Una su dieci resiste
Bandiere della pace: cosa dice chi ancora le espone alla propria finestra?
“Con noi o contro di noi, non conta! Gli Stati Uniti possono e agiranno da soli" - aveva minacciosamente ed orgogliosamente ammonito Bush alla vigilia dell’attacco all’Irak. Ad un anno dall’operazione "Irak Freedom", il Presidente si trova invece invischiato nella cruda realtà di una guerra-caos: cinquanta giorni di conflitto ipertecnologico hanno fatto da ouverture ad una pace più violenta della guerra stessa in un Paese recalcitrante a farsi imporre way of life altrui. Risultato: più di 800 Americani rimasti sul campo assieme ad 11.000 civili irakeni, mezzo milione di ex militari di Saddam o coinvolti nel suo regime senza lavoro, umiliati e torturati ma risoluti ad usare le armi. Combattimenti ovunque, sabotaggi agli oleodotti, autobombe quotidiane, quartieri delle città in mano a guerriglieri, liberatori invisi a tutti perché nessuno vuol essere visto come loro amico. E ancora: ONU bistrattata e palesata a tutti nella sua inadeguatezza, una crisi fra Casa Bianca e Paesi dell’Unione Europea tutta da rimarginare nonostante le recenti aperture, ed un opinione pubblica mondiale sconcertata dall’agire degli americani, così in contrasto con tante loro declamazioni di principio.
Nella primavera 2003, l’unica opposizione efficace alla frenesia americana di guerra erano state le bandiere arcobaleno capaci di incrinare, con il loro sventolio, la macchina mediatica messa in piedi dal Pentagono per far accettare la guerra all’opinione pubblica mondiale: alla vigilia dell’attacco ben pochi infatti consideravano il conflitto legittimo, legale e giustificato. In Italia se ne stimarono tre milioni, in Provincia ventimila. Ripiegate un po’ alla volta a fine ostilità, ne sono rimaste pervicacemente esposte più o meno una su dieci. Osservandole oggi sventolare o soltanto penzolare coi colori ormai sbiaditi e la tela sfilacciata, viene da chiedersi chi siano i loro caparbi espositori, perché abbiano tenuto duro così a lungo, se pensino di aver contribuito al passo indietro americano dei giorni scorsi, se si atteggino a quasi vincitori oppure a grilli parlanti.
Per saperlo ne abbiamo avvicinato qualcuno, come Carlo, informatico trentenne di Povo. Espone la bandiera fin dall’ottobre 2002 e lo scorso primo maggio, per amplificarne il messaggio, le ha affiancato quella con falce e martello. Butto lì: perché ce l’hai ancora fuori?
"La guerra è forse finita?"
Ha perso colore?
"Un po’ sì… così è più vissuta, vuol dire che non sono dell’ultima ora!"
È stata utile?
"In realtà chi doveva sentire non ha sentito o non ha voluto!"
A qualcuno dà ancora fastidio?
"Durante la manifestazione di Roma, ho visto in TV una ragazza strattonata da agenti solo perché la sventolava. Poi un poliziotto gliel’ha potata via mentre altri sequestravano macchine fotografiche e cassette a chi le era attorno. Ma dico: non si può più portare in giro una bandiera?"
Qualcuno l’ha messa nell’armadio...
"Se uno pensa che non valga più la pena, la tira via! Qui attorno ne hanno messe fuori due e ci sono ancora!"
Per telefono, ecco da Belluno Enzo, cinquantatreenne ispettore di una multinazionale americana. A fine guerra, nel maggio scorso, alla domanda se avrebbe rimosso la bandiera, ribatté con tono determinato: "No, assolutamente! La lascio fuori perché la gente si chieda cosa faccia ancora lì".
Lo provoco: allora hai vinto! Risposta pacata: "Le bandiere hanno contribuito a isolare Bush. I media dei soliti hanno finto di dargli addosso e così ci hanno pensato loro a tenere sveglia la gente!"
Avrà tenuto conto anche delle elezioni presidenziali.
Si altera un po’: "Certo anche quelle. Curiosi però questi americani: credono che basti essere eletti dal popolo per fare quello che gli pare, per portare la democrazia dove gli fa comodo: la loro, s’intende! Non so se gli elettori americani si rendono conto dei casini in cui Bush ha buttato l’America: ha fatto la guerra senza prova di armi biologiche o nucleari, non ha avuto alcuna autorizzazione dall’ONU e non ha trovato traccia di Al-Qaeda o Bin Laden. Comunque l’altro, Kerry, non mi pare meglio!"
Più interventista Roberto, operaio dell’Atesina, che non solo fa sventolare il suo vessillo fin dal Natale 2002, ma ha quasi costretto i suoi vicini a fare altrettanto. Sarebbe andato con la moglie anche alla manifestazione di Roma se problemi di turni e la cresima di un nipote non lo avessero fermato. La sua bandiera sporge da una finestra al primo piano di una casa in S. Martino, logora e sfrangiata in tutta la parte terminale.
Bush sembra aver cambiato idea, cosa ne dici?
"Per forza… lo abbiamo convinto con le bandiere che sono state più forti della sua prepotenza!"
Fino quando resterà lì?
"Fino all’ultimo filo di cotone, perché l’Iraq è un posto dove la violenza delle armi uccide e semina odio.
Perché l’America è andata in Irak?
Il viso gli si allarga in un sorriso stupito: "Per il petrolio, che domande! Le corriere che pulisco non girano con l’acqua della roggia dei Solteri!
La bandiera di Valentinadi Centochiavi, operatrice nel sociale, si vede invece ad intermittenza, un mese sì, una settimana no, poi ricompare qualche giorno per scomparire di nuovo. Adesso sventola da almeno due settimane.
Che succede alla tua bandiera?
Sbuffa: "Il piccolo me l’ha strappata più volte giocando a pallone sul terrazzo. Mi sono arrabbiata e così adesso, prima di giocare, la slega e la butta dove capita".
Gli hai spiegato l’importanza di lasciarla sventolare?
"Mille volte, ma lui mi risponde: allora comprami il motorino! Non capisce perché a scuola nessuno gliene parla: a casa guarda solo Videomusic e coi compagni ci sono solo storie di motorini".
Pensa in grande Dennis, 35 anni, residente in un sottotetto del centro.
La bandiera l’hai ancora fuori?
"Volevo addirittura prenderne una più grande da stendere da una finestra all’altra; poi ho pensato che quella che ho, scolorita e un po’ strappata, rende meglio l’idea di pace sempre in pericolo".
Ha avuto qualche effetto sul corso della guerra?
"Durante la guerra, no ma poi la resistenza irachena e il venire a galla delle balle della CIA, le torture e gli intrallazzi sulla ricostruzione hanno aperto gli occhi a tanti: oggi il 70% degli italiani vuole il ritiro delle nostre truppe".
Allora resta lì?
"Certo, e quando sarà tutta consumata comprerò quella da finestra a finestra!"
L’America ti ha deluso?
"Non mi ha mai entusiasmato, oggi ancora meno! Gli americani pretendono di rappresentare gli ideali dell’Occidente, democrazia e libertà: che esempio hanno dato stavolta?"
A Centochiaviincrocio Alessandro, studente universitario. Nel maggio dell’anno scorso, quello del piano di sopra lo aveva invitato a togliere la bandiera perché il suo sventolare contro la ringhiera disturbava. Aveva tenuto duro. Lo fermo, gli chiedo dei suoi esami, poi accenno alla bandiere e:
Pare che Bush stia cambiando idea...
"Per forza, in Irak sta sbattendo il muso, la resistenza irachena gli ha fatto mille morti e obbliga i suoi militari a vivere assediati nel deserto".
Pensi che se ne andrà?
"No, lì c’è il petrolio!"
E la lotta al terrorismo?
"Ha dato al Pentagono 350 miliardi di dollari per eliminarlo, ma non ha combinato niente, neanche in Afghanistan! Solo bombe! Se li avesse dati ai Paesi poveri avrebbe cambiato il mondo".
Ma diamo la parola anche a chi la bandiera non l’ha mai messa, come Cinzia, quarantanovenne, dichiaratamente di sinistra, padre di nome Libertario e nonno anarchico lasciato morire in carcere dopo uno scontro coi fascisti. Con tono quasi da paternale, le butto lì: neanche una bandiera alle tue finestre!
"Non l’ho messa perché non credo che sia possibile la pace finché gli interessi economici governeranno il mondo".
Però parlerebbe per te, direbbe che ti opponi all’ingiustizia e alla sopraffazione.
Sogghigna: "Mi vien da ridere a veder gente che ha messo la bandiera della pace alla finestra e alle assemblee di condominio è arrogante ed alza la voce. Secondo me è prima di tutto un modo di essere e pensare che hai dentro di te.
Sono servite a far cambiare posizione a Bush?
Sgrana gli occhi: "Non lo hanno influenzato minimamente. Sono troppo politicizzate, troppo indicative di una parte politica che lui disprezza".
Pareri variegati, dunque, ma in quasi tutte si nota l’autocompiacimento per aver tenuto duro e aver dato voce all’ idem sentire di tanti. Le loro bandiere hanno indubbiamente resistito più dell’arroganza dell’America di Bush. Se le prime infatti sono in via di consunzione per il sole, la pioggia e l’inquinamento, la seconda lo è per questa guerra fatta di bugie pianificate per legittimare l’aggressione, per le torture e il dispregio mostrato per l’ONU, l’organo di governo delle controversie tra nazioni, voluto dagli stessi americani e così tenuto a battessimo nel 1946 a S. Francisco da Harry Truman: "Dobbiamo tutti riconoscere che quantunque grande sia il nostro potere, noi dobbiamo rifiutare la libertà di fare qualunque cosa desideriamo".
Purtroppo, al momento, da quelle parti sembrano più politically correct le parole di John Foster Dulles, sottosegretario di Stato ai tempi di Eisenhower: "Gli Stati Uniti non hanno amici. Hanno interessi".