Bandiere: tre anni dopo
Qualche bandiera arcobaleno resiste ancora. In attesa della prossima guerra preventiva? Ragionamenti e umori del popolo delle bandiere, oggi riarse, sfilacciate, corrose; o portate via dal vento.
Giusto tre anni fa, Bush jr. iniziava l’occupazione dell’Iraq dando corpo a quella che, per il padre, era stata una brama inappagata. Il Pentagono aveva iniziato per tempo a manipolare l’opinione pubblica mondiale mettendo in campo strategie comunicative dirette a definire le ragioni della guerra a proprio favore. Col rullare dei suoi tamburi mediatici, infatti, aveva cercato per tutto l’autunno 2002 di presentare bombardamenti e missili contro Saddam, protettore di assassini e aspirante costruttore di armi distruttive, come un trionfo del bene. Le associazioni umanitarie mondiali, però, fiutarono il raggiro e proposero di schierare contro le armi di Bush le bandiere arcobaleno, una specie di "Non in nome mio!". Straordinaria la risposta: l’intero pianeta fiorì di vessilli dai sette colori. In Italia, con la campagna "Pace da tutti i balconi" si arrivò a contarne 3 milioni, con Trento in prima fila. Un’adesione entusiastica, consapevole, in tanti casi emotiva, in altri quasi per moda, tramite cui milioni di persone dichiararono la propria contrarietà ad un conflitto di cui non percepivano alcuna motivazione.
Sul campo la ragione andò alle armi del più forte ma delle bandiere fu un risultato ben più importante: il coinvolgimento "contro" di un’opinione pubblica troppo spesso confusa, se non turlupinata, dalle voci ufficiali. Nei due anni successivi, gran parte dei vessilli scompaiono dai balconi, ritirati per scarsa convinzione, per senso di inutilità, per aver ormai comunicato il proprio messaggio, non pochi per logoramento da esposizione. Intanto i governanti di Washington tentano di venire a capo della crisi irachena con elezioni, formazioni di truppe locali, processando Saddam, ma si svelano nudi a Guantanamo, Abu Graib, nell’uso del fosforo bianco, nelle stragi di civili, negli intrallazzi della Hallyburton, nella assenza assoluta delle conclamate armi di distruzione di massa. Le bandiere degli irriducibili testimoniano contro queste brutalità, le falsità, una guerra ormai collocata nella routine dei telegiornali, tra un servizio su Camilla Parker Bowles e un collegamento con qualche partita. Oggi, a tre anni dall’attacco, dopo 2.314 morti e senza possibilità di vittoria, Bush e Rice parlano di ricerca di una strategia d’uscita che non li faccia apparire al mondo in fuga come dal Vietnam del ‘75. Buttano lì anche una data, primavera 2007, forse 2008. Sarà il giorno della vittoria delle bandiere? Quante, di quelle esposte fin dal 2003, saranno lì quel giorno a salutare la restituzione dell’Iraq ai legittimi proprietari? Cosa ne pensano i loro ostinati espositori? Quanti sono ancora? Ecco una serie di opinioni raccolte tra quanti erano già stati interpellati per precedenti articoli in tema di bandiere.
Per primo cerco Enzo, 56enne di osservanza bertinottiana e dipendente di una multinazionale stelle e strisce. Chiedergli un’opinione politica significa sciropparsi prima un’analisi da Comitato Centrale del Pcus.
Le bandiere - dice - hanno costretto gli americani alla cautela, ma hanno costretto la gente a rivedere tanti miti sulla presunta generosità degli americani e sulla libertà che portano in giro.
La tua?
Ho dovuto levarla perché non finisse sbrindellata nel vento: quel che resta è appesa nel mio studio.
Però adesso in Iraq si vota!
Ma cosa?Agli irakeni non interessa la nostra democrazia come sistema di regole, loro hanno il Corano che spiega come debba comportarsi un buon musulmano… Solo gli americani potevano pensare che bastassero le elezioni per mettere tutto a posto. Bush e soci pensano di andarsene nella primavera del 2007? Dubito: prima vorranno essere sicuri che gli iracheni abbiano ben compreso come funziona il mercato globale, come si eliminano i dazi all’entrata, come si mettono in piedi le filiali delle banche, come si privatizza il petrolio e il gas e così via americanizzando.
Attaccheranno l’Iran?
Sì, con la scusa dell’uranio attaccheranno il petrolio dell’Iran prima che se lo prendano i cinesi! E’ solo questione di petrolio; e dopo l’attacco, col barile a 150 dollari, cosa verranno a raccontarci quando mancherà il gasolio per riscaldare case, scuole e ospedali o anche per fare il pieno di benzina? Io, in media, faccio 250 chilometri al giorno per lavoro...
Come finirà in Iraq?
Come a Saigon nel ’75, con gli ultimi elicotteri americani che si alzano dal tetto dell’ambasciata con la gente appesa ai portelloni. L’America si è sputtanata da sola per i prossimi 100 anni!
Più pacato Dennis, 38 anni, residente in un sottotetto del centro. La sua bandiera quasi non si scorge dalla strada, tanto si confonde col grigio della parete.
Tiene duro in attesa del vittoria? Ce la farà ad arrivarci?
Sì perché la tratto bene: domenica, con quel vento, l’ho tirata dentro. Tante altre sono sparite: troppe! Per molti è stato solo una moda, per altri un’onda emotiva poco profonda, per altri ancora, la maggior parte, è stato l’unico modo per manifestare la propria contrarietà e, a guerra finita, hanno considerato finito il loro impegno.
Da questa vicenda il movimento pacifista esce rafforzato?
No, anzi direi indebolito dall’aver visto ignorate le propria proteste. In America poi hanno rieletto per un secondo mandato presidenziale il primo responsabile di questa arroganza.
Ancora più disincantata Valentina, operatrice sociale. La sua bandiera si intravede sopra un armadio a muro sul terrazzo. Al tempo della sua esposizione, nel 2003, era rimasta colpita dall’insensibilità dei figli, accusati di pensare in via esclusiva a "balon, motorin e morosa". Le butto lì: hai ammainato in fretta!
Macché, sono stati i ragazzi: per loro non voleva dir niente.
Non sei stata abbastanza pedagogica!
Non è tutta colpa mia! La scuola non ha fatto niente per sensibilizzarli e la TV ha preferito portarli sull’isola dei famosi invece che alle manifestazioni pacifiste! Mi mette angoscia l’indifferenza dei ragazzi d’oggi...
La bandiera è servita?
Non so, la guerra c’è stata lo stesso, il terrorismo è aumentato, gli americani sono ancora lì e la gente si è stufata dell’Irak…
Sulla ciclabile di via Brennero incrocio Roberto, operaio dell’Atesina, pacifista attivo nel volontariato per il terzo mondo. Per lui le bombe più intelligenti sono state le bandiere, perché hanno colpito la mente della gente costringendo a riflettere sulla prepotenza di chi l’aveva voluta e le sofferenze di chi l’aveva subita.
C’è ancora la tua bandiera?
E’ sempre lì, scolorita e mangiata da tre anni e mezzo di esposizione, insomma coperta di gloria, come direbbero i militari.
Secondo te, la gente sente ancora l’argomento?
Ne parla molto meno, ma nella grande maggioranza sono abbastanza informati e critici.
E’ servita a qualcosa?
I governi europei sono stati costretti a prendere le distanze dagli americani, a lasciarli da soli a sparare. E molta gente ha capito che può dire la sua anche su fatti così importanti. Oggi poi ne senti pochi dire che gli americani hanno avuto ragione.
Un’opinione dalla collina di Trento: Carlo, informatico trentenne di Povo, l’ha rimossa perché ormai senza più colori, sgualcita e sfilacciata. Più che della pace arcobaleno era diventata un indice del livello di smog a Trento.
Ce ne sono in giro per Povo?
Il tempo ne ha rovinate tante, ormai sono una rarità. Sventolano quelle esposte in posizioni riparate e all’ombra, come quella del mio vicino.
Sono servite?
No; ma lo si sapeva fin dall’inizio. Le decisioni erano già state prese e nessuna dimostrazione avrebbe potuto cambiarle! Comunque sono state importanti: hanno permesso a tanta gente di manifestare 24 ore su 24 i propri sentimenti nei confronti delle guerra.
Ora si parla di guerra all’Iran: la esporresti di nuovo?
Ne vendono ancora? Se sì, sarebbe un’idea per rinnovare il movimento.
Interviene il padre:
Non saranno mica matti? Vogliono un’altra guerra mondiale?
Da ultima, Marina. Da tempo la bandiera arcobaleno non sventola più ad una finestra della sua casa lungo via Brennero. L’aveva portata il figlio Daniel e, tutti d’accordo, era stata esposta su quel lato della casa per darle il massimo di visibilità.
In casa si parla ancora di Iraq?
Quasi mai... Per Daniel i nostri soldati dovrebbero rientrare immediatamente, per Nicola e Stefano è meglio che rimangano. Io sono dubbiosa, ma più propensa a farli restare.
Dov’è la vostra bandiera?
E’ appesa al soffitto nella camera di Nicola. Credo la tenga lì perché ha dei bei colori e vivacizza l’ambiente.
Pronta a sventolare il caso di necessità?
Anche se gli americani attaccassero l’Iran, credo che la bandiera rimarrebbe sul soffitto... Credo sia stato un ottimo business la vendita di tutte queste bandiere, e io non ne prenderei un’altra!
Non mancano dunque delusione e disincanto sia tra chi ha esposto la bandiera soltanto per pochi mesi, sia tra quanti hanno tenuto duro fino ad oggi. Fra questi ultimi, però, si fa largo l’autocompiacimento per aver mantenuto accesa la luce. Le loro bandiere sono state più resistenti dell’arroganza dell’America di Bush. Il loro sventolare, fradice di pioggia o arse dal sole, corrose dall’inquinamento o sfilacciate del vento, ha impedito che questa guerra intrisa di tracotanza "democratica" e bugie pianificate fosse portata avanti in modo indisturbato, se non tra i plausi.
Di fatto, se le strategie comunicative del Pentagono sono fallite e gli Usa portatori di libertà e benessere sono percepiti come dei predatori in cerca di un ordine mondiale a proprio vantaggio, è anche merito di chi ha raccontato un’altra verità semplicemente sventolando una bandiera ad ogni angolo del mondo.