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QT n. 2, 29 gennaio 2005 Cover story

Adesso l’ambiente è una emergenza

Polveri sottili, blocco della circolazione, inceneritore: l’urgenza di una nuova politica orientata all’ambiente, le vischiosità della politica, le pressioni di una nascente, inaspettata mobilitazione popolare.

L’Auditorium di Lavis era gremito, i 400 posti a sedere occupati, più persone sulle scalinate e altri in piedi lungo le pareti. L’occasione: il Consiglio comunale; all’ordine del giorno, il progetto dell’inceneritore.

Lavis: consiglio comunale all’Auditorium; tema, l’inceneritore.

Alla quantità del pubblico corrispondeva la qualità dell’attenzione e della passione. Quando gli sventurati esponenti del centro-sinistra, all’opposizione in Comune ma in maggioranza in Provincia, si sentivano in dovere (per un malinteso spirito di parte che li fa essere comunque contro la maggioranza di centro-destra a Lavis e comunque a rimorchio della maggioranza di centro-sinistra a Trento) di sabotare l’assemblea con stucchevoli distinguo procedurali, venivano repressi dagli ululati rabbiosi della sala: "Noi siamo qui per conoscere le cose, non per star dietro alle vostre menate".

Un anno fa, sull’onda della sfolgorante e normalizzante vittoria di Lorenzo Dellai alle provinciali, sembrava che tutti i suoi progetti avessero un conseguente sicuro appoggio popolare: il referendum contro l’inceneritore registrava un minimo pauroso di votanti (Referendum, la sconfitta); il comitato Nimby, subito costituitosi per proseguire la battaglia, pareva un gruppo di quattro disadattati, ridotti a forme disperate di lotta come lo sciopero della fame (Non bruciamoci il futuro!). Oggi Nimby riempie la sala con i suoi dibattiti ("Abbiamo difficoltà a rispondere a tutti quelli che ci chiedono di aderire al digiuno") ed ha aggregato sulle sue posizioni praticamente tutti i comuni a Nord di Trento.

E’ cambiato bruscamente un atteggiamento, anzitutto nella popolazione. L’ambiente è ora percepito come una priorità vera.

Probabilmente la molla che ha fatto scattare questo meccanismo è stato il degrado della qualità dell’aria e i conseguenti blocchi alla circolazione. Quando la popolazione ha visto che una parte consistente di cittadini non poteva circolare - o perché con la macchina vecchia, o perché con il numero di targa sbagliato – non ha potuto non porsi la domanda: che ambiente ci stiamo creando? Se abbiamo messo a repentaglio la stessa aria che respiriamo, non è che stiamo sbagliando tutto?

Insomma, la difesa dell’ambiente non è più confinata alle pur nobili ma limitate battaglie come la tutela della pianticina o della veduta incontaminata: investe la salvaguardia degli elementi vitali primordiali, l’aria e l’acqua. E quindi investe le decisioni strategiche della Provincia. Nel numero scorso avevamo indagato sulle possibilità/necessità del Trentino di non rimanere tagliato fuori dal business che probabilmente impronterà la produzione del nuovo secolo, quello ambientale (Quale sindaco per quale città?). Qui vediamo l’altra faccia della medaglia: l’attualità dei rischi di degrado ambientale e le politiche per scongiurarlo.

Riepiloghiamo i dati delle ultime settimane, raffrontandoli con le prescrizioni di
legge (ricerche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e normative europee recepite dalla legislazione italiana).

TAB 1 - PM10: valori medi annuali (limite: 40)
20032004
Trento3335
Rovereto3631
Borgo Valsugana2833
Riva del Garda2834

L’attenzione (e il conseguente allarme) è relativo alle polveri sottili, dovute - spiega l’Agenzia Provinciale di protezione dell’Ambiente (APPA) -soprattutto all’uomo, attraverso il riscaldamento e il traffico. Due sono i limiti fissati dalla legge: 1) in un anno ci deve essere una media giornaliera di PM10 inferiore a 40 microgrammi per metro cubo d’aria; 2) non ci devono essere più di 35 sforamenti del limite massimo giornaliero di 50 µg/mc.

TAB 2 - PM10: numero superamenti (limite: 35)
20032004
Trento5673
Rovereto5449
Borgo Valsugana4969
Riva del Garda2661

Vediamo con le tabelle la situazione. La prima ci lascia relativamente tranquilli: vediamo che nell’arco dell’anno rimaniamo sotto il limite dei 40 µg, anche se dal 2003 al 2004 riscontriamo, tranne che a Rovereto, un generale peggioramento, che ci fa lentamente avvicinare al limite. Decisamente allarmante invece la seconda tabella: già nel 2003 dappertutto, tranne che a Riva, si erano superati i 35 sforamenti (del limite dei 50 µg); nel 2004 si è avuto un complessivo ulteriore peggioramento, anche notevole, che ha travolto i limiti (a Trento siamo quasi al doppio degli sforamenti ammessi).

TAB 3 Trento: PM10 dal 1/1/2005
01-gen-0575
02-gen-0566
03-gen-0538
04-gen-0541
05-gen-0567
06-gen-0568
07-gen-0555
08-gen-0582
09-gen-05108
10-gen-05103
11-gen-0579
12-gen-0585
13-gen-0572
14-gen-0551
15-gen-0564
16-gen-0575
17-gen-0577
18-gen-0571
19-gen-0535
20-gen-0542

E nel 2005? Ancor peggio. Nei primi 20 giorni (Tab. 3) Trento ha registrato ben 17 sforamenti, di cui due con un inquinamento sopra i 100 µg, ossia più del doppio del limite. E il resto del Trentino non sta meglio: quota 100 l’hanno superata pure Riva e Borgo, mentre Rovereto ha raggiunto quota 96.

Quindi una situazione in costante deterioramento; quando invece la legge prevede, anzi impone, il contrario: se oggi il numero degli sforamenti ammessi è 35, per il 2010 sarà 7 (sette!).

Il che sottolinea da una parte la gravità sanitaria della situazione attuale, evidentemente ritenuta, sul lungo periodo, insostenibile; dall’altra la necessità di cambiare rotta su tutta una serie di problemi strategici. Un Trentino inquinato comporterebbe infatti non solo emergenze sanitarie, sarebbe semplicemente un non-senso: la sua attrattività, turistica ma anche universitaria, economica, ecc., è proprio dovuta alla gradevolezza e salubrità dell’ambiente. Perse queste caratteristiche, cosa rimane?

Insomma, l’interrogativo è: cosa si sta facendo nell’immediato e nel lungo periodo?

Nell’immediato abbiamo visto prima le limitazioni ai veicoli Euro 0 ed Euro 1, poi la loro sostituzione con il provvedimento delle targhe alterne. Pannicelli caldi: le targhe alterne servono a poco (ridurrebbero l’inquinamento del 5%); il blocco degli Euro 0-1 serve a qualcosa di più, ma è sbagliato e socialmente insostenibile, significa colpire solo la parte meno abbiente della popolazione, il suo ritiro è stato un atto di saggezza.

Sta di fatto che, nell’immediato, non si stanno prendendo provvedimenti seri. Lo scorso anno il "Piano provinciale di risanamento e tutela della qualità dell’aria", varato in seguito alle emergenze di allora, prevedeva tutta una serie di interventi: car pooling, sviluppo del trasporto elettrico o GPL urbano, piste ciclabili, parcheggi di attestamento…

In un anno niente di questo è stato fatto. Ci si ritrova quindi da capo. Con la situazione peggiorata.

Mentre stiamo scrivendo, in Provincia si stanno sottoscrivendo nuovi protocolli, denominati questa volta "Patto dell’aria".

Di questi, ci sembrano convincenti e praticabili le parti che riguardano il controllo e l’ammodernamento delle caldaie per il riscaldamento (responsabili del 40% dell’inquinamento). Più problematiche invece le parti che riguardano il traffico, dove però notiamo (finalmente!) una prima idea di limitazione del traffico in autostrada, per ora riferita ai mezzi più inquinanti.

Idea di non facile realizzazione (implicherebbe una differenziazione tariffaria da concordarsi a livello internazionale), che però indica un primo, timido abbozzo di inversione di marcia. Ma non basta: tutta la politica economica provinciale sta ancora andando in senso opposto. Si è appena dato il via libera alla terza corsia ("dinamica" si aggiunge) per aumentare il traffico fino a Salorno (oltre no, Durnwalder, più saggio, non vuole).

Ma nel contesto che abbiamo appena visto, che senso ha sostituire la pur stentata siepe spartitraffico con guardrail, cemento, asfalto, e più macchine?

In quest’ottica si inserisce il problema inceneritore. Confessiamolo: anche QT l’aveva considerata una battaglia persa. Una campagna di disinformazione (non sappiamo se freddamente orchestrata ma di fatto in atto, con la colpevole partecipazione di settori dell’Università di Trento, mai scesa così in basso, vedi Università: il potere e le consulenze) aveva confuso i cittadini, che in pratica avevano rinunciato a ragionarci sopra, delegando la soluzione all’amministrazione. Si era instaurato un circuito negativo: scelte discutibili dell’amministrazione legittimate dallo scetticismo dei cittadini.

La pratica gandhiana dello sciopero della fame del gruppo Nimby ha incrinato il meccanismo. Ed oggi, nel mutato clima, le ragioni degli scioperanti si sono fatte sempre più visibili e convincenti: e sono state adottate dai Comuni (del centro-destra, ma il pluralismo non a caso è un valore) a nord del capoluogo; e soprattutto dall’Unione Contadini, forte dei suoi 10.000 iscritti.

"Il nostro digiuno è una denuncia con metodi non violenti di una vergogna - ci dice Adriano Rizzoli, fondatore di Nimby - Abbiamo portato una decina di esperti da fuori provincia (gli esperti trentini ci esprimono in privato tutto il loro sconcerto, ma ‘tengono famiglia’ quando gli proponiamo di esporsi pubblicamente) che hanno fornito un quadro esauriente della follia di questa scelta".

Il prof. Umberto Ducati, del Politecnico di Milano.

Il primo punto è, come ha sostenuto a Lavis il prof. Umberto Ducati, ordinario al Politecnico di Milano "che l’inceneritore è una macchina stupida: produce lei i veleni. Combinando gli elementi ad alte temperature, produce diossine ed altri inquinanti, che poi deve abbattere".

I risultati sono molto pericolosi. Dice la Commissione Europea: "Sembra che le caratteristiche tossiche delle sostanze siano state sottovalutate: recenti studi epidemiologici, tossicologici e sui meccanismi biochimici riferiti in particolare agli effetti sullo sviluppo cerebrale, sulla riproduzione e sul sistema endocrino hanno dimostrato che gli effetti delle diossine e di alcuni PCB sulla salute sono molto più gravi di quanto precedentemente supposto, anche a dosi estremamente ridotte".Questo in una situazione già delicata: "L’esposizione a diossine e a PCB diossino-simili supera la dose tollerabile settimanale e la dose tollerabile giornaliera in una parte considerevole della popolazione europea".

Sono cose che riguardano l’Europa e non Trento, notoria isola felice? Non proprio. Marco Caldiroli di Medicina Democratica, in un articolo sul Manifesto del 21 Ottobre scriveva: "Inceneritore di Trento: docenti del Politecnico di Milano hanno utilizzato valori di ricaduta inferiori a quelli presentati nello Studio di impatto ambientale e hanno concluso la loro valutazione stimando un rischio cancerogeno aggiuntivo pari a 4,4 casi aggiuntivi di tumore per 10 milioni di persone esposte per 70 anni dovuti all’inceneritore in questione, ovvero un ordine di grandezza inferiore al criterio indicato dalla Agenzia Ambientale Statunitense, l’EPA: non andare oltre a 1 caso di tumore aggiuntivo per un milione di esposti. Un ricalcolo presentato da chi scrive, basato sui valori di ricaduta presenti nello studio (e non utilizzati nella valutazione), ha portato a ridefinire il rischio ad un livello ben più elevato e superiore al criterio dell’US EPA ovvero tra 1,6 e 7,5 casi per milione". Insomma - a parte i soliti pasticci di tecnici che utilizzano come vogliono i dati, creando il disorientamento dell’opinione pubblica - l’inceneritore trentino darebbe un inquinamento ritenuto in Usa assolutamente inaccettabile. E questo con i dati forniti in sede di progettazione: quando poi nella pratica si è visto che gli inceneritori hanno perdite superiori a quelle ipotizzate, che poi si impennano nei casi, peraltro frequenti, di malfunzionamenti o, peggio, di incidenti.

E oltre alla pur decisiva questione sanitaria ce n’è una economica: una recente disposizione legislativa (Art. 21, Dlgs 228, 18 maggio 2001, "Orientamento e modernizzazione del settore agricolo") definisce "non idonee" a ospitare inceneritori le zone agricole caratterizzate per qualità e tipicità dei prodotti: cioè, con l’inceneritore, per la legge italiana sono incompatibili i vitigni da Lavis a Salorno, e l’attività delle cantine LaVis, Mezzacorona, Foradori, Endrici, ecc. E con le leggi magari si può svicolare, ma con il mercato no: produzioni sotto il pennacchio dell’inceneritore non avrebbero futuro. Di qui la presa di coscienza e l’altolà dell’Unione Contadini: all’assemblea di Lavis bastava guardare le fisionomie degli attenti partecipanti per capire che buona parte di essi veniva dai campi.

Rimane il fatto che "i rifiuti bisogna pur smaltirli" come dice il centrosinistra, a rimorchio di Dellai, che sempre sentenzia: "Alla fine del discorso un inceneritore ha da esserci".

Adriano Rizzoli, fondatore di Nimby.

"E’ quel fatalismo tecnologico che denunciava Barry Commoner più di 20 anni fa, quando contestava la filosofia per cui ‘un certo livello di inquinamento e un certo rischio per la salute sono il prezzo inevitabile da pagare per i vantaggi materiali offerti dalla tecnologia avanzata’ - ci dice Adriano Rizzoli - E così si finisce con l’accettare anche una non-soluzione come quella dell’inceneritore".

Nel dimostrare che l’inceneritore, oltre ad inquinare, è una non-soluzione, si sono impegnati i tecnici chiamati da Nimby a Lavis. Michele Rasera, del Consorzio Priula, che in provincia di Treviso gestisce la raccolta differenziata per 23 Comuni e 200.000 abitanti, ha portato la propria esperienza: 75% di differenziata reale (tutta avviata cioè al riciclo) e una tendenziale diminuzione dei rifiuti.

Il che taglierebbe la testa al toro. Infatti, come ha sottolineato Nimby, dai dati della stessa PAT risulterebbero quali "residui" dell’inceneritore di Ischia Podetti 46.600 tonnellate l’anno (di rifiuti tossico-nocivi); mentre con la differenziata al 75% sarebbero 40.300 (di rifiuti non tossici). E questo è il dato di partenza: in prospettiva, come l’esperienza di Brescia insegna, le convenienze del business dell’inceneritore spingono ad un incremento dei rifiuti (e la società che raccoglie i rifiuti è la stessa che gestisce l’impianto); mentre, come l’esperienza di Priula insegna, una raccolta differenziata corretta può portare a una diminuzione dei rifiuti: se in Trentino si ripercorresse lo stesso percorso di Priula (che vorremmo che gli amministratori di Trento si impegnassero a verificare), si arriverebbe a un residuo totale di 28.180 tonn/anno.

Conclusione: l’inceneritore non solo inquina, ma si limita a ridurre la massa dei rifiuti (resi tossici) a 1\3; la differenziata non inquina, riduce di più (almeno a 1\4) i rifiuti residui, e induce comportamenti per cui i rifiuti calano.

Come si vede, se le cose stanno proprio così, non c’è paragone.

Disegno di Marco Dianti.

Rimane il discorso economico: il business, che sta dietro alle scelte di Brescia (e a quelle di Dellai, che infatti ha fatto compartecipare la Asm di Brescia a Trentino Servizi). La differenziata costa, si dice: Priula ha portato i suoi conti e la tariffa media pro capite è quella che oggi fa pagare il Comune di Lavis.

Per contro l’inceneritore avrà una spesa di costruzione oggi valutata sui 150-180 milioni di euro, e a consuntivo si vedrà: tanto paga Pantalone. Il business sarà per l’ente gestore, la Trentino Servizi spa, società per la quale, come la consorella bresciana, si prospettano anni ricchi, dalle duplici fonti di entrate: le tariffe sui rifiuti e la vendita di elettricità.

Ma anche qui c’è l’inghippo. Come a Lavis ha spiegato Marino Ruzzenenti, autore di un documentatissimo testo sulle gesta dell’ASM ("L’Italia sotto i rifiuti -Brescia: un monito per la penisola"), i bilanci in forte attivo sono dovuti a contributi statali (40 milioni di euro all’anno!) come "finanziamento ad energie rinnovabili". Insomma, incenerire è un’operazione economicamente valida solo perché assistita. Ma l’Unione Europea sta andando in altra direzione, e si dimostra sempre più irritata verso queste agevolazioni.

In conclusione, rischiamo di spendere un sacco di soldi per un mostro inquinante e degradante, che non risolverà il problema delle discariche e che costituirà un business assistito e precario.

Le due problematiche, polveri sottili e incenerimento, si sovrappongono enfatizzandosi l’un l’altra. E implicano nuove consapevolezze. A iniziare dai cittadini, ai quali, con le nuove auspicabili politiche della mobilità e dei rifiuti, sarà richiesto più coinvolgimento e disponibilità a modificare le proprie abitudini: separazione dei rifiuti, uso dei mezzi pubblici, car pooling, ecc. Ma soprattutto nei politici, che dovranno abbandonare antichi quadri di riferimento (il Trentino della quantità) e obsoleti interlocutori economici (le lobby dell’autotrasporto e il business dell’incenerimento).

Non sarà facile.

Ma in questo caso la mobilitazione, popolare e intellettuale, può essere decisiva.