La faccia scura del project financing
L'esperienza del Veneto insegna che costruire ospedali con i soldi dei privati può costare molto caro alle casse pubbliche.
Era il 2004 quando nella zona di Zelarino, periferia di Mestre, cominciarono i lavori di costruzione dell'ospedale dell'Angelo. Un ospedale da 680 posti letto, 22 sale operatorie, 24 posti di terapia intensiva. Una visione architettonica avveniristica: una nave capovolta fatta di vetro e metallo che navigava in mezzo ai campi verdi fuori dalla città. Grande e molto moderno, un gioiello, dicevano gli amministratori regionali che l'avevano voluto. Giancarlo Galan, il Doge, primo tra tutti.
I soldi li avevano trovati con un nuovo (per allora) meccanismo finanziario: si chiamava project financing.
Sembrava l'uovo di Colombo. Le casse pubbliche piangono? Non c'è problema: i privati mettono i soldi, in tutto o in parte, per la costruzione delle strutture, per i macchinari e gli arredi. Inoltre ottengono in concessione esclusiva la gestione dei servizi: mense, lavanderie, pulizie, smaltimento rifiuti, riscaldamento e condizionamento, tutte lemanutenzioni, i parcheggi. E perfino i laboratori di analisi e la diagnostica per immagini, Tac e simili per capirci.
Per recuperarli (e guadagnarci) chiedono all'ente committente un canone annuale per una durata variabile tra i 20 e i 30 anni. Praticamente l'ente pubblico prende in affitto l'ospedale per tutta la durata di quella che, tecnicamente, è una concessione. Poi quando scade questa concessione la proprietà dell'ospedale passa all'ente pubblico.
Pareva davvero la soluzione di tutti i problemi. Peccato che i contabili delle imprese private che allora si proposero per costruire l'ospedale di Mestre avessero fatto i conti molto meglio dell'economato del Veneto.
Il risultato del contratto firmato da Galan era che sull'investimento iniziale, i privati avevano un tasso di rendimento intorno al 20 per cento.
Quando l'era Galan finì, malamente e con successiva condanna per corruzione dello stesso Doge, arrivò il leghista Zaia. Il costo dell'ospedale di Mestre era talmente fuori controllo che Zaia fu costretto a puntare i piedi. Aprì un contenzioso con la Veneta Sanitaria Finanza di Progetto (la società consortile che aveva costruito e gestisce tuttora l'ospedale mestrino) per avere una riduzione del canone.
La causa, passata per vari gradi di giudizio, è finita il 14 gennaio scorso, dopo 7 anni, con un accordo stragiudiziale tra le parti.
La Regione Veneto, che pagava dal 2008 ben 72 milioni di euro l'anno di canone, ha ottenuto una riduzione del 10 per cento. Perché, hanno detto vari giudici nel corso della causa, c'era una sproporzione tra i 120 milioni messi dai privati (gli altri 130 venivano dalle casse pubbliche) per costruire la struttura e il miliardo e 728 milioni che i privati avrebbero incassato come canoni.
Certo, in quei canoni c'erano anche le spese per fornire i servizi di cui dicevamo sopra. Ma il conto era molto sproporzionato ugualmente.
Ma Mestre non è stato l'unico ospedale costruito con la finanza di progetto in Veneto.
Negli anni '10 furono costruiti ex novo o rifatti in quel modo un padiglione dell'ospedale di Venezia (buttando giù il vecchio e costruendo a nuovo, quando la sovrintendenza alle opere pubbliche aveva detto che bastava ristrutturare. Non vi ricorda qualcosa?), l'ospedale San Giacomo di Castelfranco Veneto, il Santorso nel Vicentino, l'ospedale di Schiavonia che riuniva i piccoli ospedali di Conselve, Este, Monselice e Montagnana e infine Borgo Trento a Verona.
Una vera manna per un gruppo di imprese, sempre le stesse, che si spartivano i lavori. Tra queste anche la Guerrato. Anche per questi altri ospedali ci sono state nel tempo forti proteste popolari e richieste delle aziende sanitarie (che si ritrovano voragini nei bilanci a causa dei canoni) di ridiscutere i contratti.
Vi risparmiamo l'elenco esaustivo, ma ci sono alcune perle che vanno ricordate.
Ad esempio il fatto che l'ospedale di Mestre paga - pensiamo a tutt'oggi - i costi per esami di laboratorio a prezzi definiti nel contratto iniziale del 2004, quando nel frattempo i costi delle tecnologie si sono molto abbassati.
Oppure il fatto che per i primi due anni all'ospedale Santorso la tariffa del parcheggio fosse esosa, rispetto ai costi della zona. Ma la società che lo aveva in gestione aveva, da contratto, tutto il diritto di chiedere un euro e venti l'ora. Perché quella società era parte dell'appalto in project financing e quindi di fatto parte della proprietà dell'ospedale e poteva decidere i prezzi. Dopo molte proteste, nel 2013, l'azienda sanitaria vicentina aveva “risolto” il problema: la tariffa oraria diventò di 30 centesimi l?ora e ilmancato introito della società di gestione del parcheggio sarebbe stato coperto dall'azienda sanitaria stessa. Cioè un gioco delle tre carte: tolgo la tariffa esosa al singolo cittadino e la carico sulla collettività. Parliamo di 300mila euro l'anno.
E poi si vende….
E poi ci sono i giochi di società.
Perché i contratti di project financing possono essere comprati e venduti. E le società che costruiscono possono, una volta terminati i cantieri, vendere il contratto di project financing ad altre società.
Facciamo degli esempi per capire cosa comportano queste operazioni.
La nostra Guerrato, ad esempio, ha costruito come dicevamo l'ospedale di Castelfranco Veneto, inaugurato nel 2008. Per fare questa grande operazione immobiliare era stata costituita una società ad hoc che si chiama Asolo Hospital Service di cui Guerrato aveva la maggioranza. Ma nella compagine di Asolo Hospital Service c'erano anche altri soggetti, ognuno con un ruolo specifico. Tra loro anche una società di Reggio Emilia, la Coopservice, che si occupa di manutenzione e gestione di apparecchiature mediche.
Poi, nel 2015, Guerrato ha deciso di capitalizzare il lucroso contratto. E ha venduto ad un fondo di investimento inglese la propria quota di maggioranza di Asolo Hospital Service (a proposito: sapete come si chiama il fondo inglese che ha comprato mezzo ospedale di Castelfranco? Equitix, proprio lo stesso che poco tempo fa si è comprato il 5 per cento di Dolomiti Energia. Quando si dicono le coincidenze!).
Quindi, dal 2015, le decisioni su come gestire le mense, la lavanderia, i parcheggi e le manutenzioni non le prendono più l'impresa Guerrato e i suoi soci specializzati nei vari settori, ma li prende un fondo di investimento di cui non conosciamo né nomi, né volti e a cui importa una ed una sola cosa: quanti utili può distribuire ai suoi clienti a fine anno. Quindi, se ad esempio allungando i tempi di manutenzione dei macchinari si risparmiano soldi, probabilmente il fondo inglese deciderà di allungare. Perché non ha una reputazione professionale come manutentore di macchine da difendere. È lì solo per i soldi. E ve ne diamo la prova.
Nel 2017 la Coopservice di Reggio Emilia si è trovata a dover reclamare in tribunale il proprio diritto, in quanto parte del contratto originario di project financing e socia della Asolo Hospital Service, a gestire le manutenzioni dei macchinari. Perché il fondo inglese voleva trovare un nuovo gestore che costasse meno.
Per equità informativa diciamo che Guerrato non è certo l'unica ad aver venduto.
A settembre 2018, la maggioranza della società Veneta Sanitaria Finanza di Progetto - ovvero il gestore dell'ospedale di Mestre - è stata venduta dal costruttore Astaldi ad una società di investimenti francese che si chiama Mirova. E sappiamo che lo stesso tipo di operazione Astaldi, che in questo caso era in società con Pizzarotti, ha fatto in Toscana dove ha venduto i project financing degli ospedali di Prato, Pistoia, Lucca e delle Apuane. E guarda te, li ha venduti ad Equitix. Com'è piccolo il mondo dei grandi soldi, eh?
Il project financing in Veneto si è rivelato una sciagura. Anche perché in questa fase storica è possibile per un ente pubblico accedere al credito per le grandi opere con tassi e condizioni molto migliori rispetto a quel che offrono i privati.
Purtroppo, a quanto pare (ma secondo noi se ne potrebbe discutere), noi trentini non possiamo uscire dalla morsa del project financing per la costruzione del NOT. Ma andare ad infilarsi nello stesso tunnel per quanto riguarda l'ospedale di Cavalese ci pare davvero diabolico.