facendo leva su alcuni disciplinari si sarebbe potuta arginare anche la massiccia esternalizzazione delle lavorazioni che caratterizza il settore da oltre 20 anni, causa non secondaria della crisi che lo ha colpito, ma nulla è stato fatto in tal senso. In ben tre incontri con i capigruppo in Consiglio provinciale (2014, ‘15 e ‘16) il CLP ha lanciato l’allarme sulla grave situazione determinatasi nel settore del porfido, senza però che sortisse alcun interesse reale ad affrontare i problemi da parte dei rappresentanti politici.
Unica forza a raccogliere seriamente tale appello è stato il Movimento 5 Stelle con la presentazione di un disegno di legge di modifica della L.P. 7/2006 il 1° febbraio 2016 da parte del consigliere Filippo Degasperi, la presentazione di interrogazioni parlamentari da parte dell’on. Riccardo Fraccaro e l’avvio di un’iniziativa a livello comunitario da parte dell’eurodeputato David Borrelli. Se le organizzazioni sindacali avessero realmente voluto intervenire in modo incisivo avrebbero potuto aprire un confronto serio con il CLP e presentarsi alle due occasioni di dibattito in merito al ddl Degasperi organizzate a Miola e Segonzano (marzo e aprile 2016), con la presenza anche del consigliere Civettini (che aveva presentato una mozione per l’istituzione di una commissione d’inchiesta).
Nulla di tutto ciò è avvenuto e le sollecitazioni all’assessore Olivi da parte della Fillea-Cgil affinché rivedesse la legge, mentre a parole sbandieravano la volontà di un intervento drastico, nascondevano in realtà l’intenzione di sanare le cose senza cambiare nulla, in ossequio alla volontà della lobby dei concessionari. Così, con la nuova legge voluta in fretta e furia, si sono pure privati coloro che denunciavano il mancato rispetto degli obblighi di legge e delle norme contenute nei disciplinari, come appunto il Coordinamento Lavoro Porfido, di quegli spazi ed appigli legali per far valere i diritti dei lavoratori e per tutelare le comunità locali.
La nuova legge ha manomesso completamente il sistema sanzionatorio previsto all’articolo 28 della L.P. 24 ottobre 2006, n.7, sostituendolo con un lungo elenco di violazioni (art. 31) che prevedono una sanzione solo se ripetute per ben tre volte e per di più scardinano un sistema che prevedeva la sequenza: diffida, sospensione e revoca. Inoltre la nuova legge rimanda le questioni più scottanti a successive delibere attuative la prima delle quali è stata approvata dalla Giunta provinciale il 9 giugno scorso.
La sbandierata intenzione di porre fine al sistema delle esternalizzazioni selvagge che ha fin qui contraddistinto il settore si è tradotta nell’obbligo per tutti i concessionari, a partire dal 2019, di lavorare almeno il 50% del grezzo. Una beffa se si pensa che da qualche anno il disciplinare di concessione di Albiano prevede l’obbligo (anche se mai rigorosamente fatto rispettare) di lavorazione per il concessionario dell’80% del grezzo ed ora, certo di buon grado, l’Amministrazione comunale dovrà adeguare tale disciplinare alle nuove direttive.
Per quanto riguarda poi la promessa unificazione in capo ad un unico soggetto della responsabilità dei controlli, basti dire che con l’art. 27 bis (“Verifiche retributive e contributive”) è stata tolta ai Comuni la patata bollente, dando al Servizio Lavoro della Provincia la competenza dei controlli sulla regolarità retributiva e lasciando in capo ai comuni solo la verifica periodica dei DURC.
Come se non bastasse, con la nuova legge è stato scardinato definitivamente l’art. 33 il cui comma 5 prevedeva che, a fronte di un’ultima proroga delle concessioni, i Comuni dovessero prevedere “con apposita clausola” i “livelli occupazionali da mantenere per la durata della concessione”. Un obbligo di legge a cui i Comuni si sono fin qui sottratti e sull’adempimento del quale la stessa Giunta provinciale non ha vigilato, motivi per cui il CLP ha presentato ben 3 esposti alla Procura della Repubblica nei confronti di tali soggetti. Basti pensare che dal 2010 (anno di inizio dei provvedimenti di proroga da parte dei Comuni) al 2014, i dipendenti delle ditte concessionarie sono passati da 933 a 625 con una perdita secca di 308 posti di lavoro pari al 33% (dati forniti nella relazione del Tavolo di coordinamento per la valutazione delle leggi provinciali, presieduto dal consigliere Viola).
Probabilmente al fine di evitare conseguenze giudiziarie e ricadute pesanti sui concessionari che in regime di proroga hanno drasticamente ridotto i livelli occupazionali, l’assessore Olivi ha pensato bene di modificare il comma 5 spostando “entro il 31 dicembre 2017” il termine per provvedere da parte del Comune: una bella beffa ai danni dei lavoratori e delle comunità locali!
Per fare luce sulle “dinamiche perverse” tutt’ora operanti all’interno di questo settore il CLP si è visto così costretto a seguire sistematicamente la via degli esposti alla Procura della Repubblica. La Magistratura però è parsa sin qui esitante: basti dire che per ben 5 esposti nei confronti dei sindaci, in merito ai loro compiti di vigilanza del rispetto dei disciplinari di concessione, è stata recentemente chiesta l’archiviazione.