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QT n. 2, febbraio 2021 Servizi

‘Ndrangheta e società - 1

Operazione Perfido, partono le interpretazioni minimizzatrici. Ma gli atti giudiziari rivelano la profondità dell’infiltrazione mafiosa.

NOTA PER IL LETTORE

In queste pagine vengono riportati ampi brani dell’ordinanza e stralci dalle intercettazioni. Per distinguere le fonti, abbiamo usato questi artifici grafici:

In tondo sono parole nostre.

In corsivo sono frasi del Gip o degli investigatori.

In corsivo grassetto sono intercettazioni come riassunte dai trascrittori.

In corsivo grassetto sottolineato sono parole come effettivamente pronunciate.

Un’ulteriore avvertenza: nelle intercettazioni ricorrono numerose, pesantissime, insultanti offese. Per rispetto alle persone coinvolte chiunque esse siano, abbiamo il più possibile mascherato gli insulti, compatibilmente con lo sforzo di riferire fedelmente il clima dei colloqui.

Non c’è dubbio: la scoperta – pur tardiva e parziale – che anche il nostro Trentino è inquinato dalla criminalità organizzata, ha provocato sconcerto. L’idea dell’isola felice, protetta dall’Autonomia e dalle solide virtù montanare, sotto sotto alberga ancora nei meandri delle nostre menti, e forse non è neanche un male. Per questo, dunque, gli esiti dell’Operazione Perfido su una presenza ‘ndranghetista radicatasi nel distretto del porfido, ha suscitato preoccupazione e sconcerto. Eppure...

Eppure, in contemporanea, nuove interpretazioni stanno avanzando, minimizzatrici quando non assolutorie, talora decisamente ciniche. Tutte tendenti a ridurre la portata del problema e le sue conseguenze; e soprattutto a circoscrivere i fatti, delimitare le responsabilità. In fin dei conti, si tratta di un gruppetto di calabresi e alcuni macedoni... perché menare tanto scandalo?

Invece no: queste interpretazioni, in parte stupide, talora in malafede, di sicuro superficiali, trascurano le evidenze risultanti dalle investigazioni. Le quali hanno evidenziato come il cancro della criminalità si sia ampiamente diffuso, abbia trovato vaste e profonde complicità, anzitutto in valle, ma anche fuori.

Approfondiamo quindi il tema. Partendo dalla lettura dei fatti più bassamente collusa, presente soprattutto in valle, dove troppi avrebbero da spiegare rapporti simbiotici con il gruppo ‘ndranghetista.

Un’interpretazione dei fatti riassumibile nella massima latina “Pecunia non olet”, il denaro non puzza. I calabresi hanno portato, portano e presumibilmente porteranno, ingenti capitali in valle, non stiamo a fare gli schizzinosi sulla loro provenienza. È un discorso che si vuole realistico. Ma è invece profondamente stupido.

In una recentissima udienza in Commissione Antimafia, il suo presidente senatore Nicola Morra, a nostra specifica domanda così liquidava questa posizione: “La n’drangheta è a livello mondiale la più diffusa organizzazione criminale, al contempo è una tra le più ricche, con un fatturato minimo attorno ai 55 miliardi; eppure la sua area di elezione, la Calabria, è una delle regioni più povere e arretrate d’Europa”. Così la mafia e la Sicilia, la camorra e Scampia. Così i Casamonica, hanno le abitazioni con i rubinetti d’oro, ma Ostia fa schifo. La criminalità sempre porta, nella popolazione, povertà e degrado.

E d’altronde è logico: rappresenta la sopraffazione, la disarticolazione dei vincoli e dell’organizzazione sociale: i violenti si arricchiscono gli altri schiattano.

C’è poi una seconda interpretazione, minimizzatrice, che forse può essere portata avanti dalle difese a livello processuale per scongiurare l’aggravante dell’associazione mafiosa: non c’è niente di nuovo, non è mafia: nel ruspante distretto del porfido caratterizzato da rapidi arricchimenti, che peraltro non ha impedito un miglioramento economico dell’insieme della popolazione, la durezza dei rapporti è stata sempre presente, anche con episodi deprecabili. E difatti a Lona-Lases, ben prima dell’insediamento dei calabresi, mentre si teneva un consiglio comunale sulla piazza, era stata data alle fiamme l’automobile dell’assessore alle cave; e i corrispondenti di QT erano stati pesantemente minacciati senza trovare appoggio nelle istituzioni, al punto da dover rinunciare al loro impegno con il nostro giornale; ed altri episodi ancora.

Questa lettura, pur partendo da dati reali, non vede il salto di qualità compiuto con l’avvento dei calabresi legati alla ‘ndrangheta (quanto organicamente lo stabilirà il giudice, ma le intercettazioni parlano di assidui, strettissimi, deferenti rapporti con la malavita calabrese, in particolare con la ‘ndrina dei Serraino). L’illegalità, la sopraffazione, c’erano anche negli anni ‘70-’80; ma con i Battaglia, i Nania, i Morello si passa, non solo allo sfruttamento sempre più bestiale della mano d’opera con la quale ora – composta in gran parte da immigrati – non si ha più alcun legame di comunità; si passa anche alla distruzione programmata delle attività economiche con cui si entra in contatto. Di qui la pianificazione dei fallimenti (“Vaffanculo la mandiamo in fallimento, chi se ne frega”. “Ha intenzione di far fallire la ditta per non pagare i debiti e cercare di distrarre 2/3 milioni di euro”), le truffe a un partner ideate fin dai primi approcci (“Gliela dobbiamo portare via la fabbrica”), le intimidazioni ai truffati che si rivolgono alla magistratura (“Ti sei messo in un guaio talmente grosso che non ne esci fuori…”), le intimidazioni ai concorrenti (“Facciamo che io vengo e ti brucio i furgoni”).

Questo non è più accaparramento di beni comuni, non è più sviluppo caotico ai limiti della legge; è una devastazione, che si lascia dietro solo terra bruciata.

Una devastazione. Quanto è penetrata nella società?

Questo autentico cancro, quanto è penetrato nella società trentina? A margine dell’inaugurazione dell’anno giudiziario il Procuratore generale Giovanni Ilarda ha definito “fatti gravi legati a una specifica realtà” quelli scoperchiati dall’operazione Perfido, il che “non significa che l’economia del Trentino sia in maniera diffusa e generalizzata inquinata dalla criminalità organizzata”. Possiamo concordare. Anche perché poi il Procuratore ha aggiunto: “Bisogna tenere altissima la guardia”.

Altissima. Va quindi approfondito il discorso delle infiltrazioni nell’economia e nella società, in valle e fuori, come già emerso dalle indagini.

Abbiamo già scritto dei rapporti – alcuni forse solo inopportuni, altri più o meno collusivi – di politici e uomini dello Stato con l’articolato mondo ‘ndranghetista. Il quale, tutt’altro che riducibile a un pugno di piccoli e grandi delinquenti, perseguiva una pianificata politica di penetrazione nella società e nelle istituzioni. All’uopo aveva creato due livelli, per rapportarsi “con la realtà esterna trentina e le sue istituzioni, offrendo alle stesse una facciata di apparente perbenismo” (come scrive l’ordinanza cautelare del giudice La Ganga).

Il primo livello era l’associazione culturale Magna Grecia, “destinata a dare (alla compagine ‘ndranghetista, n.d.r.) una veste di autorevolezza e rispettabilità nel tessuto sociale”. Alle riunioni dell’associazione partecipava il primario del Santa Chiara dott. Giuseppe Tirone, doveva partecipare perfino il Commissario del Governo di Trento (dissuaso però da una soffiata), era stato invitato il generale Dario Buffa, a capo del Comando Militare Esercito “Trentino-Alto Adige”; nella sua sede si era organizzata una cena riservata con il sindaco di Frassilongo, Bruno Groff, per sostenerlo alle imminenti elezioni, e per lanciare due giovani affiliati nel mondo della politica trentina.

L’associazione Magna Grecia, però, aveva un difetto di fondo: sovrapponeva con troppa disinvoltura riunioni esplicitamente ‘ndranghetiste, cui concorrevano capi e picchiatori, a velleità perbeniste, alla ricerca di contatti con i piani alti della società trentina (tra i quali, non riusciti, quelli con il presidente di Cassa Centrale Giorgio Fracalossi e con la candidata per il Pd alla Camera Mariachiara Franzoia).

Il momento più stridente lo si è avuto quando (aprile del 2018) l’associazione organizza una cena per “fornire ‘un segno di rispetto’ e di assistenza (raccolta di denaro, n.d.r.) a Paviglianiti Antonino detto Nino”, ‘ndranghetista condannato con sentenza definitiva e che prima di consegnarsi in carcere fa un giro d’Italia nelle varie locali ‘ndranghetiste per ricevere soldi e ossequi. All’inquietante riunione partecipa, perlomeno imprudente, il primario dott. Tirone, mentre il Commissario del Governo Pasquale Gioffrè si sfila all’ultimo momento.

L’incongruità di tale commistione di obiettivi non sfugge ai nostri uomini: “Ormai l’associazione si è bruciata”.

Più raffinato invece il secondo livello dei contatti con la buona società trentina. Erano le cene organizzate dal faccendiere Giulio Carini. Livello superiore, dicevamo: non vi partecipavano gli ‘ndranghetisti del porfido. Cene a base di “capra calabrese”, uno specifico rituale ‘ndranghetista, ma i tanti convitati (anche più di 50) non erano tenuti a saperlo, e molti non lo sapevano. Di queste cene, della complessa personalità e della caratura ‘ndranghetista di Carini, dei partecipanti più illustri – dai giudici ai politici – e del loro differenziato coinvolgimento, abbiamo lungamente scritto in “I tentacoli” (dicembre 2020) e “Trentino a rischio” (gennaio 2021). Qui operiamo solo una considerazione all’interno del nostro ragionamento: quando un’articolazione di un’organizzazione mafiosa (così almeno definisce il Giudice Istruttore l’attività di Carini) riesce a coinvolgere tante e tali personalità della società civile, l’infiltrazione è ormai al livello di guardia.

‘Ndranghetisti e cavatori trentini: conflitti ma soprattutto commistioni

Ritorniamo all’economia e al distretto del porfido. Diciamo subito che non abbiamo apprezzato la prima reazione del Presidente degli Industriali Fausto Manzana di fronte alla possibilità di far costituire Confindustria come Parte Civile nel prossimo processo agli ‘ndranghetisti: eppure tra i primi ad essere minacciati sono proprio i rapporti industriali, di fronte a concorrenza sleale, truffe sistematiche, eliminazione della concorrenza tramite acquisizioni, fallimenti, intimidazioni. Confidiamo che Confindustria ci ripensi.

Per intanto non possiamo non rilevare che i principali arrestati sono membri dell’associazione, ma soprattutto lo sono tanti partner che con la galassia di imprese ruotante attorno ai fratelli Battaglia si sono, con maggior o minor fortuna, ripetutamente interfacciati. Insomma, dichiarare guerra a Battaglia, può significare dare molto fastidio a potenze come gli Odorizzi. Ma allora il problema si amplia e si aggrava. Si torna insomma al tema principale: quanto il Trentino è risultato permeabile alle infiltrazioni? Quanto ha ceduto a questi signori che sono arrivati con la valigetta dei denari in mano?

Per inquadrare il problema, effettuiamo, anche alla luce delle risultanze degli investigatori, una panoramica sugli uomini e le imprese entrate in affari con i Battaglia.

Gli Odorizzi e la Camparta S.R.L. È la società (ce ne siamo già ampiamente occupati ne “I signori del porfido” nel giugno 2019) con cui Giuseppe Battaglia fa il salto di qualità imprenditoriale, acquistando la più grande cava del Trentino assieme ai fratelli Tiziano e Carlo Odorizzi, che al tempo gestivano con la famiglia Stenico il 70% della produzione mondiale di porfido. Questa la composizione societaria al 9.3.2000: Consigliere e Presidente del CdA Odorizzi Carlo; Consigliere e Vice presidente Battaglia Giuseppe; Consigliere del CdA Odorizzi Tiziano e Battaglia Pietro.

Ed ecco, in merito a questa acquisizione, cosa si legge nell’ordinanza del GIP dott. Marco La Ganga: “Il 5 giugno 2018 Battaglia Pietro, Nania Mario Giuseppe e Denise Pietro parlando dell’acquisto della cava Camparta gettano ulteriori ombre sulla provenienza del denaro allo scopo utilizzato da Battaglia Giuseppe... Nania racconta che terza persona ha fatto un’operazione con gli Odorizzi senza che nessuno abbia saputo qualcosa. Battaglia Pietro risponde che allora i soldi non li hanno messi loro, ma una persona n.m.s... Questi, racconta Pietro, arrivò con una valigetta piena di soldi, li mise sul tavolo, si sedette invitando i presenti a controllare se fossero giusti. Pietro racconta che si sedettero e si misero a contare pazientemente il denaro nella valigetta impiegando mezza mattinata”.

Sempre nell’intercettazione, i tre raccontano l’esito del fallimento pilotato della società:

“Battaglia Giuseppe ha sbagliato a mangiarsi i soldi quando è uscito dalla Camparta... Battaglia Pietro racconta... Quando siamo usciti da là, ti giuro Pietro, solo contanti, solo contanti, aveva quattro milioni di euro!... Denise risponde affermando che Battaglia Giuseppe si è mangiato circa 50 miliardi”.

La famiglia Bertuzzi di Albiano. Franco Bertuzzi, oltre che socio della Avi e Fontana con il fratello Rosario (già vicesindaco di Albiano) appartiene ad una delle famiglie imprenditrici più potenti della zona (controllano varie concessioni ad Albiano tra le quali la Gaggio Porfidi e la Avisio Porfidi, hanno acquistato quel che resta della Camparta dagli Odorizzi e sono soci con la ELPPA e i fratelli Turchi nella Frantumazione Porfidi 2000).

Franco Bertuzzi il 2 dicembre 2014 era in costante contatto telefonico con Mustafa Arafat (oggi in carcere con l’accusa di fungere da “braccio armato del sodalizio”), allora a capo dei picchiatori che pestarono l’operaio Hu Xu Pai. Bertuzzi, a pestaggio avvenuto, fece da tramite con il maresciallo Dandrea, comandante la Stazione Carabinieri di Albiano, che contro ogni logica non chiamò il Pronto Soccorso per salvare l’operaio cinese, ma lo fece trasportare in caserma.

I rapporti di Bertuzzi con Mustafa proseguono anche dopo la vicenda del pestaggio, ed evidenziano una commistione di interessi. In una conversazione intercettata così Mustafa risponde alla chiamata di Bertuzzi: “Cosa ti serve a disposizione?” al che l’altro risponde “Sei come Mario (Nania, uno dei principali esponenti del gruppo, n.d.r.) anche lui parla così”. La conversazione prosegue con Mustafa che ribatte: “Cosa ti serve che siamo una potenza” al che Bertuzzi conferma: “Lo so che siete una potenza”. Lo sa. E forse gli torna comodo?

Meno amichevole, ma sempre all’interno di rapporti tutt’altro che superficiali, una conversazione tra Nania Mario Giuseppe e Conci Fiorenzo, il 25 maggio 2017: il primo, ben noto per i modi decisamente spicci, afferma: “E vedrai come lo faccio metter sull’attenti il Rosario” riferendosi evidentemente a Rosario Bertuzzi, fratello di Franco.

Peraltro è l’insieme della famiglia Bertuzzi perfettamente consapevole della pericolosità dei calabresi e precisamente, in una conversazione del 21 giugno 2018 tra Denise Pietro (uno dei picciotti della locale) e Davide Bertuzzi, titolare della Avisio Porfidi, questi molto si preoccupa che l’assunzione di Denise (che sta lavorando in nero presso la ditta Dossi di Nania e Battaglia) possa creargli problemi con l’iracondo e temutissimo Nania.

Una certa complicità tra i Bertuzzi e gli attuali indagati sembra poi comparire, quando, all’interno di uno dei tanti progetti illegali (un deposito abusivo di rifiuti) di Giuseppe Battaglia, Bruno Saltori (già proprietario della Cava Porfido srl, acquisita, svuotata e fatta fallire da Battaglia & soci, con Saltori passato alle loro dipendenze) parlando appunto con Battaglia afferma che “Sarebbe da scavare tutto il possibile e poi dal Bertuzzi potrebbero prendere soldi facendolo riempire”.

È ben noto che uno dei campi d’azione della criminalità organizzata è il traffico di rifiuti inquinanti. E proprio nel piazzale dei Bertuzzi vennero misteriosamente rinvenute anni fa otto cisterne da mille litri contenenti liquidi pericolosi, episodio inquietante e mai chiarito.

I fratelli Simone e Walter Caresia. Sono eredi di attività imprenditoriali nel porfido (Euro Porfidi, con concessione a Fornace e lavorazione a Lona-Lases, più quote societarie in Porfidi Europa srl operante a Civezzano) e nel marmo nel veronese. Unitamente a Bertuzzi e Odorizzi (ELPPA) di Albiano, costituiscono l’imprenditoria emergente che nel corso degli ultimi dieci anni sta soppiantando o almeno si sta mettendo alla pari con l’accoppiata Odorizzi-Stenico che ha dominato il settore fin dagli anni ‘80 ed aveva quale referente politico la DC. Il referente politico della nuova cordata è il PATT, rapidamente sostituito in questi ultimi anni dalla Lega.

Anche loro con i calabresi hanno evidentemente rapporti, che a un certo punto sembrano burrascosi, come appare da una conversazione del solito Mario Nania e Rosario Conci del 25 maggio 2017: “Vedi che vado da Walter lì a Fornace sai come lo faccio? La faccia così gli faccio... hai capito come?” Poi, per soprammercato, “gli trombo pure la moglie a quello lì”.

In politica invece Walter Caresia, consigliere comunale a Fornace, è sullo stesso fronte con Mario Nania: entrambi schieratissimi per il no al referendum per l’unificazione dei comuni di Civezzano e Lona Lases. Nania fa sentire “la sua presenza unitamente ad altri soggetti calabresi nei pressi dei seggi elettorali per influenzare e indirizzare i voti” e attivamente sorveglia l’andamento delle elezioni avvalendosi dell’apporto di Ernesto Girardi ex imprenditore di Fornace e attualmente dipendente proprio dei fratelli Caresia. Nania nell’intercettazione evidenzia di conoscere i risultati parziali durante lo spoglio a lui favorevole e così commenta con Girardi:

Girardi: È andato a fuoco il castello adesso sta bruciando metà castello quindi...

Nania: Come mai?

Girardi: Probabilmente doveva venire la ‘ndrangheta qua”. Nania: ride.

Decodifichiamo: i ruderi di Castel Roccabruna dominano il paese di Fornace e l’incendio di “metà castello” intende rappresentare la spaccatura tra i concessionari di cava che sul referendum, per la prima volta dopo mezzo secolo di dominio della politica locale, si erano divisi. Dinamica attribuita, dall’uomo dei Caresia (Girardi verrà successivamente eletto in Consiglio comunale a Fornace proprio nella lista capeggiata da Walter Caresia), proprio all’avvento della ‘ndrangheta. A questo punto fa bene Nania a ridere: gli ‘ndranghetisti, riconosciuti come tali, sono del tutto accettati, anzi acclamati.

La famiglia Casagranda. Il cavalier Sergio Casagranda di Lona-Lases, consigliere provinciale, titolare della Veneri e Casagranda era lo storico rappresentante dei cavatori in Provincia. Nella ditta gli sono succeduti i figli Marco e Davide, che hanno esteso l’attività alla Porphyry to Live Luxury srl e alla Vicentini Romano srl concessionaria di lotto cava a Fornace.

I due fratelli paiono molto intersecarsi con le attività del gruppo calabrese.

Così scrive il giudice: “Macheda Innocenzio nell’ambito della sua attività imprenditoriale elude la normativa di settore per l’estrazione e la lavorazione del grezzo e talvolta, nella vendita del porfido, omette di fattura, a scapito della normativa fiscale, anche tramite pagamenti in nero o fatti a favore di sua madre o spesso in contanti. Inoltre egli intrattiene contatti frequenti con il cittadino straniero Kenan, con il quale si interfaccia per la compravendita e il trasporto di materiale definito grezzo, avvalendosi della complicità di David Casagranda”.

Precisiamo, per meglio delineare gli intrecci di uomini e interessi, che lo straniero Kenan di cui sopra, è il cittadino macedone Kenan Selmoni, che ha rilevato l’attività di lavorazione del porfido presso il capannone di proprietà della famiglia Bertuzzi in località Palusane a Lona-Lases, prima gestita dalla ditta Europavimenti di Nusret Ramani, che impiegava manodopera cinese gestita dal ben noto Arafat Mustafa.

Il fratello di Davide, Marco, è l’ex sindaco di Lona-Lases, con Giuseppe Battaglia come assessore esterno alle cave e in lista Pietro Battaglia, eletto consigliere. Alla sua terza elezione, nel 2015 con lista unica in cui era candidato, poi eletto, Demetrio Battaglia figlio di Pietro, aveva usufruito dell’appoggio di alcuni degli indagati, mobilitatisi all’uscita della messa per invitare al voto le persone (era necessario raggiungere il quorum). Peraltro Marco Casagranda nella sua veste di sindaco ha sempre difeso i fratelli Battaglia anche attraverso interventi sulla stampa “sono impegnati per il bene del paese”.

Diego Stenico. Titolare della Dolomiti Porfidi di Fornace, è nipote degli storici concessionari Renzo e Bruno Stenico, con il cugino Massimo varie volte presidente della sezione porfido di Confindustria e partecipe del consorzio Unioncave con i fratelli Paolo e Gino Colombini e Rosario e Franco Bertuzzi.

Così leggiamo nell’ordinanza: “Il 7 marzo 2018 Nania Mario Giuseppe commenta con Diego Stenico una articolo di stampa relativo all’insediamento della ‘ndrangheta” vantandosi di poter far intervenire se necessario dalla Calabria una squadra, in questi termini: “Ti giuro, ti giuro che io faccio salire una squadra, loro si pensano che io sono stupido”.

Non riusciamo a capire se Nania intendesse alludere a minacce alla stampa o che altro. Di sicuro sa di poter rivelare intendimenti mafiosi e delittuosi a Stenico, imprenditore di spicco in valle, e del tutto impunemente.

Potremmo parlare di ulteriori rapporti, connessioni, connivenze. Lo faremo nei prossimi numeri.

Qui intanto ci pare di poter concludere che di fronte a questo autentico disastro sociale qualsiasi minimizzazione è irresponsabile. Il cancro è di molto avanzato. La guardia, come dice il PG, deve essere “altissima”.