“Super size me”
Della serie dei documentari impegnati e ironici alla Michael Moore, colpisce nel segno il lavoro di Morgan Spurlock contro la McDonald's.
"Questa sera mangerete della carne e domattina sarete saziati di pane e riconoscerete che sono il Signore vostro Dio" (Esodo, 16, 12).
La manna che viene servita da McDonald’s non cade dal cielo, ma è forse il prodotto alimentare che più si avvicina alla gratuità dell’alimento biblico. Non per niente i locali dei fast food sono frequentati, in prevalenza, da un popolo peregrino come quello di Mosé. Ma invece della Terra Promessa, com’è noto, queste cattedrali del consumo indicano la via che conduce piuttosto alle lande dell’obesità.
Morgan Spurlock, regista e protagonista del film "Super size me", si è messo in testa di sperimentare sulla sua pelle le conseguenze del tipo di alimentazione preferito dagli americani. Sempre seguito da una videocamera, si è recato per trenta giorni, colazione pranzo e cena, a mangiare i menu Super size di Mcdonald’s: piccoli grattacieli di hamburger, etti e etti di patatine fritte, due litri esatti di Coca Cola ghiacciata. Inutile dire che alla fine dell’esperimento - svoltosi sotto stretto controllo medico - Spurlock è aumentato di undici chili, si è rovinato il fegato e ha raggiunto livelli stellari di colesterolo.
Va subito precisato che se un’eroica cavia locale volesse sottoporsi allo stesso trattamento mangiando per un mese e per due volte al giorno sovrabbondanti menu turistici in un ristorante tipico trentino l’effetto finale non sarebbe tanto diverso. Ma il fatto è che a McDonald’s è attribuito una sorta di ruolo totemico all’interno della società contemporanea, non solo quella americana. E bisogna dire che la catena della grande M gialla questo ruolo se l’è accuratamente cercato, attraverso operazioni di marketing che sotto la superficie colorata sono in realtà molto aggressive e, anche se in modo trasversale, del tutto ideologiche.
Questa componente dottrinale è evidenziata in modo trasparente dalle scelte alimentari dei bambini, i più esposti, come mostra "Super size me", ai condizionamenti pubblicitari. Il regista fa vedere a dei bambini delle elementari immagini di personaggi famosi. Viene chiesto loro di identificarli. Qualcuno riconosce George Washington, qualcuno Gesù Cristo, tutti riconoscono Ronald McDonald, il pagliaccio-mascotte della catena di fast-food. Quando John Lennon aveva detto, durante la tournée americana del 1965, che i Beatles erano diventati più famosi di Gesù Cristo, si erano sollevate reazioni indignate e violente da parte di una vasta gamma di fondamentalisti cristiani. Ora pare che quatto quatto Ronald McDonald sia diventato più famoso di Gesù Cristo de facto, e nessuno ci fa più caso.
Nel film vediamo anche che i bambini, alle mense scolastiche, mettono placidamente nei loro vassoi il medesimo junk-food che sono stati educati a mangiare. Una bambina può decidere tutta contenta di scegliersi come pranzo tre merendine confezionate. "Super size me" mostra davvero bene quanto possa essere indotta la scelta apparentemente privata di cosa mangiare.
Insieme ai grassi di McDonald’s si introietta quindi anche un’ideologia. E’ da una decina d’anni che si parla di "mcdonaldizzazione del mondo", intendendo affermare che questo stile alimentare è il simbolo di un modo di vivere: frettoloso, superficiale, poco attento alle effettive conseguenze delle proprie azioni. Dal fast-food si passa al fast-living e poi a quello che il sociologo Pierre Bourdieu chiama il fast-thinking che caratterizza i pensatori da salotto televisivo.
In contrapposizione a questa cultura, si è scatenata da qualche anno la reazione "da sinistra" che conosciamo: Slow Food, gli itinerari enogastronomici, i cibi etnici e tutto il resto.
Eppure sembra che anche tale vocazione godereccia sia avversata dai vari ministri della sanità, che si preoccupano di dirci di mangiare pochissimo, dato che la polenta fa male, la carne malissimo e il vino è veleno. Seguendo questo ragionamento, il povero McDonald’s non fa che enfatizzare un difetto che l’alimentazione tutta contiene già in sé. Forse l’unica vera salvezza sta nel cibo degli astronauti di "2001: Odissea nello spazio", che succhiano delle cannucce attaccate a un vassoietto su cui sono disegnati cerali e piselli.
"Super size me" si colloca sulla scia dei recenti successi del documentario impegnato alla Michael Moore. Sull’effettiva influenza di questi j’accuse cinematografici si attendono dati certi. Forse "Fahrenheit 9/11" è riuscito a sottrarre qualche voto a Bush, ma non abbastanza. Pare già, invece, che il film di Morgan Spurlock abbia indotto la McDonald’s a ritirare la sua offerta di menu Super size. Le grandi corporation sanno davvero assimilare tutto: della leggerezza - se si vende - la casa del Big Mac è pronta a farsi bandiera. Tutto quello che si vuol rivolgere contro questi colossi rischia di essere filtrato e assorbito dai loro uffici marketing. Come teorizza Michel Foucault, il potere sa come usare chi vi si oppone come punto d’appoggio, come sporgenza per una presa. Nel nostro caso, per rilanciare nuovi menu a base di gustose insalate.