No vax: non è solo colpa loro
Le gravi - e sottovalutate - conseguenze della disinformazione in rete
Circolano in questi giorni teorie anti-vaccini sempre più strampalate ed estreme. L’ultima è che i soliti inappuntabili studi scientifici alternativi hanno certificato come il vaccino abbia a lunga scadenza un’ineluttabile mortalità. Programmata peraltro dalle Big Pharma, note criminali, le quali non si accontenterebbero più dei miliardi dei vaccini infischiandosene delle conseguenze, ora avrebbero programmato – testuale – “lo sterminio dell’umanità”. Con quali vantaggi per loro non è chiaro, ma tant’è, questo salterà fuori alla prossima puntata. Sembra la sceneggiatura di un film di fantascienza di serie B o C, eppure c’è gente che ci crede, perfino tra i medici.
E allora è un problema. Un problema innanzitutto per gli effetti. Non sono pochi i renitenti al vaccino, al punto che le autorità malamente rispondono ampliando le fasce dei vaccinandi: non si vaccinano i sessantenni? Apriamo ai quindicenni, anche se finora abbiamo detto che non si doveva fare.
Prima però di approfondire questo aspetto, torniamo alle cause: come mai una parte minoritaria ma non irrilevante della popolazione, è disponibile a credere a micidiali panzane.
È un problema, dicevamo, importante, grave. Soprattutto in una democrazia. Ha molteplici aspetti. Innanzitutto le fonti. Ci sono siti specializzati nel diffondere sistematicamente notizie per lo più fantasiose, che creano sfiducia, che minano la coesione della società. Bisognerebbe agire su due fronti: il primo è quello legale, chiamando i responsabili di propalazione di notizie false a risponderne; e indagando sulla struttura economica delle società che stanno dietro questi siti (in genere tecnicamente inappuntabili, quindi costosi) per portare a galla pelosi finanziatori esteri, per ora solo ipotizzati ai massimi livelli. È inutile che la Commissione Europea si lamenti per il patrocinio di questi siti con la Russia, che naturalmente fa il pesce in barile; lo provi invece, con apposite non difficili indagini, seguano i soldi. Oltre tutto tale attività investigativa permetterebbe di distinguere chi sul web esprime idee anche molto radicali, ma proprie e quindi legittime, da chi invece pesca nel torbido al servizio di poteri esterni.
Il secondo fronte è quello culturale: la popolazione deve essere educata a un approccio critico alla rete. L’evoluzione tecnologica ha sorpassato la crescita culturale. Oggi tutti possono comunicare, tutti possono recepire, ma non tutti sanno recepire distinguendo il vero dal falso. La rete è una grande libertà, ma bisogna saperla usare. “Ah, la libertà! È una fatica. La gente seguirà me, che gliela tolgo, e la libero da questo fardello” diceva 150 anni fa il Grande Inquisitore di Dostojevski. La nostra soluzione non può essere quella; deve essere l’esatto contrario: dare alla popolazione più cultura, nuova cultura, adeguata ai nuovi media. Fin dalle scuole elementari. Il che è peraltro l’esatto contrario della piega che ha preso la scuola negli ultimi anni: con la mortificazione dell’insegnamento della storia (peraltro spesso insegnata malamente) e l’enfasi sul primato dei contenuti tecnici più immediatamente – e provvisoriamente - spendibili sul mercato del lavoro.
Questo deficit culturale è anche dovuto al crollo di credibilità delle grandi agenzie di cultura di massa, partiti e Chiesa. Prima l’orientamento della popolazione era da esse indirizzato, incanalato. Magari in maniera strumentale agli interessi dell’organizzazione, però c’era un orizzonte, un indirizzo; oggi ci si trova in mare aperto. Navigare è difficile, la troppa libertà è un peso. Sogghigna il Grande Inquisitore.
Per questo serve un sovrappiù di responsabilità da parte delle istituzioni. Che in questi anni, su vari fronti, hanno latitato. Anche sulla pandemia. Con direttive contraddittorie, Astrazeneca sì, Astrazeneca no, seconda dose dopo 15 giorni ma anche dopo 50, ai vecchi no e ai giovani sì, poi il contrario. Il tutto evidentemente non suffragato da evidenze scientifiche o dati statistici, ma da aggiustamenti degli obiettivi che non si riusciva a raggiungere. E così si perde autorevolezza, si mina la fiducia. Ci sarebbe bisogno di più consapevolezza, a tutti i livelli.