Neocatecumenali: i nuovi cattolici
Dentro una Chiesa che affoga nella secolarizzazione, mettono radici movimenti ultra conservatori che avanzano senza far rumore. Un’iniezione di linfa che nasconde non poche insidie per i seguaci.
Piazze gremite di gente d’ogni età si muovono a ritmi spagnoleggianti. Immersi in un clima festoso ondeggiano migliaia di bandierine colorate. L’atmosfera sprizza calore e un’euforia contagiosa. In alto troneggia l’artista andaluso Kiko Argüello, imbracciando la sua inseparabile chitarra che vibra suoni simili al flamenco. Con voce vigorosa e un piglio deciso, marcato da una folta barba, capisci subito che Kiko è un oratore che infiamma le folle. Forse il suo nome sarà sconosciuto ai più. Non stiamo parlando solo di un mattatore, ma di un leader alla guida di un’organizzazione spirituale che attira seguaci in tutta Europa. Le truppe dei neocatecumenali in Italia lievitano silenziose con 300.000 fratelli suddivisi in 1.500 comunità. Basta dare un’occhiata a Internet per capire che la lista è corposa e trova casa proprio dentro la Chiesa. Sono infatti le parrocchie a spalancare le porte a questi adepti che paiono portare una sferzata di energia a un cattolicesimo che sta perdendo pezzi, con banchi e seminari sempre più vuoti. Eppure, grattando sotto la superficie, affiorano alcune crepe che ci fanno conoscere il lato oscuro e insidioso di questo cammino spirituale. Ho raccolto lungo la Penisola le voci di chi milita nel gruppo e di chi l’ha abbandonato, sgretolando un muro di omertà, per capire cosa si cela dentro le spire di questo misterioso movimento.
Seguendo il profeta
Sorride Kiko, accanto alla mite figura di papa Ratzinger, nella pubblicità del suo libro autobiografico “Il Kerigma”. Rovistando in edicola, m’imbatto in questa immagine rassicurante, che suona come garanzia di un gruppo spirituale ortodosso, benedetto da Santa Romana Chiesa. A Trento, nella parrocchia di San Giuseppe, che accoglie la comunità neocatecumenale, non c’è traccia in bacheca della loro messa, che si celebra il sabato a tarda ora. Girovagando in una serata con pioggia scrosciante, trovo la porta della chiesa serrata. Un fascio di luce attira i miei occhi nei locali dell’oratorio. Uno squarcio che si apre fra lunghi tendaggi mi offre uno sguardo fugace su un ampio locale affollato. Di primo acchito penso a un incontro conviviale di famiglie con tanti bambini. Tutti sono seduti a semicerchio attorno a un grande tavolo agghindato con tovaglia bianca, fiori freschi e un grosso cero. A lato spicca un crocefisso di semplice fattura e la figura di un prete seduto silenzioso su un trono, un po’ in disparte. Appena un seguace si accorge dell’intrusa che sta sbirciando, si alza e mi lancia un’occhiata sinistra. Capisco che non è il caso di intrufolarmi in una cerimonia che trasuda un’atmosfera un po’ esclusiva. Torno a casa con un tarlo in testa: quel che ho visto mi pare un incontro spirituale innocuo, gestito dalla comunità, per di più con la vigile presenza di un prete. Non sarà che ho preso un abbaglio? Eppure i guasti di quest’organizzazione sono impressi nelle voci di migliaia di fuoriusciti.
Basta aprire le pagine dei corposi libri di don Enrico Zoffoli o don Elio Marighetto, che hanno denunciato a vescovi e alti prelati le eresie del movimento, per toccare con mano le odissee che produce il cosiddetto “Cammino”. Oppure dare uno sguardo ai siti che raccolgono gli ex militanti per squarciare la luccicante facciata. Mi chiedo cosa spinge gli adepti a seguire un cammino spirituale impegnativo, lungo molti anni, sulle orme di Kiko. Un profeta spedito da Dio per dare uno scossone alla Chiesa e riportarla alle origini, smacchiandola da ogni idolatria e paganesimo. Una fucina che forgia cristiani di serie A. Perché solo gli eletti, fedeli alla dottrina del leader e dei suoi discepoli, i catechisti, potranno salvarsi. Solo gli eletti potranno scrivere alla fine del Cammino il proprio nome sulla Bibbia. Tutti gli altri ingrosseranno le truppe dei cristiani della domenica. Anna ha scelto di non essere una cristiana della domenica. Nella sua casa dove ogni cosa è al suo posto, non ti aspetti di trovare cinque bambini che scorrazzano allegri ovunque. Alle pareti le immagini dei figli tracciano le impronte della loro crescita. Un’altra foto grande, al centro della stanza, fissa un altro percorso. È la guida spirituale di Anna: Kiko Argüello. Lei storce il naso quando parlo di “movimento”, vuole che si parli di comunità: “Avevo quasi chiuso le porte della chiesa, ci andavo ormai occasionalmente trascinando le gambe e la testa. Eppure il vuoto lo avvertivo, perché nella mia famiglia siamo sempre stati credenti ferventi. Poi un parente mi ha parlato di questo Cammino. Forse io avevo proprio bisogno di aggrapparmi a un gruppo per vivere una cosa forte, per sentire una fede autentica. Certo il percorso è impegnativo, ma almeno non mi sento più passiva. Le nostre messe risvegliano emozioni perché sono arricchite dal ritmo dei canti e dal racconto delle nostre esperienze. Ognuno di noi si mette in gioco.Anche il fatto di aprirmi a un gruppo più ampio mi dà sicurezza, conforto, consiglio. L’ambiente è molto caldo, tra fratelli ci si ama. A volte è tutto”. La catechesi di Kiko fa breccia nel cuore di molti seguaci. Al motto “Evangelizziamo il mondo”, Kiko diffonde la propria interpretazione delle Scritture. Eppure più di un’ombra si addensa dietro questa organizzazione piramidale. Lo spiega in modo eloquente Luca, un ex adepto cinquantenne che ha alle spalle 15 anni di Cammino: “Al vertice c’è Kiko, che decide ogni cosa ed è venerato più del Papa. Vive in un grande loft poco distante dalle mura vaticane. È un laico, un pittore, a un certo punto del percorso ogni adepto deve comprare un suo quadro. Tutti gli ornamenti liturgici sono disegnati da lui. È affiancato dall’ex suora Carmen Hernández, esperta in teologia, e dal sacerdote Padre Mario Pezzi, garante dell’ortodossia del Cammino. Sotto ci sono i catechisti, quelli che operano nelle parrocchie, facendo il lavoro di manovalanza - spesso è gente rozza - poi ci sono i catechisti regionali, infine c’è Roma. La catechesi è segreta, con un percorso a gradi. Kiko si rifà alla tradizione ebraica, più che a quella cattolica, anche nei canti. Nelle sue interpretazioni però è attento a mettere postille che riportano al cattolicesimo. I seguaci prendono come oro colato questa catechesi che è ripetuta a memoria, senza poter fare domande, anche negli aneddoti che Kiko racconta per far sorridere. I catechisti non svelano l’arcano, col pretesto di non guastare il misticismo di questo dono del Signore. In realtà sanno che molti raddrizzerebbero le antenne. Quando ti sarà svelato il tuo lavaggio del cervello sarà già avanzato. È una specie di stupro mentale per soggiogare intere famiglie”.
Siamo tutti peccatori
Che cosa può fare l’uomo se non peccare? Può solo rubare, invidiare, essere geloso. Un uomo che si è allontanato da Dio è in balìa dei demoni e del maligno, dunque come potrebbe fare il bene? Perché allora dovremmo appiccicargli delle colpe se ha una natura corrotta? La dottrina di Kiko ha un’impronta pessimistica dell’uomo, ma indica la strada per salvarsi: se non puoi evitare il peccato, riconosciti peccatore. Un brivido mi corre lungo la schiena quando apprendo le tecniche dei neocatecumenali per penetrare negli abissi del male. Una lama che affonda nella vita intima di ogni seguace a caccia dei particolari più scabrosi. Perché ognuno ha qualche scheletro nell’armadio e deve farlo uscire davanti a tutti i fratelli. Sottoporsi a questa gogna pubblica serve per balzare ad un grado superiore del Cammino, ad un passo dalla salvezza.
Si tengono degli incontri a porte chiuse che hanno il sapore di un’inquisizione, guidati da catechisti inclini a mettere il dito nella piaga. Perché solo loro sanno fiutare in ogni adepto i segni della fede. Luca è irrefrenabile quando tocca questo vissuto: “Esiste una confessione, detta penitenziale, ove in una stanza ci sono alcuni sacerdoti, e ogni fratello a turno va a parlare singolarmente con il prete. Poi, verso il quinto anno, c’è una tappa del Cammino che si chiama scrutinio. Qui Kiko ha predisposto nove domande cui il seguace deve rispondere. Dovevi spiattellare la tua vita prima del Cammino e gli idoli - le passioni, i vizi - ai quali ti sottomettevi. C’erano racconti di aborti, di adultèri, di droga. Magari, se tua moglie non faceva sesso con te, i fratelli la riprendevano perché non si apriva alla vita. Chi parlava poco rischiava di non superare questo passaggio. Il motto era: se non sei nella verità, non puoi conoscere Cristo e resti preda del demonio. Dopo cinque anni con i fratelli inizi a spaventarti, pian piano si dice tutto. Lo fa anche il prete. Tu pensi di esserti liberato, invece ti ritrovi spogliato della tua dignità, perché ormai tutti sanno quello che sei”. La frase martellante “Sono un peccatore” risuona nella testa di ogni adepto, lasciando una scia di turbolenze nell’anima. “Ho visto gente piangere, o andare in cura psichiatrica - rammenta Luca -. Un uomo si è tagliato la gola dopo anni di Cammino”.
Denaro: sterco del demonio
“Non sono mai stata una persona superficiale. - racconta Anna, una seguace – Però attraverso questo percorso mi percepisco in modo nuovo, sono meno legata all’apparire e capisco quali sono le cose importanti. Ora sono dentro la fede e mi sento più libera. Prima avevo una felicità effimera”. Quando sento questa frase, un monito di Kiko mi ronza in testa: ”Dovrete accettare che amerete Dio più del denaro”. Perché Dio non ammette due padroni e ogni adepto, se vuole entrare nel Regno, si trova di fronte a questa scelta. Può inseguire senza felicità i suoi idoli: denaro, lavoro, figli, marito, moglie. Oppure abbandonare il suo Io e vivere con quello che Dio gli offre. Dalle testimonianze dei fuoriusciti colgo che questo non è un consiglio ma un ordine. Un’obbedienza che è passata ai raggi X con apposite sedute per sondare se il seguace ha tagliato i ponti con le sue idolatrie. Se attraverso il Cammino ha cambiato davvero pelle, gettando alle ortiche l’uomo vecchio. Ogni seguace, giunto a una certa tappa del percorso, sente sul collo le pressioni psicologiche per cedere qualche bene all’organizzazione. Con una scia di conflitti accesi in famiglia qualora il partner non veda di buon occhio la scelta. “All’inizio – chiarisce Mario, un ex adepto quarantenne – si fanno offerte mensili o qualche colletta. La botta arriva alla seconda tappa del Cammino, il cosiddetto scrutinio. L’attaccamento al lavoro è visto come una cosa brutta, anche se il cristianesimo non lo condanna. Il dio mammona è l’origine di tutti i mali e te ne devi staccare. E devi dimostrarlo con un gesto forte. In uno di questi passaggi, come responsabile, raccolsi 66 milioni di lire fra 42 fratelli. So di gente che ha donato case e terreni. Dopodiché ogni mese un decimo dello stipendio verrà versato in una busta. Anche la baby sitter che guadagna 200 euro al mese, tanto Dio provvede. Un terzo della raccolta va agli arredi liturgici, 1/3 ai poveri però della stessa comunità neocatecumenale, infine 1/3 ai catechisti”. L’ingranaggio della macchina organizzativa va continuamente oliato man mano che lievitano gli adepti. C’è bisogno di foraggiare i propri seminari “Redemptoris Mater”, che sfornano pattuglie di nuove leve che avranno l’onore di utilizzare una sedia che Kiko ha disegnato in esclusiva per loro. Altri rivoli di denaro arrivano alle famiglie itineranti, inviate nei luoghi più sperduti del mondo per diffondere la catechesi. Seguo il video di un vecchio raduno in cui Kiko chiama a raccolta queste truppe. Le invita a farsi sentire in un vociare chiassoso che crea un’atmosfera effervescente. In alto si staglia il profilo di Papa Wojtyla, che sembra rapito da questa marea umana. Loro sono già pronti a partire, aspettano solo un cenno: la sua benedizione. Mara, una fuoriuscita trentenne, puntualizza con la sua voce vibrante: “Nei paesi non fanno alcuna beneficenza. Il movimento richiede solo di catechizzare, non di fare volontariato”.
La tela del ragno
Aleggia un’atmosfera di segretezza nelle comunità neocatecumenali. È davvero difficile capire cosa si cela fra le loro mura. Non solo perché i riti sono celebrati per lo più separatamente dal resto dei cattolici, con propri addobbi e liturgia; c'è anche un ammonimento delle guide spirituali a non spifferare niente a chi sta fuori, perché, come dice Kiko, si spaventerebbero. Un osservatore esterno può partecipare a un primo ciclo di catechesi, ma trova la porta sbarrata nelle successive tappe, quelle a stanze chiuse.
Se l’esperienza spirituale si capisce solo vivendola, molte impronte sono lasciate da chi ha abbandonato il gruppo. Un fuoriuscito è visto come una spina nel fianco dall’organizzazione perché squarcia il velo di silenzio e può contaminare con influssi negativi chi rimane dentro. Dalla loro testimonianza, però, possiamo carpire come si tesse la tela del ragno, comune a molti gruppi settari, che intrappola i seguaci. Con una dottrina martellante protratta con riunioni a tarda notte che ti toglie il respiro. Perché la comunità, che è l’incarnazione di Dio, diventa la tua vera famiglia. Tutto il resto - coniuge, figli e carriera - può aspettare. “La comunità ti coinvolge senza che te ne accorgi - spiega Luca -. Gli impegni settimanali come responsabile lievitano, finché ti prende a 360 gradi. Anzitutto devi essere sacerdote nella tua famiglia, perché se non riesci a convertire tua moglie sei un fallimento e rischi di uscire. Poi dev’esserci una totale apertura alla vita, al generare, perché i figli sono un dono di Dio. Se sei sposato da un po’ e non arrivano, o dichiari la tua malattia, oppure i catechisti iniziano a indagare. Come mai? Usi dei contraccettivi? E c’è sempre sto cazzo di demonio in mezzo!”. Chi ha il coraggio di spezzare questo legame è coperto da insulti e maledizioni. Alcuni lasciano temendo lo scherno o i ricatti perché hanno affidato i segreti più reconditi nelle mani dei fratelli. È palpabile nelle parole di Mario lo smarrimento di chi ha perso le redini della sua vita, sospeso in un vortice di emozioni che travolgono: “Chi attacca l’idolo del Cammino può rimanere schiacciato. Sono potenti a livello sociale. Ho visto sacerdoti e vicari trasferiti. Certo sei libero di lasciare, ma ti ricordano chi eri, cosa hai combinato, perché sanno tutto di te. Ti fanno sentire una merda: eri solo un adultero, un drogato… Loro diventano i gestori della tua famiglia, ti dicono se tenere a casa tua madre o no, se lasciare i tuoi perché contrastano il Cammino. Solo un fratello può capire i problemi di un altro fratello. In comunità avevamo tutto: il nostro psicologo, il medico e l’avvocato”. Colgo che il bozzolo che racchiude i seguaci ha una trama fitta. Lì dentro lentamente prende forma l’uomo nuovo, avvolto da pareti protettive. Qualcuno però sente il bozzolo troppo stretto e decide di uscire per rimettersi addosso gli stracci logori e sfilacciati dell’uomo vecchio. Camminerà con le sue infinite debolezze. Ma senza catene.
Una setta dentro la Chiesa. Intervista al sociologo Marco Marzano
A volte mi capita di immergermi in un libro accattivante che stuzzica ogni recesso della mia curiosità. Un input che mi spinge a frugare dentro nuovi argomenti e accende la scintilla per una futura inchiesta. Questo è successo proprio dopo che ho chiuso le pagine del saggio “Quel che resta dei cattolici”, edito da Feltrinelli, di Marco Marzano. Ordinario di Sociologia a Bergamo, è autore di numerose pubblicazioni su temi sociali. Con il suo sguardo sensibile e approfondito ha vagato a lungo dentro un cattolicesimo secolarizzato, incontrando parrocchie in declino, ma anche nuovi movimenti religiosi settari ricchi di vitalità. Attraverso il suo aiuto cercheremo di cogliere il lato nascosto dei neocatecumenali. Queste comunità sono una Chiesa parallela, ma con riti separati dal cattolicesimo tradizionale. Che tipo di riconoscimento hanno?
“Come organizzazione cattolica sono legittimati a tutti gli effetti. Se c’è l’accordo del prete possono quindi stabilirsi nella parrocchia con le loro attività. Nel 2008 Papa Ratzinger ha riconosciuto con uno statuto queste comunità come ‘strumento al servizio dei vescovi per la riscoperta dell’iniziazione cristiana da parte degli adulti battezzati’. L’approvazione di questo statuto ha richiesto agli adepti solo qualche minima variazione dei loro riti liturgici, quali l’apertura delle messe del sabato al resto della popolazione o l’eucarestia ricevuta in piedi anziché seduti. Nel 2010 il Pontificio consiglio per i laici ha riconosciuto l’ortodossia della loro catechesi, sebbene i testi siano tenuti segreti e svelati dai catechisti solo man mano che prosegue il Cammino”.
C’è chi ha denunciato le crepe di quest’ organizzazione. Lo stesso cardinal Martini le vietò nella sua diocesi. Come mai vescovi e Vaticano non intervengono?
“Molti vescovi hanno espresso il loro dissenso con atti pubblici. Negli anni ‘80 sono intervenuti quelli di Brescia, Milano, Novara. In seguito hanno fatto sentire la loro voce quelli di Torino, Firenze, Palermo, Vicenza. Alcuni sono stati ostacolati nelle loro diocesi. I vescovi non hanno potuto incidere molto perché i neocatecumenali hanno avuto il pieno sostegno del Vaticano. In primis Giovanni Paolo II aveva un approccio entusiasta con i militanti. Non a caso la teologa del gruppo, Carmen Hernández, poteva circolare liberamente nelle stanze papali. Papa Wojtyla considerava queste comunità come un lievito per rivitalizzare il tessuto delle parrocchie inaridito dalla secolarizzazione. Viaggiatore instancabile, non nascondeva inoltre una particolare sintonia con le famiglie itineranti del Cammino, dedite ad annunciare il Vangelo in giro per il mondo. I neocatecumenali hanno sempre manifestato grande fedeltà al Papa e alle sue direttive morali, in cambio hanno ottenuto la legittimità. Infatti, in accordo con i vescovi, hanno creato in Italia dei propri seminari, che sfornano molte nuove ordinazioni con una formazione spirituale neocatecumenale. I preti rimangono a disposizione del vescovo locale solo per qualche anno, poi Kiko decide del loro servizio. Papa Ratzinger ha espresso un approccio più tiepido con i militanti, ma in concreto, con l’approvazione dello statuto definitivo, ha mantenuto una certa continuità. Dubito che il nuovo Papa Francesco possa mutare una realtà solida e legittimata, che secondo varie testimonianze apporta molte risorse finanziarie ai vertici curiali. Solo se avesse una sensibilità molto distante da questi gruppi, potrebbe indebolirli”.
Che ruolo hanno i preti che militano nel gruppo e perché hanno un’accettazione passiva di ciò che succede all’interno?
“I preti nel Cammino sono semplici amministratori dei sacramenti, per fare la confessione o l’eucarestia. Loro sono indispensabili per legittimare la cattolicità, altrimenti i neocatecumenali non potrebbero stare nelle parrocchie. Essendo comunità laicali, la struttura di comando non è centrata sul prete, bensì sui catechisti. La maggioranza dei parroci si rifiuta di avere il Cammino sul proprio territorio. Alcuni accettano perché sono fiaccati da molti anni di servizio e temono il banco vuoto. L’entrata di questi fratelli dà ossigeno a parrocchie agonizzanti. Se il vescovo è favorevole al Cammino e riceve da questo risorse finanziarie, anche il prete difficilmente si oppone, perché rischia di non far carriera”.
Quest’organizzazione rientra nella tipologia di una setta religiosa?
“Se facciamo riferimento alle definizioni sociologiche più accreditate, rientra in un gruppo settario, al pari dei Testimoni di Geova, dei mormoni e di molti altri gruppi. Caratteristiche comuni sono l’impegno totalizzante, l’adesione per scelta volontaria, il distacco dei militanti dall’impegno sociale e politico. Il perno deve essere l’attività spirituale, il resto potrebbe distrarre. C’è una forma di fuga dalla realtà, anche se c’è qualche sporadica partecipazione dei neocatecumenali a raduni tipo il Family day. Sono gruppi che attirano persone in cerca di ancoraggi sicuri perché hanno smarrito la loro identità. Qui mettono in gioco le loro biografie, per scoprire la Verità e i suoi aspetti benefici. In realtà la storia personale si blocca al momento della conversione, perché il futuro è già scritto”.