Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 8, 21 aprile 2007 Monitor

Centochiodi

Frana nel ridicolo l'ultimo film di un grande regista come Ermanno Olmi: con alla base un anti-intellettualismo di maniera (con gli italiani messi in guardia dalle troppe letture!) che appare solo un vezzo masochista.

"Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico". Mah. Sarà. Dipende. Dipende dal libro. Dipende dall’amico. E dipende persino dal caffè.

Il protagonista di "Centochiodi", ultimo film di Ermanno Olmi, è Raz Degan, che interpreta la parte di un professore di filosofia al quale un giorno, finiti i suoi corsi, viene in mente di entrare in una biblioteca di manoscritti antichi per piantare su un centinaio di essi dei grossi chiodi. Poi molla tutto e si rifugia sull’argine del Po.

Il rifiuto del mondo passa attraverso una serie canonica di stazioni: si assiste intanto al lancio di cellulare dall’auto in corsa, espediente già classico per mostrare l’addio definitivo di un personaggio al suo passato; poi c’è la tentazione del suicidio, che però si risolve in un meno drammatico disfarsi di giacca e portafoglio; poi c’è il momento in cui il professore abbandona la sua BMW cabrio, di cui Ermanno Olmi, praticamente, ha appena girato uno spot.

Il protagonista di "Centochiodi" pronuncia diverse frasi come quella che abbiamo citato in apertura. Frasi piene, enfatiche. Che si rivelano, però, in gran parte retoriche, perché si sciolgono appena le si prende in mano per guardarle con attenzione. In apertura, un cartello dice: "Ma i libri, pur necessari, non parlano da soli". Certo, d’accordo, ma... e quindi? Nella biblioteca di prima, il professore accarezza il polso di una sua studentessa e le dice: "C’è più verità in una carezza che in tutti questi libri". Può essere... Basta non dimenticare che esistono anche carezze che più false non si può...

Cos’ha voluto dirci quindi Ermanno Olmi realizzando un film come "Centochiodi"? Ha voluto ribadire il primato dell’azione sul pensiero, del vivere rispetto al riflettere. Ermanno Olmi si rivolge a un mondo ben specifico, quello colto/impegnato/intellettuale all’interno del quale egli si colloca come autore e cineasta. Perché non si vede per altri versi proprio nessuna esigenza di mettere in guardia la maggioranza degli italiani dal rischio di un eccesso di letture, dal pericolo di scambiare per vita il mondo dei libri, dall’azzardo di affezionarsi ai libri tanto quanto alle persone.

Consideriamo allora quali sono le vie d’uscita che il regista propone in alternativa al mondo tutto fatto di lettura e ragionamento che intrappolerebbe le nostre esistenze e ci impedirebbe un rapporto più semplice e veritiero con la concretezza della vita. Le exit-strategy, esplicitate, sono due: una è quella di un ritorno allo stato di natura; l’altra è quella del rifugio nella follia. Le due possibilità si combinano nella scelta di Raz di sistemarsi in un rudere nel Polesine.

Raz Degan, quando fugge dalla sua università è – per citare una canzone di John Lennon – "down and out". Come sostiene Lennon, quando si è down and out, notoriamente, "nobody loves you". Capita invece che Raz diventi subito un idolo locale, un eroe della piccola frazione dove si va a stabilire: tutti lo aiutano, gli stanno dietro, gli ristrutturano la casa, e poi si confidano, gli chiacchierano, gli offrono il lambrusco... Di questa entusiastica accettazione, di questo affetto, si può attribuire il merito alla fantastica ospitalità emiliana; oppure al fatto che Raz somiglia molto a Gesù Cristo. Ma il sospetto è che tutti (e soprattutto: tutte) siano così buoni con Raz perché Raz è molto ma molto figo. Il sospetto è confermato anche nei dialoghi: panettiere e commesse continuano a ribadirlo. E quindi, purtroppo, rischia di passare una messaggio del genere "nessuno ti vuol bene quando sei depresso e a terra... a meno che tu non sia figo come Raz Degan". Non è un granché come morale…

Per tornare invece all’aspetto vitalistico e antiintellettuale del film, segnaliamo che il protagonista, dopo aver inchiodato un bel po’ di libri, si ferma prima di sacrificarne un altro: quel libro è il Vangelo di Giovanni (la dritta è di Pier Giorgio Cattani), che viene così risparmiato dalla furia iconoclasta. Ermanno Olmi riconosce quindi che effettivamente esiste qualche libro buono, utile a vivere meglio, a trovare forme di convivenza meno banali e tristi. C’è Giovanni a porre un limite a questo masochismo anti-intellettuale. Meno male. Perché ci sembra francamente esagerato arrivare ad invidiare, come fa Raz, la vita di un maresciallo dei carabinieri solo perché ha letto in vita sua neanche una decina di libri e quindi avrebbe un passato da raccontare.

L’argine in riva al Po con le sue orchestrine di liscio fa molta simpatia, ma non ci viene così tanta voglia di buttare al fiume, in cerca di una vita come quella, le chiavi delle nostre BMW. In quel paesino disperso di sicuro non si trova neanche un cinema, neanche una libreria. Alla lunga, il rischio di annoiarsi è decisamente concreto.

Parole chiave:

Commenti (2)

l'ho...visto! enduromac

Mi scuso per il refuso: Ero così grato, che l'ho.... Commentato di getto, senza rileggere.

grazie enduromac

Il mio giornale di riferimento filmTv lo da buono. Lo visto: Sei stato anche troppo buono! E' talmente imbarazzante che ti senti persino in colpa ad averlo guardato: Di cosa sarà malato Olmi? Possibile sia sano e in cattiva fede?
Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.