La primavera araba fra interventisti e pacifisti
È la schizofrenia di un Occidente cinico e fobico che oggi contrappone pacifismo ideologico e intervento armato, schizofrenia beffarda nei modi e nei tempi della strategia militare a sostegno della “primavera araba”. C’è il cinismo del “non c’è un gran che da depredare”, o almeno non tanto da giustificare un intervento armato costoso e prolungato. E c’è lo spauracchio fobico nei confronti di un esodo biblico che ammassa sulle coste italiane, ma anche europee, migliaia di profughi. “I motivi per essere ottimisti sono inconfutabili - dichiara Vincent Della Sala, canadese docente di scienze alla Facoltà di Sociologia di Trento, durante un incontro organizzato dall’associazione Ora e Veglia - I regimi totalitari sono stati messi al tappeto, indietro non si torna. Gli scenari invece non sono facili da ipotizzare. In queste rivolte, in Tunisia, Egitto, Libia, Siria, il denominatore comune è un’ impellente istanza di pane e democrazia: non un movimento rivoluzionario organizzato, ma migliaia di ragazzi uniti attraverso la rete e partiti alla riscossa. Tre le ipotesi dominanti. La prima: liberati dagli oppressori, i rivoltosi si organizzano e vanno verso la democrazia; ma persiste un forte timore che il nord Africa diventi un nuovo Iran, con una radicalizzazione islamica. Terzo pericolo, un Far West capitalistico, magari innescato dagli stessi liberatori”.
Diviso e confuso il popolo pacifista, ma posta di fronte al dilemma del che fare per impedire a Gheddafi di sparare sul suo popolo, anche Martina Lucia Lanza, giovane esponente veronese del Movimento Non Violento, non ha dubbi: “Non potevamo stare a guardare, ma tra questo e i bombardamenti c’erano altre azioni, come dotarsi per tempo di una polizia internazionale. La polizia, a differenza dell’esercito, è imparziale. Era l’idea di Langer, nella quale noi crediamo ancora: i corpi civili di pace”.
Già, ma Alexander Langer è morto, portandosi via il suo e il nostro sogno.