Pacher, chi te lo fa fare?
Inceneritore o morte: come il sindaco di Trento disfa la sua (amplissima) maggioranza; per non deludere l'alleato-padrone Dellai, e la sua fissa sull'inceneritore. E così la sinistra difende con il mal di pancia un progetto che sa essere obsoleto, sbagliato, pericoloso, costosissimo.
Cosa mai può spingere Alberto Pacher, testé rieletto con percentuale bulgara, a disgregare la propria maggioranza? Perché diavolo il sindaco di Trento, sempre così prudente e avvolgente, "veltroniano", alla ricerca del consenso di tutti, si mette a segare il (robustissimo) ramo su cui è seduto?
Erano queste alcune delle tante domande che rimbalzavano dentro Palazzo Thun durante il lungo, animatissimo e (vedremo) bel dibattito sull’inceneritore. Sì, perché Pacher, nella sua ostinata difesa di un progetto costosissimo, pericoloso, che fa acqua da tutte le parti, che tutti concordano dover essere riscritto da cima a fondo, sta perdendo in pochi giorni pezzi della sua maggioranza: via, decisissimi, i Verdi, via i socialisti, un po’ meno decisi, via il Patt, su cui non si faceva molto affidamento ma perdere voti non fa mai bene, malessere acutissimo dentro la stessa Trento Democratica, il partito del sindaco, che non può mettere la mano sul fuoco nemmeno su quei voti.
Se poi aggiungiamo che fuori dall’aula ci sono le associazioni ambientaliste, l’agguerritissima Nimby, la Coldiretti, la Federazione Cooperative apertamente contrarie quando non sul piede di guerra, viene da chiedere: Pacher, chi te lo fa fare? A tale masochismo giunge la subalternità a Dellai?
Infatti Dellai, da sempre sponsor intransigente dell’inceneritore, quando questo è diventato un’autentica patata bollente, ha trasferito la sede decisionale dalla Provincia al Comune di Trento: confidando che il suo ex-vicesindaco continui ad obbedirgli. E sembra che non abbia sbagliato.
Vediamo gli ultimi fatti. Il progetto inceneritore, dicevamo, si è ormai dimostrato sbagliato alla radice. Sovradimensionato all’estremo (330.000 tonnellate annue nella prima versione, quando i rifiuti trentini sono 250.000 tonnellate) nell’ipotesi che i rifiuti aumentassero, che la raccolta differenziata fallisse, che si portasse a bruciare tutto ma proprio tutto, anche le spazzature stradali, i fanghi dei depuratori, le foglie degli alberi, le ecoballe che invece dovevano essere rimosse. Di fatto il progetto, colpevolmente avallato da un inqualificabile "studio" del dipartimento di Ingegneria Ambientale, era copiato sul modello "bresciano" (e difatti l’ASM di Brescia era appena entrata dentro Trentino Servizi): trasformare l’incenerimento dei rifiuti in business.
Fortunatamente la società trentina prendeva un’altra strada: considerando l’incenerimento un pericolo, imboccava il percorso della riduzione dei rifiuti. E così, in contrasto con un Piano provinciale dei rifiuti che ne prevedeva l’aumento, negli ultimi quattro anni li riduceva in media del 2% annui; e contemporaneamente superava gli obiettivi via via crescenti di raccolta differenziata.
A questo punto si imporrebbe una revisione di tutto il piano e una messa in discussione del punto attorno a cui ruota, l’inceneritore. Invece si continua a ritenerlo "imprescindibile", solo declassandolo da momento centrale del ciclo, a "ultimo, indispensabile stadio". E accettandone, obtorto collo, ridimensionamenti sempre più consistenti.
Quest’approccio non ci sembra corretto. Per due motivi. Il primo è che l’inceneritore non azzera i rifiuti, si limita a ridurli, non è quindi "la fine del ciclo", in quanto rimangono un 25% di scorie tossiche (delle quali una frazione – i filtri – pericolosissima); ed è comunque un elemento di estrema rigidità nel ciclo: se viene progettato per 200.000 tonnellate, quelle deve bruciare, anche se non ci sono (e infatti nella Germania decantata da Pacher, la scelta inceneritorista degli anni scorsi costringe oggi ad importare rifiuti anche dal sud Italia – come hanno fatto notare gli oppositori). Insomma, facendo due calcoli: un inceneritore "anche piccolino" da 140.000 tonnellate come viene ora ipotizzato, lascerebbe comunque un residuo di 35.000 tonnellate (delle quali una frazione molto tossica) immutabile per almeno 15 anni; invece la scelta di puntare sulla riduzione potrebbe portare in breve a 200.000 tonnellate di rifiuti, che con una differenziata al 70% danno un residuo di 60.000 tonnellate, cifra decrescente mano a mano che ci si incammina verso l’opzione "Rifiuti Zero" (peraltro sottoscritta nel programma elettorale del sindaco, vedi “Zero Waste” non è un’utopia).
Ma c’è un secondo motivo, quello economico. Con un inceneritore piccolo, i conti non tornano, come ha peraltro spiegato l’ing. Capra, amministratore delegato di ASM, per niente contento della piega che sta prendendo l’affare di Trento: per il pareggio di gestione occorrono 250.000 tonnellate, sotto si perde; e ancor più si perderà quando la UE costringerà l’Italia a rivedere l’attuale normativa che sovvenziona l’energia da incenerimento considerandola rinnovabile.
E qui casca il palco: perché da una parte abbiamo una tecnologia vecchia, inquinante, assistita; dall’altro la nuova frontiera dei comportamenti virtuosi della popolazione abbinati alle innovative tecniche di riuso e riciclo. La politica sembra scegliere, a tutti i costi, la prima opzione.
La cosa la si è vista in questo passaggio nel Consiglio comunale di Trento. Nel quale la maggioranza pacheriana (Margherita e Trento Democratica) ha confezionato un ordine del giorno che tenta di fare sintesi, o meglio, di tenere insieme capre e cavoli. Cioè tenere conto delle critiche, perplessità, dati di fatto che ormai sono contro la realizzazione; ma mantenendola. Di un’impostazione evidentemente sbagliata, rivede tutte le condizioni al contorno (verifiche sul dimensionamento, sull’impatto sanitario, sulle ricadute sulle produzioni agricole) ma ne mantiene come intoccabile il cuore, la costruzione dell’impianto.
L’esempio più eclatante viene dall’aspetto economico. Nel suddetto odg, si parla con severità dei costi della raccolta differenziata: per tre volte si sottolinea che "non potrà prescindere da valutazioni di tipo economico". Mentre dei costi dell’inceneritore se ne parla una volta sola, evitando di menzionare tutti gli imponenti costi accessori, come l’apposito ponte sull’Adige o la nuova arginatura ("sono altri capitoli di spesa" ci è stato detto): insomma, le centinaia di milioni (di euro) dell’inceneritore si trovano subito, i bidoncini del porta a porta invece hanno costi problematici.
Il dibattito in Consiglio non poteva non risentire di quest’impostazione della maggioranza (o meglio, di quello che resta della maggioranza). Ed avevano buon gioco le destre (anche perché alcune loro amministrazioni hanno gestioni dei rifiuti esemplari) ad evidenziare lo sbandamento di un centro-sinistra in flagrante contraddizione con se stesso. E d’altronde anche i socialisti e soprattutto i Verdi riuscivano a portare con coerenza gli ottimi argomenti per una revisione globale di tutto il progetto.
Chi era in crisi era Trento Democratica. E al suo interno Costruire Comunità: che, nata sull’idea del rigore in politica, e nello specifico, sull’importanza sociale di una gestione avanzata del ciclo dei rifiuti (I rifiuti nel programma di Pacher), si trovava a barcamenarsi tra compromessi poco convincenti e faticate aggiunte all’odg di commi che non cambiavano la sostanza.
Erano in proposito esemplari gli interventi di Flavio Santini e Nicola Salvati. Interventi duri e sofferti, tutti tesi a reinterpretare l’ordine del giorno in termini di prescrizioni ultimative, che avrebbero dovuto condizionare la decisione sulla realizzazione. Ma la filosofia dell’odg è che l’inceneritore comunque si fa, e gli avvertimenti (vagamente minacciosi?) di Costruire Comunità ci sembrano una ripetizione degli inani "penultimatum" con cui in Provincia la sinistra, dopo la sberla della Jumela, s’illudeva di condizionare un imperturbabile Dellai. Al di là dello spessore dei personaggi, il destino di un gruppo minoritario è tristemente segnato, quando abbandona la fedeltà alle idee per privilegiare le logiche di schieramento. Costruire Comunità (ribattezzata "Costruire Caminità" in una vignetta dell’ottimo La Cava) non ha il coraggio di votare contro Pacher ("perché andrebbe sotto"), non ha il coraggio, a sostegno delle proprie idee, di usare la forza, per una volta che ce l’ha: e con ciò confessa di non avere convinzioni tanto ferme; e, vorremmo sbagliare, ma secondo noi si candida a essere inutile.
Rimane il problema iniziale: perché Pacher disastra così la sua maggioranza (oltre ai consiglieri di Costruire Comunità, anche altri dentro Trento Democratica sono in forte sofferenza, da Bertoldi a Agostini a Ferrari a Bosetti che non voterà...) Non è detto che ne uscirà indenne. E di sicuro si ritroverà con una maggioranza ridotta, ferita e sospettosa al proprio interno. Bel risultato.
Ma in parallelo rimane anche un dato fortemente positivo: come la questione rifiuti si sia spostata molto in avanti. Nel dibattito in Consiglio (decisamente interessante) e soprattutto nei comportamenti della popolazione, sia come singoli (basti pensare ai risultati della differenziata) sia come associazioni o imprese (la disponibilità a rivedere modalità di imballaggio, stoccaggio ecc). E questo è il dato che ci fa sperare: forse il Trentino ha davvero una cultura che gli può permettere di porsi all’avanguardia sulle tematiche ambientali, e fare di questo non solo un tratto distintivo, ma anche fonte di studio, ricerca, lavoro innovativo.
Anche se parte del mondo politico continua a guardare indietro, a vecchi business, ormai obsoleti.