Perché ritirarsi
In nome del sentimento nazionale ferito, sciiti e sunniti hanno accantonato le loro rivalità: siano loro a ricostruire il nuovo Irak.
Ormai nemmeno la propaganda di guerra riesce più a nascondere la disastrosa situazione creatasi in Irak. Eppure abbiamo sovente sperimentato quanto, in tempo di guerra, i canali dell’informazione siano strettamente sorvegliati per lasciar filtrare solo le notizie volute dai comandi militari e dall’autorità politica. Ebbene, se invece vediamo ciò che vediamo, significa che la situazione deve essere talmente fuori controllo che anche la macchina più potente e vigile non riesce ad occultarla. Soltanto qualche nostro ministro è talmente inetto e sconsiderato da sentire il bisogno di fingere di non vedere.
Non sono più gli sparuti gruppuscoli di sunniti o baathisti partigiani di Sadam Hussein a compiere attentati terroristici contro le forze liberatrici della coalizione. Nemmeno gli infiltrati da altri paesi, militanti di Al Qaeda, sono più indicati come gli unici autori della guerriglia. In tutto l’Irak è un ribollire di atti di guerra, portati da gruppi vasti, risoluti, organizzati, guidati da nuovi capi espressi da una intera popolazione. Persino reparti armati collaborazionisti formati da irakeni hanno disobbedito al comando militare statunitense e si sono rifiutati di sparare contro le milizie ribelli. Il sangue scorre a fiumi e i morti si contano a centinaia dall’una e dall’altra parte, naturalmente di più dalla parte irakena, con anche vittime fra i non combattenti.
Alle vere e proprie battaglie campali si aggiunge la pratica dei rapimenti ricattatori e dilaga la sconcertante presenza di folte schiere di mercenari al servizio armato di non chiari gruppi privati.
Il mondo intero ormai denuncia gli errori commessi da Bush e da Blair. A cominciare dall’errore di avere scatenato la guerra con i pretesti, falsi, delle armi possedute da Saddam e della sua complicità con Bin Laden; con la scusa, poi, di destituire il dittatore e importare la democrazia in Irak: come se la democrazia fosse un prodotto preconfezionato esportabile sulla punta dei missili! E gli errori successivi nella gestione del dopoguerra, improntata all’uso rozzo del bastone ed alla scoperta somministrazione di insipide carote.
La formazione del governo fantoccio provvisorio con la promessa del passaggio del potere al 30 giugno, tutto sotto stretta sorveglianza dell’esercito occupante, ha ferito il sentimento nazionale irakeno, tanto che oggi anche alcuni di coloro che avevano aderito al progetto, se ne sono distaccati. Tanto che, in nome del sentimento nazionale ferito, sciiti e sunniti hanno accantonato le loro rivalità etnico-religiose e si sono uniti in una resistenza comune contro l’invasore.
Sono davvero soltanto errori? Si è ritenuto che in politica talvolta un errore può essere anche peggio di un crimine. Ma in questo caso è molto difficile distinguere l’errore dal crimine. L’errore di avere creduto che la guerra fosse un mezzo efficace per contrastare il terrorismo. Il crimine di averla scatenata contro un intero popolo incolpevole. Purtroppo anche le democrazie sbagliano. Che fare ora?
La maggior parte dei commentatori ritiene che sia necessario sostituire la presenza delle truppe occupanti con altra autorità, militare e politica, non compromessa con l’invasione. Vi è anche chi dice che andarsene ora significa darla vinta ai terroristi, quando è di solare evidenza che i terroristi si sono irrobustiti grazie all’invasione. Ma come sostituire la coalizione occupante? Con la Nato? Sarebbe un troppo scoperto travestimento, che gli irakeni non accetterebbero. Una coalizione europea, senza americani, magari integrata da reparti di paesi arabi come Egitto, Iran, Siria? Il tutto sotto l’egida dell’ONU? Tutto ciò entro l’imminente 30 giugno? Magari fosse possibile realizzare una simile transizione, concordata con i rappresentanti autentici dei rivoltosi irakeni, sciiti, sunniti, curdi e laici.
Ma non vedo come sia possibile sperare in una simile imminente soluzione. Ciò che è certo è che il perdurare delle attuali condizioni è il peggio che si possa immaginare. Meglio sgomberare tutti subito. La soluzione la troveranno loro, gli irakeni. Avranno bisogno di assistenza soprattutto economica. Ma solo loro potranno trovare la via per uscire dal disastro in cui li abbiamo portati.
C’è un dato positivo in questo panorama catastrofico. E’ un caso esemplare di eterogenesi dei fini. Bush ha iniziato la guerra per i fini che abbiamo detto. Puntava sull’appoggio degli sciiti, umiliati e perseguitati da Saddam, ma non l’ha ottenuto. Ha ottenuto invece di avvicinare sciiti e sunniti in uno sforzo comune di difesa della loro unica dignità nazionale. La guerra civile ora in atto non è di sciiti contro sunniti, bensì di resistenti contro collaborazionisti. Quando se ne andranno le forze occupanti, non ci sarà più motivo per la guerra civile. Sunniti e sciiti nella ritrovata unità, forse, sapranno ricostruire l’ordine del loro paese, prima martoriato dalla dittatura, poi sconvolto dalla guerra.