Le crociate
Politicamente correttissimo (sui fondamentalismi e i rapporti tra le religioni) il film di Ridley Scott riesce ad evitare la noia didascalica: attraverso un'impattante costruzione visiva dell'epica.
Sono diversi i modi con cui il cinema può utilizzare la Storia. Può usarla come semplice ambientazione, porsene al servizio per tentare a tutti gli effetti una ricostruzione storiografica, oppure adoperarla per parlare non dei tempi storici descritti nel film ma del presente, del momento in cui il film è prodotto. "Le crociate" di Ridley Scott è dichiaratamente un’operazione di quest’ultimo tipo. L’azione è collocata nel 1184, all’epoca della seconda crociata, quando il nuovo regnante di Gerusalemme, Guido di Lusignano, che succede all’illuminato Baldovino IV, costringe in pratica con la sua aggressività le armate di Saladino a porre d’assedio e conquistare la città.
Tutto quello che il film vuole comunicare è che a distanza di quasi un millennio i rapporti tra mondo cristiano e mondo islamico sono rimasti ugualmente difficili; e che i nostri fondamentalismi di oggi si possono specchiare in quelli di allora. "Le crociate" è dunque uno di quei film che vogliono lanciare un messaggio. Queste operazioni assumono notoriamente su di sé molti rischi - il didascalismo, lo stravolgimento storico, il fraintendimento culturale. Ma "Le crociate" riesce (in gran parte) ad evitare questi pericoli attraverso una forte attenzione formale alla costruzione visiva dell’epos.
Se in vari casi recenti Ridley Scott era riuscito a sprecare la sua indiscutibile capacità registica, in questa pellicola il suo talento trova invece spazio, in particolare nella seconda parte del film e nel modo profondamente materico (concentrato su aria, terra, polvere e sangue) con cui descrive le battaglie. La constatazione dello stallo tra difesa e attacco nell’assedio a Gerusalemme, il climax del film, è risolto dal punto di vista stilistico con un ralenti e un elegante movimento all’indietro della macchina da presa, che guarda dall’alto del cielo giù in basso verso il termitaio umano a cavallo delle mura.
Va peraltro detto che, in un cortocircuito dell’immaginario tra medioevi veri e inventati, l’assalto a Gerusalemme ricorda molto da vicino quello al Fosso di Helm del secondo "Signore degli anelli". La fotografia, come in tutti gli ultimi film di Scott, è virata al blu, e rende molto suggestiva l’ambientazione in un deserto dal colore così poco scontato.
La parola, il significante forte "crociata" è dunque utilizzato dai realizzatori del film per parlare delle crociate dei nostri tempi. Ad un primo livello ideologico, il film invita al rispetto e alla tolleranza. C’è una scena in cui questo messaggio è esplicitato in modo anche troppo scoperto: con l’esercito di Saladino alle porte, il protagonista del film, Baliano, divenuto comandante dell’esercito, invita i cristiani alla resistenza all’interno delle mura di Gerusalemme. Il tono è simile a quello dell’orazione di Chaplin/Hinkel nel finale del "Grande dittatore". Le parole di Baliano non echeggiano un "Dio lo vuole", ma sono un responsabile predicozzo sulla trappola in cui possono trasformarsi i simboli, in questo caso la città di Gerusalemme. Baliano afferma che la sua difesa della città sarà la difesa di un popolo, non di un luogo che ha la caratteristica di essere un palinsesto che ospita infinite stratificazioni di appartenenze religiose.
Il film induce a pensare Gerusalemme come un simbolo folle che costringe inutilmente gli uomini a farsi bruciare sotto le mura dall’olio bollente. Tutto questo ferire e morire e sacrificarsi è senza motivazione: per come ci viene raccontata la storia, nella terra "santa" Dio proprio non c’è, non sta né dalla parte degli assedianti né da quella degli assediati. Il "regno dei cieli" del titolo originale ("Kingdom of Heaven") sembra quasi un ossimoro: nel film vediamo un regno, dei regnanti, ma non vediamo assolutamente un Cielo. Dio è spesso evocato ma del tutto assente. In effetti, non si capisce come potrebbe entrare nelle manovre tecnico-militari, di bassa manovalanza, per le quali è chiamato in causa. I suoi rappresentanti, almeno da parte cristiana, sono i personaggi più indegni del film: un prete all’inizio del film fa decapitare una donna suicida, e il vescovo di Gerusalemme è pavido e pronto, pur di salvare la pelle, a qualsiasi viscida piroetta spirituale.
Ad un secondo livello, il film contiene anche una riflessione sui modi in cui si esprime e si configura la leadership. Una provvisoria soluzione negoziale raggiunta a eserciti schierati tra il Saladino e il re lebbroso Baldovino mostra che, se i leader sono saggi, possono riuscire a tenere sotto controllo i loro fanatismi interni. Il nocciolo della questione - ci dice dunque il film - più che nell’estremismo di alcune frange del popolo sta nella scelta di chi lo deve guidare. Il problema dunque è il condottiero, la politica, non lo scontro tra civiltà. Se in effetti la successione dinastica dava poche o nessuna garanzia di avere una guida all’altezza, da questo punto di vista nemmeno l’odierna democrazia elettorale, a guardarci intorno, rassicura davvero.