Trentino senza rotta
Giornalisti, intellettuali, politici, tutti sedotti dall’ultima piroetta di Dellai. Il vuoto del parlare di “modernizzazione”. E il pauroso oscillare nella collocazione strategica del Trentino, dall’Euregio pantirolese al deposito del Nord-Est. A questo punto, la sinistra da una parte, la destra dall’altra, si stanno accorgendo che...
Sono state disarmanti in questi giorni le pagine dei giornali. Un accavallarsi di posizioni e di pronunciamenti caratterizzati da un allarmante dato comune: la mancanza di coerenza, di visione complessiva, di relazioni tra quello che si sostiene oggi e quello che si sosteneva ieri e quello che si dice agli interlocutori delle altre regioni. Un Trentino senza orientamento, senza rotta. E inaffidabile. L’aria di sufficienza con cui ci trattano i vicini - Bolzano anzitutto - inizia ad avere robuste ragioni.
"Tutta colpa di Dellai" - si comincia ora a dire, a sinistra ma non solo. Verissimo. Ma il fatto che le estemporanee uscite del cinico personaggio, per quanto presidente della Provincia, riescano a terremotare le convinzioni di politici, giornalisti, politologi, associazioni di categoria, la dice lunga sulla saldezza delle convinzioni della classe dirigente trentina.
Tutto nasce, come noto, da un grido di dolore del Presidente, che improvvisamente, dopo aver sostenuto il contrario ("la Valdastico non è una priorità"), scopre l’assoluta indispensabilità della nuova autostrada, presentata come imprescindibile strumento della "modernizzazione" (parola magica) del Trentino.
In breve il conseguente dibattito chiarisce alcuni punti: la PiRuBi nascerebbe per convogliare verso Trento il traffico merci proveniente dall’Est; questo implica un sovraccarico della parte trentina dell’Autobrennero; in ogni caso, giunti a Trento, i Tir non potrebbero proseguire (le altre regioni dell’arco alpino non li vogliono); l’Interporto di Trento fungerebbe da punto di raccolta dei Tir e passaggio di carico dalla gomma al ferro, con conseguente declassamento della vivibilità della città.
Ma più in generale l’opzione PiRuBi implica una serie di cambiamenti di direzione: le risorse non vanno più sulla ferrovia ma ancora sulla gomma; si rompe quindi con il modello di regione alpina (attenzione all’ambiente, economia compatibile e equilibrata) per abbracciare quella del Nord-Est (economia tumultuosa, poche regole, la società e l’ambiente in secondo piano); non si dà più credito alla propulsività dell’istruzione, del sapere, della ricerca (che si avvantaggiano invece di un ambiente integro e gradevole), ma si individua come motore dell’economia il traffico, il transito delle merci.
Il fatto è che sulla collocazione strategica del Trentino, sembrava ci fosse già una decisione, vera e condivisa. Anzitutto il Trentino come regione alpina, quindi inserita negli organismi sovranazionali che ai vari livelli cercano di rendere compatibili globalizzazione e ambiente alpino; soprattutto spingendo per un deciso trasferimento del traffico su ferrovia. Ma poi anche un Trentino elemento di comunicazione, trait d’union tra mondo tedesco e mediterraneo.
In quest’ottica c’erano stati non solo discorsi, ma anche significativi atti di governo. Con il Veneto si era chiarito che il trasporto merci su gomma doveva tendenzialmente arrestarsi in pianura, trasferendosi su ferrovia nei vari interporti veneti (Verona, Padova e poi Bassano). A Roma i nostri parlamentari (Schmid e Olivieri soprattutto) avevano innescato il primo vero trasferimento di risorse economiche dalla strada alla ferrovia, con un dispositivo che permette all’A22 di investire gli utili stradali nella ferrovia del Brennero. A Trento la giunta provinciale aveva dato credibilità all’opzione formazione/ricerca con una serie di interventi finanziari a favore dell’Università.
In questo processo, sul fronte culturale-politico, c’erano stati anche alcuni eccessi di zelo. Ricordiamo l’Euregio Tirolese vagheggiata dal Patt al governo, che postulava un Trentino appendice di un Tirolo nostalgicamente asburgico; o il "pensiero democratico alpino" inventato su due piedi da Dellai solo un mese fa; o la "cultura alpina" contrapposta alla "cultura urbana" nell’arte contemporanea, inventata dai luminari in vacanza del nuovo Comitato Scientifico del Mart. Ma tutto sommato erano le espressioni minori, un po’ ridicole, di una linea strategica condivisa.
Poi tutto si confonde. La modernizzazione viene dai Tir. Il nuovo modello è il Nord-Est. Il Sudtirolo, prima vissuto con palpabile senso d’inferiorità ("Bolzano decolla, Trento sta ferma"), è ora il paese di Heidi e delle caprette.
In questa inversione di rotta, oltre al presidente della giunta, si distinguono i quotidiani, di cui nella scheda a fianco illustriamo alcuni esempi di plateale disinformazione. Alcuni notisti, come il politologo Sergio Fabbrini, che nel suo quartiere dà fiato alla protesta per deviare altrove il traffico, ma sulle strade vuole la "modernizzazione" dei Tir. I politici, vecchi e nuovi, del centro (Lega e Forza Italia sono coerenti nei loro ideali cementificatori) che finalmente possono accusare la sinistra di non essere "moderna". L’Associazione Industriali, che butta a mare i Patti per lo Sviluppo appena siglati con i sindacati, e dalla centralità della formazione ritorna all’antico primato dell’asfalto.
Quello che colpisce è l’arretramento culturale. Non solo sul pur decisivo fronte dei trasporti, ma su quello dell’organizzazione della società. Invocare dall’oggi al domani come modello sociale il Nord-Est e la sua deregulation (che proprio per il suo caos urbanistico non riesce nemmeno a costruirsi,
e in pianura, dei collegamenti interni accettabili) indica una povertà culturale allarmante, che porta ad essere in balia dello slogan del momento. Il Trentino rischia di essere una nave senza nocchiero, che va dove la spinge l’ultima raffica di vento.
L'ultimo slogan, come abbiamo visto è "modernizzazione". Inteso non come Internet, ma come Tir. Come necessità di abbattere gli obsoleti vincoli ambientali (la qualità dell’aria? Chi se ne frega!). Di qui un pressing ideologico su tutto quanto ostacola il nuovo verbo. Gli ambientalisti sono retrogradi, la sinistra sa dire solo no, ed è la palla al piede del centro-sinistra, che non "decide" (dove, com’è noto, "decidere" significa approvare).
Una pressione tutta ideologica. Non si presentano studi sulla qualità dell’aria; non sui flussi di traffico (a dire il vero ci prova l’assessore Grisenti a proporre dati fasulli, ma viene smascherato, e se la cava senza perdite - vedi scheda - solo per la colpevole connivenza dei quotidiani); non sulle convenienze ad abbandonare la politica delle altre regioni alpine. Si va avanti a chiacchiere sulla modernità; e si mette sul banco degli accusati la sinistra, freno della società, partito dei no.
La sinistra viene quindi a trovarsi nell’occhio del ciclone, esattamente quello che Dellai voleva: trovare il capro espiatorio dell’inefficienza generale della propria giunta.
In questa situazione la sinistra sta scomoda. Ha contro la stampa; si trova in conflitto col mondo economico (o meglio, con i suoi rappresentanti) verso il quale invece vorrebbe accreditarsi; vede che l’alleato sta costruendosi - nei contenuti di governo se non negli atti politici - i presupposti per un futuro ribaltone.
Scomoda, dicevamo, ma fino a un certo punto. Sotto gli attacchi esterni si è sostanzialmente ricompattata (Ds, Rete e Solidarietà sono a un passo da una vera unificazione; con socialisti e Verdi c’è nei fatti unità d’azione). Sono sostanzialmente pochi - e poco convinti - i singoli che hanno pensato di cavalcare l’ultima onda dellaiana (il socialista Mario Raffaelli, l’on. diessino Olivieri, il sindaco di Folgaria Olivi e quello di Nago Parolari) e quelli che a Dellai si sono accodati perché proprio non riescono a dirgli di no (il sindaco di Trento Pacher).
Ma soprattutto nella sinistra emerge, sia pur con qualche fatica, la consapevolezza di avere amplissimi spazi davanti: di poter coerentemente rappresentare l’unica visione che in prospettiva può dare un futuro alla comunità, al di là dei contingenti e mutevoli umori di un’intellighenzia inadeguata. Ma anche, nell’immediato, di poter rappresentare settori di opinione già ora molto vasti e politicamente sottorappresentati: l’ambientalismo (un sondaggio sulla Val Jumela sta confermando il consenso della maggioranza dei trentini alla politica ambientale); il sindacato (sbeffeggiato da Dellai, che prima firma i Patti per lo Sviluppo, anzi ne fa l’elemento caratterizzante della sua Giunta e poi li considera carta straccia; e i Patti sono stati il centro dell’azione di Cgil-Cisl Uil di questo ultimo anno); e, sia pur con qualche distinguo, il mondo dell’istruzione e università.
Tutte cose che però oggi si scontrano contro un fatto: "Passiamo per il partito dell’immobilismo. Una cosa che mi fa andare in bestia" - ci confida un dirigente dei DS.
Il fatto è che sulle uscite estemporanee, sui diktat cementificatori di Dellai, è effettivamente - e giustamente - la sinistra a schiacciare il pedale del freno. Ma su tutto l’insieme della politica riformatrice - dal nuovo Pup, alle riforme istituzionali, al riassetto della Provincia, all’energia, ecc. - è Dellai che frena, insabbia, fa mancare i suoi nei momenti cruciali dell’iter legislativo, quando teme che si mettano a rischio consolidate posizioni di clientela.
Però quando la sinistra frena la Val Jumela o l’aeroporto, Dellai strepita e denuncia; quando è lui ad insabbiare la riforma dei Comprensori, ad annullare la privatizzazione di Informatica Trentina, la sinistra abbozza: "Senti la schifezza che è successa in Commissione legislativa, ma non scrivere che te l’ho detto io" - ci hanno sussurrato più di una volta. Insomma, a un presidente irresponsabile corrispondono degli alleati troppo responsabili.
"E’ una situazione che così non può andare avanti - dicono ora a via Suffragio - Anche a costo di rompere."
Vedremo. Di sicuro in questa situazione è il Trentino, sballottato di qua e di là da politici cinici e intellettuali futili, ad avere bisogno di un minimo di prospettiva.