Volver
Almodovar qui fa un film forse esasperato in un femminismo troppo unilaterale; e forse di maniera, secondo un suo stile che ormai è un clichè. Eppure è un film vero, drammatico e comico, che sa emozionare e divertire.
La prima inquadratura è un carrello da destra a sinistra, in un cimitero. Delle donne, presumibilmente vedove, sistemano le tombe. Questa carrellata, ha scritto Enrico Ghezzi, è "contro-mano (o contro-occhio)". Il carrello, infatti, andrebbe fatto da sinistra a destra, nella direzione in cui si scrive, in cui il nostro occhio è abituato a muoversi quando legge una riga. La scelta grammaticale che apre "Volver" anticipa come Pedro Almodóvar voglia, come al solito, andare controcorrente. Ci dà subito l’idea di un ritorno, di un movimento all’indietro: qualcosa dal passato, dal regno dei morti, torna a infastidire i vivi, o a svegliarli.
Nel paese della Mancha in cui, almeno per metà, è ambientato il film, le donne rimangono sole, perché vivono più a lungo degli uomini. Ma anche quando i mariti sono in vita, non è che essi siano di gran compagnia: sono violenti, sotto-occupati, falsi, egoisti, animaleschi. Queste caratteristiche negative saltano da una generazione all’altra, accomunando padri e figli nel disastro esistenziale. E così le donne rimangono sole anche nelle periferie di Madrid, dove i mariti si gonfiano di birra e si lasciano andare a istinti malvagi.
In "Volver", le donne non hanno il monopolio solo della cura delle anime dei defunti, ma sono le uniche a star dietro ai figli, a curare la casa, a inventarsi un lavoro, a essere sincere, buone, capaci. Le uniche a tener duro nella vita. Gli uomini, quando appaiono in gruppo, sono vestiti in nero, riuniti in un patio per un funerale. Questi uomini neri suscitano diffidenza. In loro, visibilmente, non si trova la solidarietà di genere che il film ci mostra in tutto il suo estremismo: le donne sono pronte a sostenersi in ogni circostanza, anche quando si vanno a inguaiare, magari ammazzando il marito.
Va aggiunto che con questa scelta femminista dura Pedro Almodóvar, un maschio, si infila in un discorso vischiosetto, creando un’asimmetria di ragionamento che puzza un po’ di mimosa. E’ un pelino retorico parlare di donne superiori agli uomini, mostrarlo nei film e ribadirlo nelle interviste con dichiarazioni come questa: "Credo che la vita sia stata più generosa con gli uomini che con le donne perché le donne sono superiori, anche fisicamente. Tenere una casa credo sia molto più difficile – tra figli, soldi e vicini – che governare un paese". Una equivalente dichiarazione a genere invertito sarebbe insostenibile. Basta questo a evidenziarne la fragilità. E’ pur certo che, finché lo squilibrio tra generi rimane quello che è e finché leggiamo sui giornali certe raffinate raffigurazioni dell’universo femminile così come le concepisce la nobiltà nera, del femminismo di Almodóvar è bene farsi bandiera.
D’altra parte, a stemperare i toni della partigianeria femminista più accesa basta un solo piano di ripresa, che esalta il corpo femminile in tutta la sua carnalità. Vediamo inquadrata dall’alto, in plongée, Penelope Cruz mentre lava i piatti. Tutto il film sembra ruotare attorno a questa composizione. Il decolté vale da solo i sette euro del biglietto. Le tre forme circolari, le curve del piatto e le curve dei seni, danno il capogiro. Come nelle opere di optical art, il quadro crea l’illusione di un movimento ipnotico. Una sensazione di morbida e umida innocenza sale dal lavello. Il plongée, in questo caso, è un vero e proprio tuffo, un tuffo nell’acqua schiumosa di detersivo e un tuffo al cuore. Ecco, questo omaggio alla bellezza del genere femminile da parte di Almodóvar (che prova, com’è noto, un’attrazione verso le donne più estetica che ormonale) vale almeno tanto quanto gli altri, quelli più verbosi dichiarati nelle interviste. E nella sua perfetta, geometrica astrazione, l’omaggio sembra persino più sincero e affettuoso.
Per il resto, Almodóvar realizza, con "Volver" un altro film estremamente attraente, piacevole, buono per tutti i gusti. E si fa fatica a rimproverargli di aver forse perso un po’ dell’acidità delle origini (quella di "Che cosa ho fatto io per meritarmi questo?") se i prodotti sono di tale livello, con una sceneggiatura che fila liscia e tesa fino alla fine mentre racconta una storia che ha dentro il dramma e la comicità, il divertimento e la paura, l’emozione e la parola. Non si può certo rimproverare a Pedro Almodóvar di non aver saputo rimanere fedele a se stesso. Si è notata del resto a Cannes 2006 una tendenza degli autori a restare al sicuro negli spazi costruiti dai propri cliché, pur straordinari: Almodóvar, Kaurismaki e (già anche) Inarritu e Bilge Ceylan han mostrato le loro storie, alla loro maniera. E non c’è niente di male, perché le cose che raccontano rimangono vive, sentite. "Volver" sarà forse anche, volendo, un film "di maniera". Però è maniera di alto, altissimo livello.