Le nuove armi del Museo della guerra
Alla ex ATI di Rovereto una sezione del Museo dedicata alla Seconda guerra mondiale: un progetto ambizioso che comincia a concretizzarsi.
A prenderla con leggerezza, si potrebbe dire che anche il Museo della guerra ha messo in scena un suo festival teatrale, in quella che è ormai per tradizione, a Rovereto, la stagione dello spettacolo. In apertura, l’insolito convegno che ha per insegna Le armi della Repubblica, dedicato in questa seconda edizione a "Forze Armate, ONG ed Industria nelle situazioni di post conflitto". Scenario la sala conferenze del Mart, ma anche la sua piazza; attori, un variegato universo di relatori (studiosi di matrice accademica, militari di alto rango, industriali degli armamenti, operatori delle organizzazioni non governative, esperti legati ad iniziative di matrice dichiaratamente non violenta), ma anche i contestatori di un’iniziativa che portava "i signori della guerra nella città della pace", come sintetizzava il volantino diffuso nell’occasione.
A otto giorni di distanza, domenica scorsa, il Museo si è ripresentato all’aperto, nella vecchia piazza del Grano, esponendo alcuni vistosi oggetti storici: il carro armato Fiat-Ansaldo luccicante di recente vernice, reduce dalle campagne del 1944-45 e recuperato da sessant’anni di traversie; un’autoblinda canadese e un veicolo per trasporto truppa inglese; il modello in grande scala di una nave da combattimento giapponese. Dopo una nuova (ironica e a suo modo misurata) manifestazione di dissenso degli anarchici antimilitaristi, il presidente Gerosa e il sindaco Valduga hanno presentato ad una piccola folla visibilmente interessata il progetto di una nuova sezione dedicata alla Seconda guerra mondiale, che dovrebbe aver sede nei grandi spazi ancora da restaurare della Cartiera, nel luogo di quello che è stato uno dei principali insediamenti industriali del Trentino fin dalla prima metà dell’800. Senza eludere le critiche radicali risuonate poco prima, il direttore Camillo Zadra ha ribadito che non si intendeva sfidare nessuna sensibilità, con quella esibizione di veicoli bellici. "La nostra vera sfida è quella di dare risposte ai bisogni conoscitivi dei cittadini e dei visitatori", ha replicato, delineando il profilo di un’istituzione che si propone come luogo di consapevolezza critica nei confronti del Novecento, il secolo delle grandi guerre.
A ben guardare, le sfide del Museo sono numerose, audaci quanto difficili. Il convegno è frutto di una collaborazione ormai collaudata con Mine Action Italy, un’associazione nata a Brescia che si occupa di progetti di riconversione industriale e di attività di sminamento e bonifica dei territori inquinati dagli ordigni esplosivi. Per questa via la collaborazione si è allargata alla Società Esplosivi Industriali, che opera nel campo della produzione, ma anche della ricerca di sistemi efficaci di sminamento: un terreno insidioso, come si vede, per procedere sul quale occorrono accortezza e orientamenti chiari. I due convegni finora realizzati (gli atti del primo erano nella cartella dei convegnisti e si possono richiedere al Museo) testimoniano lo sforzo generoso di chiamare a confronto soggetti che hanno ruoli ed obiettivi diversi, tentando di ancorarli al comune spazio democratico.
Alla base c’è l’esigenza profonda di non rinchiudere la riflessione sui nuovi conflitti entro fronti e linguaggi prestabiliti. Riuscirci davvero - tuttavia - non è facile, ed anche in questo convegno alcuni relatori sono sembrati imbozzolati nei rispettivi ruoli, incapaci di uscire dagli schemi promozionali della propria parte per affrontare una riflessione davvero dialogica. E’ un rilievo che riguarda più frequentemente industriali e militari e anche per questo, al contrario, ha colpito un intervento denso di spunti critici come quello del generale Fabio Mini. Mentre questi denunciava il danno irreparabile delle "generazioni perdute" nei paesi investiti dai conflitti contemporanei, sotto la cupola si aggiravano le voci del piccolo coro che ci appellava tutti "assassini". Non va enfatizzato, questo segno paradossale di una difficoltà di comunicazione che si vorrebbe illiceità morale. Ma anche tra i promotori si avvertiva la consapevolezza di dover rafforzare, nelle occasioni future, tanto la dimensione del confronto che la distinzione dei ruoli.
Un relatore ha auspicato che il Museo roveretano possa diventare anche museo delle guerre contemporanee, punto di riferimento permanente per documentarle e studiarle: una prospettiva suggestiva, ma anche inaccessibile nell’attuale disponibilità di risorse umane e di spazi.
Un’ardita proiezione verso nuovi assetti e nuovi compiti prefigura il progetto della nuova sezione sulle guerre del ‘900, che il Museo accarezza da molti anni. L’iniziativa che ci si propone ora è stringente e coraggiosa. Restaurare la parte coinvolta del grande edificio industriale e allestirla per le esposizioni verrà a costare circa 3 milioni e mezzo di euro, secondo i calcoli dell’architetto Giovanni Marzari, autore dello studio preliminare. Una spesa che si potrà suddividere in più esercizi e alla quale l’istituzione - che ha fisionomia privata - è disposta a partecipare direttamente per una quota del venti per cento, assumendosi il rischio dell’indebitamento, se l’assemblea dei soci approverà questa impostazione. Il resto dovrebbero farlo Comune e Provincia, cui viene richiesto un investimento contenuto per una realizzazione che avrebbe significative valenze.
La prima è di tipo strettamente culturale. Non esiste nel nostro paese un museo dedicato alla seconda guerra mondiale e alle altre guerre condotte dall’Italia fascista: l’operazione museografica (e indirettamente storiografica) che ci si propone è di rilievo assoluto.
La seconda valenza è di tipo turistico: nella Rovereto del Mart la scommessa su un secondo polo di attrattiva rappresenta una forte sottolineatura di una nuova direzione di sviluppo del territorio.
La terza è di tipo urbanistico: risanare quella parte dell’ex-Ati significa recuperare un suggestivo edificio industriale degli anni Trenta e anche accelerare una sistemazione complessiva dell’area, sollecitare l’individuazione di funzioni per il piano dell’edificio che rimane vuoto, rilanciare il teatro e l’uso degli spazi temporaneamente affidati all’Università, riproporre il nodo irrisolto della viabilità e del trasporto, progettare il percorso pedonale lungo il Leno, riqualificare l’attuale presenza degli uffici comunali. Sono tutte questioni alle quali il Comune dovrebbe comunque metter mano al più presto: l’iniziativa del Museo fornisce uno stimolo decisivo che la nuova amministrazione sembra aver colto e che sarebbe imperdonabile lasciar cadere.
Naturalmente anche le incognite, come le potenzialità, sono numerose. La più inquietante e affascinante, ai nostri occhi, riguarda la capacità di pensare un percorso espositivo all’altezza della sensibilità contemporanea, che sappia sollecitare emozioni e pensieri e non solo proporre una ragionata sequenza di documenti materiali e di informazioni. E’ in corso da alcuni anni ormai la progettazione del nuovo volto del Museo dentro il Castello restaurato, dedicato interamente alla Prima guerra mondiale. I suoi tempi lunghi sono favoriti da quelli inopinatamente protratti dei lavori, ma tra poco le prime sale "introduttive" saranno allestite e aperte al pubblico. Posso testimoniare direttamente sia la serietà dell’elaborazione (guidata da studiosi di valore e di esperienza) che la difficoltà di istituire un rapporto soddisfacente tra gli oggetti museali e l’esperienza storica complessa che sono chiamati a rappresentare. Nel caso della nuova sezione, caratterizzata più della prima da grandi oggetti di forte impatto, occorrerà riservare un’attenzione ancora più forte alla loro contestualizzazione non solo tecnica.
Sono gli uomini a decidere e a comandare, sono loro a sparare, a bombardare, a morire, non i carri armati e gli aeroplani. Come riesca a rappresentarlo un museo contemporaneo è una sfida tutta aperta, particolarmente cruciale per la generazione di storici che ha provato a ricostruire "dal basso" le guerre e ciò che in esse vi è di umano e di disumano.