La guerra senza controcampo
Il film di guerra che gli Usa non sono riusciti a girare
Se finora la fiction si era impegnata a filtrare la "realtà" delle guerre del passato, in Iraq abbiamo assistito a un’evoluzione del genere: la guerra ricostruita in diretta. Per i generalissimi americani (politici, militari e mediatici) la strategia era proprio quella dell’accostamento di questi due termini, "ricostruzione" e "diretta": la sfida di girare un film bellico sulla guerra presente.
Le immagini adeguate a realizzare questa funzionalità comunicativa sono sempre quelle: il nostro punto di vista è quello del giornalista che accompagna le forze armate USA in avanzata o del soldato USA armato di videocamera. L’occhio che vede per noi spunta dalla torretta di un carro armato a stelle e strisce. Dopo il cannoneggiamento all’hotel Palestine, il generale Brooks, responsabile militare all’informazione, ha detto una cosa molto chiara: gli unici giornalisti al sicuro sono quelli che accompagnano le nostre truppe.
Nel linguaggio cinematografico classico, una grammatica di base per girare una scena - ad esempio un dialogo - è quella del campo/controcampo. Immaginiamo due persone che parlano sedute a un tavolino vicino a una finestra: la macchina da presa si posizionerà verso l’interno del locale e inquadrerà, leggermente di sbieco, la faccia dell’interlocutore 1; poi passerà a inquadrare l’interlocutore 2, sempre di sbieco, quando la parola passa a lui. Attraverso questo rodatissimo meccanismo si costruisce un dialogo: la linea degli occhi darà l’impressione che i due, da due inquadrature diverse, si stiano guardando. Un esempio ancora più efficace è quello di un duello western, tipo "Mezzogiorno di fuoco": campo (siamo con la cinepresa appena dietro la spalla del pistolero 1) e controcampo (saltiamo dietro la spalla del pistolero 2 che fronteggia l’1).
Il tentativo di costruzione della realtà attuato dagli strateghi della comunicazione militare USA è un duello western senza il controcampo. Vediamo il campo del militare USA e aspettiamo invano un controcampo che non arriva. Le truppe USA (militari e mediatiche) vorrebbero cullare lo spettatore globale nel rassicurante sentimento di appartenenza dato dalla soggettiva, cioè l’identificazione dello spettatore con l’occhio che guarda: un loro punto di vista. E punto di vista, loro, lo vorrebbero inteso nella triplice accezione che ci insegnano gli studi di comunicazione audiovisiva: guardare da un punto di vista è anche conoscere da quel punto di vista e quindi credere a quel punto di vista.
Il campo/controcampo, cioè la costruzione dialogica degli sguardi, è una buona metafora: ad esempio, il western, fino a un certo momento pura esaltazione del mito della frontiera, con una conquista successiva ha deciso di saltare al controcampo, di vedere la battaglia anche dal punto di vista degli indiani. I tre più famosi film filo-indiani "Soldato blu", "Piccolo grande uomo", "Un uomo chiamato cavallo", sono tutti del 1970: contemporanei e conseguenti all’incancrenirsi della guerra nel Vietnam e all’aumento della protesta nella società civile americana.
I film sul Vietnam, anche se filmati sempre da un punto di vista (non viene proprio in mente un film sul Vietnam con un protagonista vietcong), hanno, per gli anni in cui nascono, già in sé la consapevolezza del campo/controcampo. Che non è, appunto, il campo/controcampo americano/vietcong, ma un campo/controcampo tra due voci americane: i soldati che esaltano la guerra e quelli che la subiscono.
Paradossalmente, quindi, proprio il cinema americano ci ha abituato a vedere - persino quando ci parla di cowboy e di Vietnam - anche l’altro punto di vista, il controcampo. Che quindi ci manca.
In Iraq, la ricostruzione USA della realtà, perciò, regge molto male sul piano tecnico, e non c’è modo di evitarlo. Così gli arabi guardano Al Jazeera e in Europa si dubita del generale Brooks quanto si dubitava del ministro dell’informazione iracheno. Il modello classico di costruzione di una scena cinematografica si rivolta contro il suo creatore. Gli abitanti del villaggio globale cercano altre fonti, il controcampo, e magari si fidano più di quello che delle veline ufficiali.
Gli strateghi della comunicazione se ne sono resi conto. Per questo sono stati costretti a inventarsi e mettere in scena altre fiction, narrative. Scopiazzando anche in questo Hollywood e la sua potenza attanagliante sull’immaginario, ad esempio nella sequenza del salvataggio del soldato Jessica (mentre rimane nascosto il controcampo della morte del soldato Lori Ann, pellerossa). O scopiazzando, il giorno della conquista/liberazione di Bagdad, un passato reale e recente (la caduta dei regimi comunisti dell’Est), trattato, al pari della fiction, come fonte di immagini: statue che cadono, uomini che le tirano giù, attori che rispettano il copione (l’iracheno che recita "Thank you, Mr. Bush!"), e comparse che si spingono troppo in là - sullo script c’era scritto: niente bandiere americane. Peccato che non abbiano potuto girare un secondo ciak.