“L’Europa potenza civile”
Mario Telò, L’Europa potenza civile. Laterza, 2004, pp.260, euro 22.
E’ un libro sulla pace e sulla guerra. E sull’Europa. La domanda è se e come l’Europa può contribuire a civilizzare un pianeta, sezionato in frammenti, sul quale, come lupi selvaggi, impegnati a contenderselo, scorrazzano gli uomini. In Europa, da Westfalia (1648), dopo le guerre di religione, chiamiamo i frammenti Stati moderni. Da allora abbiamo riservato allo Stato, in un sistema di Stati sovrani, quasi carta d’identità, l’uso della forza militare, dentro e fuori i confini.
Questa è stata una tappa importante nel "processo di civilizzazione". La civilizzazione è il processo psichico, notava Norbert Elias, che ha disciplinato in Occidente le passioni dell’uomo. Le società feudali, guerriere, sono caratterizzate dalla libera e illimitata manifestazione dei propri impulsi, a tavola, a letto, in battaglia. I fenomeni storici, sia i comportamenti individuali che le istituzioni sociali, sono "divenuti": si è passati, nella storia, dal mangiare con le mani all’uso della forchetta, dai rapporti liberi al matrimonio monogamico. Si è passati dalla violenza, privilegio di guerrieri in libera competizione, al monopolio della forza in mano allo Stato centralizzato.
E nei tempi moderni l’Europa è vissuta come una congerie di Stati, minuscole macchie sul mappamondo, un groviglio di interessi e di ideali. Essi hanno esercitato sul mondo la loro egemonia, una combinazione di dominio e di consenso, di coercizione e di direzione intellettuale e morale, traendo ispirazione dalla cultura greca e romana, dalle religioni monoteistiche, l’ebraismo, il cristianesimo, l’islam, dall’umanesimo e dall’illuminismo. Fino alle guerre mondiali del XX secolo, e alla tragedia della Shoah. Il mutamento del 1989, il crollo del comunismo e dell’Urss, nell’epoca della globalizzazione, ha abbandonato il mondo alla supremazia degli Stati Uniti d’America. "Supremazia economica e, sempre più, militare": concetto, a differenza di quello ambiguo, gramsciano, di egemonia, che indica la forza a fondamento esclusivo della potenza. Ma degli Usa svela, così, anche il limite, e il rischio.
In un quadro contraddittorio si trova oggi collocata, ad agire, l’Europa. Mario Telò insegna Storia delle dottrine politiche alle Università di Bari e di Bruxelles, è consulente della Commissione europea per le Scienze umane. Egli nulla concede all’utopia, analizza con freddezza problemi e ostacoli, eppure il suo punto di vista tende a ispirare fiducia. Il cantiere aperto nel 1957 con il trattato di Roma, e da allora mai chiuso, è una cosa seria: c’è una "ratio", una "social purpose", una "intenzionalità sociale", negli Stati, cioè nei popoli rappresentati democraticamente dai governanti, che in Europa hanno scelto di collaborare.
Al di là delle funzioni dell’"interesse economico" e della "paura del nemico". Scettici e apocalittici sono avversati da Mario Telò. E’ il costruttivismo di John Ruggie la teoria politica più apprezzata perché, più degli approcci utilitaristici e realistici del calcolo razionale, prende in conto anche le visioni del mondo, le emozioni, le identità.
L’11 settembre 2001 ha segnato una svolta. Gli Stati Uniti e l’Europa, tradizionali alleati, in occasione della "guerra preventiva" all’Irak hanno preso reciprocamente le distanze, situazione senza precedenti, niente meno che sulla pace e sulla guerra. L’impossibilità per gli Usa di George W.Bush, nella "guerra totale al terrorismo", di conseguire al Consiglio di Sicurezza dell’Onu una maggioranza favorevole, si è verificata principalmente a causa dell’opposizione europea. Infatti, per la prima volta dal dopoguerra, il nucleo dell’Unione Europea, Francia e Germania, forte sia di alleanze politiche che del sostegno di un’opinione pubblica internazionale, ha espresso una crescente volontà di autonomia politica. La fermezza sul primato dell’Onu è stata confermata dall’impegno di portare a termine la nuova Costituzione europea.
Le divergenze d’analisi si sono rivelate profonde. Il terrorismo è ricondotto dagli Usa all’unica matrice di Al Qaeda, sostenuta dagli "Stati canaglia", mentre gli europei sono più attenti alle sue radici profonde, sociali, alle sue articolazioni e distinzioni. Di conseguenza la legittimità degli interventi politici e militari, la "guerra preventiva" in nome della democrazia, è riconosciuta dagli Usa a coalizioni apposite e mutevoli. In linea con i neoconservatori gli Usa di Bush, Stato sopra le parti, impero legibus solutus, diffidano delle aspirazioni politiche degli Stati che si aggregano in forme sovranazionali, "neoregionali". Come la UE, ma anche l’Asean in Asia, il Sadc in Africa, il Mercosur in America latina.
Gli europei attribuiscono invece all’Onu il monopolio nell’uso della forza. Quella è la sede in cui la strategia politica del "multilateralismo" può dimostrare la sua maggiore efficacia per affrontare i problemi di un mondo stretto fra disordine anarchico e ordine unipolare. Che gli Stati Uniti richiedano all’Onu, post festum, legittimazione e aiuto, diventa una conferma, al di là dell’esito, di una divergenza di lunga durata su quello che appare il problema internazionale di fondo.
La funzione storica dell’Unione Europea è quindi di bilanciare, "civilizzare", da alleato, la superpotenza degli Usa. La posta in gioco è il tipo di sistema internazionale, la struttura del mondo, in cui vivremo nel XXI secolo. Questo è il significato del titolo "L’Europa, potenza civile".
Quali risorse, quali volontà, quali strumenti può l’Europa mobilitare per il compito immane dell’"addomesticamento"? Non è la sola: potenze civili, "tranquille", sono anche il Giappone, il Canada, il Brasile, l’Indonesia, il Sudafrica.
Sul piano tecnologico e militare l’asimmetria fra gli Usa e le altre potenze è massiccia, e sta crescendo. Nel 1997 la loro spesa militare superava quella dei 5 paesi seguenti, nel 2000 quella degli 8 e ora quella dei 10 tutti insieme.
L’Unione Europea non può diventare una potenza militare classica, né quindi competere su questo terreno, perché diverse sono la sua identità e la sua storia. Il testo della Convenzione europea elenca tra i suoi obiettivi internazionali quelli di "promuovere la pace, la sicurezza, lo sviluppo sostenibile della terra". L’integrazione economica e sociale, simboleggiata dal mercato unico e dall’Euro, proviene dalle esperienze tragiche delle dittature fascista e comunista, dal consolidamento della pace tra ex-nemici, e dalla stabilizzazione della democrazia. La democrazia non si esporta messianicamente come una tecnica, ma si sostanzia in associazioni della società civile, in valori insieme locali e universali.
L’idea di solidarietà sociale, di "società della conoscenza", a fondamento del welfare state, viene all’Europa dalle grandi tradizioni del pensiero cristiano, del liberalismo, del socialismo. Nel 2001 l’UE ha speso per la sicurezza sociale il doppio degli Usa: il 29,9 % del PIL contro il 14,2.
Mario Telò non nasconde le difficoltà connaturate al processo di "civilizzazione". Ci sono incongruenze: divisioni interne profonde; alcuni Stati europei sono potenze militari, nucleari addirittura; altri guardano ancora con maggiore attenzione agli Usa che ai partner dell’Unione. Praticare una politica multilaterale all’interno dell’Onu richiede inoltre un impegno per la riforma dell’organizzazione, in modo da accrescerne l’efficacia nei momenti di emergenza.
Per non scadere nell’antiamericanismo velleitario occorre riconoscere che il primato degli Usa non è solo economico e militare, ma affonda nelle vittorie contro il militarismo, il fascismo, il nazismo, lo stalinismo europei. L’Europa non è ancora un demos, come i greci nella polis di Atene, o i cittadini di una nazione, per cui la democrazia post-nazionale è una costruzione particolarmente difficile.
In una fase, aggiungerei, in cui l’Occidente, negli Usa e in Europa, è malato di spoliticizzazione. La politica è diventata un "deserto", denunciava Hannah Arendt. E Eric J.Hobsbawm, a conclusione de "Il secolo breve", vede il rischio della democrazia proprio nel ritrarsi di un grande numero di cittadini dalla politica.
Mario Telò, tuttavia, è fiducioso. A conclusione della ricerca ritiene possibile che questa "strana" Europa, "potenza civile", scriva un giorno nella sua Costituzione il rifiuto della guerra come strumento di regolazione dei conflitti. Convinto che la dichiarazione di guerra, oggi, non è il culmine della politica, ma la sua negazione.