La strage degli italiani (e dell’informazione)
L’attentato di Nassirya e la televisione.
"Quelle dei carabinieri e dei soldati, uccisi nell’attentato di Nassirya, erano morti annunciate… Era certo che l’invasione dell’Iraq avrebbe moltiplicato il terrorismo, invece di vincerlo: l’avevano detto i francesi, l’egiziano Mubarak, i russi, il Papa. Ogni comandante guerrigliero o partigiano (non solo terrorista) in ogni luogo del mondo, avrebbe agito così. Si sferra sempre il colpo all’anello più debole della catena, ai ‘più buoni’… Dobbiamo dire grazie a questi carabinieri morti perché ci hanno rivelato un Paese degno di essere vissuto… Va reso onore a questi soldati, per la loro vita prima che per la loro morte. Ma il loro onore non può giustificare la politica del governo… Il modo più degno per onorare i caduti è di premere sull’America perché ridiscuta con l’Europa e con l’Onu la sua presenza in Iraq".
Queste considerazioni di Franco de Battaglia, apparse sul Trentino del 15 novembre, ci sembrano abbastanza ovvie, oltre che legittime; e comunque esprimono - crediamo - il pensiero di moltissimi italiani. Ma in televisione (quella di Stato come quella privata) nulla di tutto ciò: la musica è stata ben altra, in ossequio al furbesco, retorico invito di Berlusconi ad evitare le polemiche in un momento così tragico. Per non sbagliare, la prossima volta il Cavaliere ci comunichi anche, contestualmente, quando si potrà considerare concluso il periodo di lutto, e riattivato il diritto a ragionare.
Sono stati lunghi giorni di una televisione di regime come non mai: superficiale, retorica, lagnosa, evasiva. Quelle che erano prerogative di "Studio Aperto" (la cronaca nera con la musica strappalacrime in sottofondo e la crudele caccia ai parenti delle vittime per domande insensate) è diventata la regola di ogni telegiornale.
Non hanno fatto eccezione neppure i programmi di approfondimento giornalistico: non Bruno Vespa, maniacalmente impegnato nella ricostruzione dei fatti sul modellino dell’edificio distrutto (come a suo tempo con la villa di Cogne dove fu ucciso il piccolo Samuele); e neppure il più spregiudicato Giuliano Ferrara, che fornisce una base ideologica al piagnisteo con una puntata del suo "Otto e mezzo" dedicata al concetto di patria. Il cui succo, elaborato dall’editorialista della Stampa Pierluigi Battista, è il seguente: quando la tua patria prende una decisione gravida di conseguenze (una guerra, ad esempio), per quanto tu non sia d’accordo, devi comunque appoggiarla. Insomma – ne deduciamo - quel po’ di resistenza anti-nazista che la Germania conobbe durante il periodo bellico, fu opera di traditori. Al dibattito, peraltro abbastanza monocorde, è presente anche Miriam Mafai, che però, annusata l’aria, ritiene di non dover obiettare.
Qualche breve spazio di ragionamento solo nel vecchio, fazioso Tg3, su La7, e, per la loro parte e nei loro modi, su Telepadania, dove si argomenta che invece di farci ammazzare in Iraq, dovremmo cacciare dall’Italia tutti i musulmani, che fungono da quinte colonne dei terroristi. Un terrificante capitolo a parte, infine, la crociata personale di Antonio Socci ad Excalibur (di cui trattiamo specificamente in La crociata dei Socci).
Un discorso diverso è quello riguardante le trasmissioni d’evasione previste in giorni, come questi, di lutto nazionale. La questione è delicata e complessa: la scelta fra un’austerità obbligata con cancellazione di programmi (per quanti giorni? Fino ai funerali delle vittime?) e un disinvolto "the show must go on" è ben difficile, probabilmente da respingere; ma non è certo un compromesso decente l’affidarsi alla modestissima abilità retorica dei vari conduttori, arrampicati sugli specchi per giustificare la propria messa in onda. "Faccio il mio programma, ma con la morte nel cuore" - ci racconta uno. E un altro, ancor più ipocrita, spiega che il modo migliore per onorare i caduti e combattere il terrorismo è continuare a fare il proprio dovere, magari mandando in onda cazzate e sculettanti fanciulle. Fino a quelli che - naturalmente senza far nomi - denunciano la falsità di certe altrui attestazioni di solidarietà, a differenza delle proprie, ovviamente genuine. Come Emilio Fede e Rita Dalla Chiesa; quest’ultima, con l’autorità conferitale dalle sue ascendenze, ci ha anche propinato un pistolotto condito di lacrime sull’eccezionale mondo dei carabinieri.
Nessuno, naturalmente, ha fatto cenno a problemi di palinsesti e contratti pubblicitari. Sul Tg1, in compenso, hanno affermato di aver sospeso per un giorno, in segno di lutto, il quiz di Paolo Bonolis, quando lo stesso Bonolis, alla vigilia dell’attentato di Nassiriya, aveva preannunciato la sospensione del suo programma per la diretta della partita Polonia-Italia.
In conclusione, non abbiamo molte certezze sul come coniugare lutti nazionali e programmazione televisiva; ma quello che si è visto in questi giorni è stato indecente.