Il film furbastro di Gabriele Muccino: un po' di facile sociologismo, una pseudo-critica all'"Italia di Berlusconi", grandi movimenti con la macchina da presa, un finale che vorrebbe accontentare tutti.
Interessante, ben costruito su una densa rete narrativa, seppur con limiti di svolgimento, il film di Ferzan Ozpetek sulle differenze dei punti di vista.
L'ultimo lavoro di Gabriele Salvatores: un film "americano", nel bene e nel male: nei riferimenti, nel racconto, nel mestiere, nell'appagamento dello spettatore.
Recensito il film di George Clooney, qui regista, oltre che attore. Un lavoro sulla trash -Tv americana inquietante, soprattutto nell'Italia di oggi, ahinoi soggetta, anche politicamente, proprio alla trash-Tv.
Irritante il sequel del celebrato "Matrix": una frullata di messianesimo New Age, ciberpunk, e frasi vuote, che non riescono a nascondere, nella noia dei dialoghi, l'assenza di una storia. A questo punto, visto il fratello scemo, sorgono dubbi anche sul famoso primogenito...
Nuovo multisala a Trento: che intende specializzarsi - anche grazie alle dimensioni ridotte delle sale - nel film di qualità. E inizia con il Cineforum.
Il film di Gus Van Sant, bello e angosciante, sulla strage nella scuola di Columbine: e sulla difficoltà a capire, sulla drammatica insufficienza di ogni spiegazione.
Compiaciuta prova di bravura di Lars Von Trier: oltre Brecht e lo straniamento, un eccesso di teorizzazioni. E di lucidità: in un autore che vuole far piangere il pubblico rappresentando sentimenti che non lo coinvolgono.
Il film del russo Andrej Zvyagintsev, vincitore dell'ultimo Festival di Venezia, bello ma sopravvalutato: troppo ricercato, una prova di stile troppo compiaciuta.
Il film di Joe Dante mescola umani e cartoni, obbedienza ai codici di Hollywood ed autoironia cinefila. Gag a profusione, ma un po' di corrosività in più non sarebbe guastata.
Qualche stanchezza, la formula un po' ripetitiva, l'ideologia reazionaria più fastidiosa: comunque anche la terza parte della trilogia da Tolkien rimane uno spettacolo grandioso.
Da una reale storia maledetta, il cosiddetto "cacciatore di anoressiche", il film di Matteo Garrone porta all'estremo una classica situazione di coppia, il desiderio di cambiare l'altro finanche negli aspetti fisici.
Il film di Kevin Costner, che come se non fossero passati 40 anni, riprende tutti i canoni del grande western classico. Eppure ha incontrato un notevole successo. Perchè?
La "Passione di Cristo" di Mel Gibson non è un film che riusciamo a prendere sul serio. Nonostante il grande successo di botteghino e le aspre polemiche, sostanzialmente immotivate.
Del danese Peter Fly, "L’eredità" racconta il capitalismo dei tempi della globalizzazione attraverso la saga di una famiglia di industriali. Nuovo anche lo stile: quello povero di Dogma 95 (la scuola di Lars von Trier) ma meno estremo, ammorbidito e reinterpetato.
Il film del coreano Kim Ki-duk: estetico, formale, eppure intenso, con le sue false piste, i piccoli shock per lo spettatore, la densità dei contenuti.
La moderna catilinaria anti-Bush di Michael Moore mescola approfondimento ed ironia con un utilizzo pieno ed impegnato del linguaggio televisivo. Nonostante alcuni difetti ed ingenuità, un film sincero, che merita gli amplissimi successi di cui sta godendo.
Un supereroe con dei superproblemi, l'Uomo Ragno del regista Sam Raimi rispecchia l'America di Bush, superpotenza fragile. Poi, d'accordo, i marpioni di Hollywood confezionano il film in modo che ognuno ci trovi la lezione che più gli piace, e se ne esca comunque contento...
Il lavoro di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, tratto da filmati della Grande Guerra: un'operazione artistica e una riflessione politica sull'orrore bellico.
Il turco-tedesco Fatih Akin ci propone una riuscito esempio di multiculturalismo con un film che mescola nella trama, ma anche nello stile, le due culture.
Film a tre episodi: Steven Soderbergh e Wong Kar-Wai ne firmano due, come omaggio a Michelangelo Antonioni, autore del terzo. Purtroppo l'episodio di Antonioni è deludente e l'insieme non convince.
Il cinese Zhang Yimou realizza, in risposta alle imitazioni hollywoodiane, un film di arti marziali limitato nella trama, ma di grandissima suggestione visiva.
Di Martin Scorsese, è un film "da Oscar" nel senso deteriore: concepito per diventare un successo, tecnicamente mirabolante, ma freddo, noioso, convenzionale. Un ritratto del magnate Howard Hughes non certo agiografico, eppur timoroso delle verità più crude.
Questo di Jean-Pierre Jeunet un film caramella nella sua parte sentimentale; e un film importante in quella che descrive, con vivo realismo, la vita e la morte nelle trincee della Grande guerra.
Ferzan Ozpetek propone una rilettura, attualizzata, di "Europa ’51" di Rossellini. Ma esagera: nella trama, nelle citazioni, nella ricchezza e bellezza plastificata di ambienti e personaggi.
Pur qualche didascalismo di troppo, questo di Alessandro D'Alatri è un film fresco, interessante, sincero, sul non banale tema del rapporto tra lavoro e realizzazione personale. Con l'ottima interpretazione del giovane Fabio Volo.
Maurizio Nichetti, neodirettore della rassegna, ha impresso una svolta netta: positiva e riuscita (a parte qualche mugugno degli alpinisti più duri e puri).
"L’enfant", "The three Burials of Melquiades Estrada", "Don’t Come Knockin’", "Free Zone", "A History of Violence", "Operetta Tanukigoten", "Shangai Dreams", "Caché", "Le temps qui reste", "Batalla en el cielo": pagelline con voti.
Politicamente correttissimo (sui fondamentalismi e i rapporti tra le religioni) il film di Ridley Scott riesce ad evitare la noia didascalica: attraverso un'impattante costruzione visiva dell'epica.
Un thriller del coreano Park Chan-Wook sgradevolmente violento ed eccessivo, ma al contempo raffinato nel comparare l'impulso alla vendetta e l'ansia per la conoscenza.
Divertente il documentario di Sabina Guzzanti sulla censura berlusconiana in tv. E' però tutta l'operazione, e la satira-comizio del suo programma "Raiot", a non convincere.
Pur concepito per un'audience di bambini, il film di Tim Burton, al solito, parla di tematiche nere, pessimiste, all'interno di un'ammirevole, elegantissima creatività fantastica.
L'ultimo film di Roberto Benigni, come e più de "La vita è bella" si presenta come una variazione del capolavoro chapliniano "Luci della città". Ma Benigni, per quanto vitale, innocente e sincero, non è Chaplin.
Bel film d'animazione (orgogliosamente artigianale) di Tim Burton: che mescola e contrappone il mondo di vivi a quello dei morti, tifando per quest'ultimo, anarchico, orgiastico, libero da regole e compromessi.
Il DVD di Martin Scorsese su cinque anni della vita di Bob Dylan: che presenta senza infingimenti le contraddizioni di una star della protesta, che tradisce la sua storia per seguire la propria vocazione.
Il film dei fratelli belgi Dardenne racconta con stupefacente nitore la vicenda di due emarginati. Un uso straordinario della macchina da presa, che riesce in pieno nell'arduo compito di avvicinarci, coinvolgendoci in pieno, alla marginalità.
Peter Jackson riesce a trasfondere anche qui (ma non completamente) l'intreccio fantasy/effetti speciali così fortunato nel "Signore degli anelli"; e riesce pure a portare tematiche nuove e intriganti rispetto all'edizione del '33. Ma purtroppo, senza svilupparle appieno.
Una sorta di "Signore degli anelli" rozzamente semplificato l'ultimo lavoro della Disney, "Le cronache di Narnia". E' rivolto ai ragazzi? Sì, ed è diseducativo, non insegna a distinguere ma ad odiare (naturalmente il Male).
La storia di Pocahontas secondo Terrence Malick: profondità politico-filosofiche sugli incontri (anzi, scontri) di civiltà, raccontati attraverso una personalissima, lirica estetica.
La prima guerra del Golfo raccontata attraverso gli occhi dei marine: sbandamenti personali e devastazioni famigliari, per una finalità comunque percepita senza senso.
Il film sulla genesi di un (grande) romanzo che racconta e interpreta un fattaccio di cronaca: il soggetto, pur complesso, risulta affascinante; il film, pur buono, rimane un gradino al di sotto.
Oscar meritato quello assegnato al film di Paul Haggis: complesso, ambizioso e al contempo umile, un lavoro che pur spiazzando lo spettatore, lo convince. Protagonista Los Angeles. città luminosa dall'oscuro ventre notturno.
Il film di Nanni Moretti, legato alla strettissima attualità, al contempo ambisce a durare, diventando un segno dei tempi. Un teso film politico e civile su Berlusconi, sulla difficoltà a parlarne, che solo gli anni ci diranno quanto riuscito.
Su una rapina in banca, Spike Lee fa un film dalle tante sfaccettature, alla ricerca di verità più profonde dall'insieme di tante verità, storie, persone.
Di Werner Herzog l'inquietante film ricavato dai video di un appassionato studioso di orsi. Un discorso disincantato e tragico sul rapporto tra uomo e natura, con la narrazione che pietosamente si arresta, in un momento di intensa umanità, sul limitare della tragica conclusione.
Almodovar qui fa un film forse esasperato in un femminismo troppo unilaterale; e forse di maniera, secondo un suo stile che ormai è un clichè. Eppure è un film vero, drammatico e comico, che sa emozionare e divertire.
La storia di un lobbysta delle multinazionali del tabacco: caustica ed efficacissima satira del cinico debordare del business ad di sopra di ogni valore.
Mirabile film di Stephen Frears sulla regina Elisabetta alle prese con il fastidioso fenomeno mediatico "Lady D": le contraddizioni tra sentimenti e razionalità, austere tradizioni obsolete e modernità volgare.
Un racconto di innocenti errori che generano disgrazie e disperazione e in un crescendo che porta a un tragico caos, una dolorosissima mancanza di senso. Il messicano Alejandro Gonzáles Iñárritu, intrecciando abilmente diversi fili narrativi e spazi temporali crea un film angoscioso ed elegante.
Film low cost di Corrado Guzzanti: un'ottima, filologica parodia dei cinegiornali del millennio; e al contempo una centratissima satira sui temi dell'oggi. Guzzanti, oltre che grande interprete, si rivela grande autore.
Padri e bandiere, elementi stantii da retorica patriottarda. E invece Clint Eastwood, rinunciando a imporre il suo punto di vista ma restando aderente ai fatti, riesce a fare un film intenso e toccante.
Film che, narrando un episodio di stregoneria, vorrebbe presentare uno spezzone di storia del Trentino. Ma il carattere troppo amatoriale, oppure smaccatamente pubblicitario, fanno naufragare l'opera nel ridicolo.
Pippo Delbono e la sua ultima, difficile sfida: trasferire nel cinema il suo teatro, fattp delle vicende e della presenza scenica di "attori" presi dalle strade e dai manicomi. Un azzardo; ma riuscito.
Il film di Kaurismaki riprende e rielabora i temi di Chaplin: sulla positività dei perdenti, sull'affetto per i diseredati, sulla felicità che non è promozione sociale.
Un documentario di Davide Ferrario e Marco Belpoliti, che ripercorre oggi la strada di Primo Levi dopo Auschwitz. 6.000 chilometri nel postcomunismo, in una realtà irreale, accompagnati dalla lettura di brani de "La tregua".
Dopo “Flags of our fathers”, Clint Eastwood racconta la battaglia di Iwo Jima dal punto di vista dei giapponesi. E pur all'interno di un buon film, ineccepibile, il regista non riesce a volare così alto e scavare nel profondo come aveva fatto con il punto di vista americano.
Un documentario su un'intervista a Pasolini sul set di “Salò o le 120 giornate di Sodoma”: un discorso lucido, crudele ed attuale sul sadismo, sull'imbarbarimento dei giovani, sull'opera corruttrice della televisione.
Di Saverio Costanzo un film sulla vita in convento: un ambiente attraente eppur angosciante, narrato con pochissime parole e un uso sapiente della macchina da presa.
Militarista, grondante di retorica patriottarda e fascistoide, il film-fumetto su Leonida alle Termopili può essere letto come una chiara allegoria politica: pro interventismo americano. Se si passa sopra a tutto questo, e al compiacimento verso una violenza continuamente esibita, si può trovare una narrazione tesa ed incalzante, in un prodotto ben confezionato.
Frana nel ridicolo l'ultimo film di un grande regista come Ermanno Olmi: con alla base un anti-intellettualismo di maniera (con gli italiani messi in guardia dalle troppe letture!) che appare solo un vezzo masochista.
Di Danny Boyle un film di fantascienza (filone apocalittico) dal grande impatto figurativo e che dice qualcosa di nuovo anche sul rapporto uomo-macchina. Peccato che frani nell'ultima mezz'ora...
Il festival roveretano "Futuro Presente" dedicato a Bernardo Bertolucci: aveva senso? Non è un regista che ha dato il meglio quaranta anni fa e poi si è annacquato? Al termine della rassegna possiamo dire che...
Dal vincitore "Primavera in Kurdistan", alla "Febbre dell'oro" musicata dal vivo, alla "Vita e morte di Guido Rossa": la 55ª edizione del Festival della Montagna conferma la riuscita dell'impostazione (una montagna con meno sport e più umanità) della direzione Nichetti.
Film prezioso, profondo, coinvolgente, sulla DDR e la Stasi; e soprattutto sull'umanità che si deve adattare a convivere con sistemi politici intollerabili.
Da David Fincher un altro appassionante ed amaro film su un serial killer: ma soprattutto sulla sconfitta delle investigazioni, cioè sull'estrema difficoltà di interpretare la realtà. In una metropoli che tutto nasconde ed omologa.
Di Neil Jordan un film sulla vita di un ragazzo dall'incerta identità sessuale. Un tema delicato, trattato in manier frou-frou, un film troppo caruccio, che non riesce ad essere nè appassionante, nè credibile.
“La zona” di Roderigo Plà, “The Darjeeling Limited” di Wes Anderson, “La Graine et le mulet” di Abdellatif Kechiche, "I’m not there" di Todd Haynes, "Nightwatching" di Peter Greenaway, "Die Stille vor Bach" di Pere Portabella, "Disengagment" di Amos Gitai, "12" di Nikita Mikhalkov.
Un giallo, dell'esordiente Andrea Molaioli, pienamente convincente: lineare, con personaggi ottimamente caratterizzati, ambientato un un'asettica provincia friulana, un mondo senza tempo, capace di pietà.
Prima edizione del festival del film fatto in casa: riuscito, partecipato, ha saputo presentare, oltre a filmini brutti, opere decisamente convincenti.
Di Christian Mungiu, ambientato nella cupa Romania di Cesauescu, un film raro, avvincente al punto di far soffrire per due ore, costruito con uno stile perfettamente aderente alla vicenda narrata, semplice, triste e catartica.
Di Carlo Mazzacurati un bel film, intenso e delicato, ambientato nella provincia italiana del profondo Nord. Che è poi la vera protagonista della storia.
Un vivace film d'animazione (più che mai, per grandi e piccini) sull'... eno-gastronomia. Ma non solo: sul dialogo tra diversi, sul ruolo della critica, sulla civile importanza del gusto.