Anvedi come nuota il Che…
"I diari della motocicletta", di Walter Salles, film peraltro piacevole su Che Guevara, qui nelle vesti di super-eroe.
Ernesto Guevara, aspirante medico, dopo aver attraversato l’America Latina in compagnia del suo amico argentino Alberto Granado, arriva in un lebbrosario in Perù, sulla riva del Rio delle Amazzoni.
Qui troviamo un episodio su cui vogliamo incaponirci: il Che attraversa a nuoto il fiume. E’ una sfida alla potenza della natura e alla forza del pregiudizio che tiene separati da un corso d’acqua personale e ammalati.
Nel film di cui parliamo - "I diari della motocicletta", ritratto del rivoluzionario da giovane ad opera del regista brasiliano Walter Salles - l’episodio lo vediamo descritto così: Guevara nuota rantolante in questo fiume buio e vorticoso, alternando il crawl con un po’ di rana. Su una sponda del fiume, quello da cui è partito, sta il suo amico Alberto. Lui e gli altri medici gli gridano: "Nessun uomo ha mai attraversato a nuoto questo fiume!". Sull’altra sponda, i lebbrosi incitano le bracciate del Che come spettatori del ciclismo in una tappa di montagna. La traversata è lunga, ma alla fine l’eroe emerge dalle acque e viene acclamato.
In effetti, attraversare il Rio delle Amazzoni - che immaginiamo popolato di oscure presenze ittico-faunistiche - non è impresa da poco. Se il Che l’ha attraversato, la cosa si può anche dire. Per dirlo, i modi della messa in scena sono tanti. Potenzialmente infiniti. Perché il regista ha scelto di raccontarci questo episodio mettendoci tutta questa enfasi, questa retorica? Che Guevara non è mica Tarzan!
Ci viene quindi voglia di consultare, un po’ alla svelta, le fonti da cui ha attinto il film, iniziando da "Latinoamericana", il diario di viaggio del Che. Va detto che ri-sfogliarlo è un piacere: la prosa è veloce, ingenua, piena di speranza. La politica c’è, ma è quasi sempre non detta, a margine di pagina, sottintesa, in nuce. In questo, il film di Walter Salles - anche se manca di profondità psicologica - è tutto sommato accettabile. Il film, come il libro, è un diario di viaggio: è il viaggio, l’occhio, non il discorso, la penna, a far maturare la presa di coscienza politica, quella che fa chiudere a Guevara il suo libro con la famosa frase sulle armi, il sangue, "l’urlo belluino del proletariato trionfante". Cerchiamo la traversata: sfogliando veloci le pagine per trovare l’episodio, scopriamo che solo poche facciate raccontano del lebbrosario di San Pablo, mentre nel film questa parte è esorbitante. Della nuotata notturna non si fa menzione. Il Che è elegante, passa oltre e non si vanta di questa impresa sportivo-simbolica.
Cerchiamo allora altri riferimenti: il soggetto del film è basato non solo sui diari del Che ma anche sul libro ("Un gitano sedentario") del suo più estroverso compagno di viaggio Alberto Granado. In questo periodo, però, trovare il libro (in biblioteca o in libreria) è piuttosto difficile (e questo è già un buon risultato del film). Sfogliamo a questo punto un paio di biografie. In entrambe l’episodio è citato. La prima, di Pierre Kalfan (Feltrinelli), conferma che il Che, ottimo nuotatore, ha effettivamente attraversato a nuoto il Rio delle Amazzoni. Ma dice che a seguirlo con una barchetta c’era il fido Alberto Granado, preoccupatissimo a causa delle frequenti crisi d’asma dell’amico. La biografia dice anche che il Rio delle Amazzoni, in quel luogo, è largo 1.200 metri e che Ernesto ha terminato la sua nuotata due chilometri a valle rispetto al punto in cui era partito. In effetti, vedendo nel film il Che che tracciava a nuoto la perpendicolare al fiume, c’eravamo chiesti: e la corrente? L’altra biografia, di Jon Lee Anderson (Baldini e Castoldi), dice semplicemente che la traversata è durata due ore, nell’apprensione dei medici a riva.
Uno sforzo disumano, dunque, un colpo di testa che ben anticipa il futuro sprezzo del pericolo, come si dice, del carismatico leader rivoluzionario. Ma allora abbiamo all’incirca capito che non è andata proprio come la racconta Walter Salles. Se la regia non ambisce dunque a essere fedele a una realtà storica che nei fatti è già divenuta leggenda, si apre un ventaglio infinito, come dicevamo, di possibilità di messa in scena, tra le quali Walter Salles è andato a pescarne una particolarmente gonfia, magniloquente, forzata.
Questa scena (un punto basso della pellicola) svela, come spesso accade, un difetto di fondo, un problema più serio nella costruzione del racconto, che si fa seguire con piacere ma lascia addosso al film una patina di lacca. Il personaggio del Che è un po’ troppo pulitino, o, meglio, troppo studiato nella sua precisa sporcizia, troppo vicino a quell’immaginario collettivo che ha fatto di Che Guevara un super-eroe dalle gesta imprecisate. Super-eroe del popolo, in teoria. Peccato che proprio il popolo sia il grande assente di questo film.