“Charlie e la fabbrica di cioccolato”
Pur concepito per un'audience di bambini, il film di Tim Burton, al solito, parla di tematiche nere, pessimiste, all'interno di un'ammirevole, elegantissima creatività fantastica.
La bellissima storia scritta per l’infanzia da Roald Dahl, "Charlie e la fabbrica di cioccolato", ha fornito a Tim Burton la possibilità di dare sfogo al suo straordinario e riconoscibile immaginario visivo. Con una messa in scena che sfiora la perfezione, Tim Burton, in modo omogeneo e complementare alla scrittura di Dahl, è riuscito a inserire nel racconto tutti i temi e le ossessioni che caratterizzano il suo cinema.
Per quel che riguarda la forma, non resta che ammirare, a mo’ di esempio, le sequenze in cui i furgoncini e i motorini di distribuzione delle tavolette di cioccolato escono dalla fabbrica e tracciano sulla neve appena caduta tracce simmetriche, eleganti svolazzi, minimalistiche decorazioni ornamentali sulla parete della triste città che ospita la fabbrica di Willy Wonka; oppure le scene che svelano chi sono i bambini che hanno vinto il favoloso premio che consente di metter piede in questa industria delle meraviglie: in ognuna di esse il gioco delle simmetrie e la ricchezza dell’inquadratura restituiscono l’idea della diversità degli ambienti geografici e sociali di provenienza. In comune, questi bambini hanno la caratteristica di essere straricchi, viziati e insopportabili.
Sotto questa coltre fantastica e colorata della messa in scena, Tim Burton colloca una serie di temi neri, pessimisti, che il regista californiano non riesce e non vuole abbandonare nemmeno in quella che tra le sue opere è, insieme ai Batman, la più esplicitamente concepita per un grande pubblico, e per un’audience bambina.
Non è per niente allegra, intanto, la visione del mondo del lavoro che emerge dal film, nonostante l’apparente fantastica utopia della fabbrica di cioccolato. Willy Wonka è un parvenu, il figlio di un dentista che inizia con una piccola botteghetta e finisce per costruire la più importante industria dolciaria del mondo. La ricchezza lo cambia, lo impoverisce nello spirito, lo costringe ad isolarsi, a vivere nel terrore dello spionaggio, a cercare dei lavoratori-schiavi che siano il più simile possibili agli sfruttati proletari della prima industrializzazione. I suoi operai si chiamano Umpa Lumpa. Sono una tribù che viveva in palafitte nella giungla e idolatrava il cioccolato. Quando l’esploratore Willy Wonka li raggiunge, si fanno convincere a lavorare dentro la fabbrica. Il loro stipendio è pagato con il prodotto stesso del loro lavoro. Anche se festosa e musicarella, l’alienazione assume evidenti tratti marxiani.
Dotatosi di questi lavoratori ideali, Willy Wonka è costretto a licenziare i vecchi operai del suo negozio, compreso il saggio nonno di Charlie, il bambino proletario protagonista del film. Nemmeno il padre di Charlie se la cava bene: alla catena di montaggio, come avvitatore di tubetti di dentifricio, viene presto sostituito da una nuovissima macchina.
Tutto intorno, fuori, il mondo è grigio come in una città mineraria. La fabbrica dall’esterno è uguale a quella della copertina dell’album "Animals" dei Pink Floyd. Domina la città come il deposito di Paperon de’ Paperoni, in cima alla collinetta, un simbolo del capitale impossibile da ignorare.
La Fabbrica, anche la fabbrica di cioccolato, dietro la sua facciata dolciastra, nasconde quindi tutto lo stridore brutale dell’organizzazione capitalistica del lavoro. Siamo ancora dalle parti di "Tempi moderni".
Dentro la fabbrica di cioccolato i cinque bambini sembrano trovare un Paradiso: fiumi di cioccolata, alberi di lecca lecca, frutti canditi. E invece, andando avanti, quel mondo si rivela una specie di inferno, dove punizioni dantesche, con tanto di legge del contrappasso, aspettano i piccoli visitatori. Il bambino tedesco ciccione viene letteralmente risucchiato dalla sua ingordigia e aspirato dal fiume insieme alla cioccolata; la bambina inglese abituata ad essere accontentata sempre e istantaneamente si deve scontrare con l’intransigenza degli scoiattoli spaccanoci; la campionessa di masticazione chewing-gum è indotta dalla sua voglia di primeggiare a sperimentare una nuova pasticca ancora non testata; il bambino-mago dei computer è troppo innamorato della scienza e finisce per essere imprigionato nei byte.
Questa scena straordinaria, concepita evidentemente per la sola gioia degli adulti, parte per la tangente con un lungo riferimento a una delle scene più magiche della storia del cinema, l’apparizione del monolito in "2001. Odissea nello spazio". Il monolito si trasforma in una tavoletta Wonka e le scimmie finiscono per inquietarsi e saltare di fronte ad essa, al posto del misterioso e onnivoro simbolo uscito dalla mente di Stanley Kubrick.
Paradiso o inferno, la fabbrica di Wonka è comunque un aldilà. Sembra che alla fine sia questa l’unica location che interessa veramente Tim Burton, anche quando dovrebbe limitarsi a raccontare una storia per bambini.