Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 9, settembre 2025 Cover story

Il Tribunale ammazzasentenze

Procura e Gip, pur di salvare due imputati di mafia, sbeffeggiano l’inchiesta Perfido e la Cassazione

Ricordate il caso del giudice Corrado Carnevale, presidente della prima sezione penale della Cassazione, soprannominato l’”ammazzasentenze” per le centinaia di sentenze per reati gravissimi (soprattutto associazione mafiosa) da lui annullate per vizi di forma? (Fu poi sospeso dal servizio e lui stesso condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, salvo essere poi prosciolto in Cassazione).

Orbene, non vorremmo che il Tribunale di Trento si avviasse a ripercorrerne le orme, ammazzando esso stesso le proprie indagini e sentenze. Addirittura in conflitto con la Cassazione. Sembra incredibile, eppure...

E’ il caso dei recenti incredibili patteggiamenti stipulati tra Procura e imputati di “Perfido”, che contraddicono le accuse della stessa Procura, rinnegano le risultanze investigative, e arrivano a sbeffeggiare lo spirito e la lettera delle sentenze della Suprema Corte.

Vediamo in dettaglio. Si tratta dei patteggiamenti con gli imputati Mustafà Arafat e Giuseppe Paviglianiti. Il primo è un picchiatore, a capo della squadra che aveva selvaggiamente pestato l’operaio Hu Xupai, e che così viene descritto dal capo d’imputazione, redatto dalla stessa Procura: “Braccio armato del sodalizio... esegue personalmente atti intimidatori in pregiudizio di altri imprenditori, lavoratori, debitori”. Paviglianiti invece agisce a un altro livello, è il presidente dell’associazione Magna Grecia, “epicentro della locale ‘ndranghetista, cui tutti gli indagati fanno riferimento”.

Nonostante questi addebiti pesantissimi, all’inizio del 2022 la Procura aveva già concluso con gli imputati un patteggiamento in cui, con un esercizio di creatività, faceva cadere l’appartenenza all’associazione mafiosa, e riduceva a poca cosa la pena per i due. Il Gip Enrico Borrelli approvava, ma il Procuratore Generale Giovanni Ilarda no: la derubricazione da appartenenza all’associazione mafiosa (art. 416 bis) a sostegno all’associazione mafiosa (art. 418) “è manifestamente errata ed eccentrica rispetto ai fatti descritti”. Infatti il codice descrive in maniera tassativa le condotte che configurano il molto meno grave reato di ‘sostegno’: “Darerifugio o fornire vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano all'associazione”; mentre i nostri avevano fatto ben altro, intimidito minacciando brutali violenze a imprenditori concorrenti e loro famiglie, oppure presieduto il luogo di ritrovo degli ‘ndranghetisti, ed altro ancora (che poi illustreremo meglio). Il PG quindi, nel giugno del ‘22 faceva ricorso in Cassazione.

La Suprema Corte, nel dicembre 2022, accoglieva il ricorso del PG, annullando il patteggiamento e rinviava il procedimento al Tribunale di Trento. Tutto bene?

No, la Procura effettuava un nuovo patteggiamento, accolto dal Gip, che ancora toglieva ai due imputati l’appartenenza all’associazione mafiosa insistendo per Paviglianiti nel mero sostegno all’associazione, e per Mustafà nel favoreggiamento. Il Procuratore Generale, di fronte a questa che a un profano sembra una presa in giro, ancora si opponeva, e presentava un nuovo ricorso in Cassazione.

La Suprema Corte non cambiava idea e respingeva il patteggiamento con parole molto nette. Per Mustafà, la nuova qualificazione giuridica, passata da appartenenza ad associazione mafiosa al meno grave favoreggiamento risulta “macroscopicamente errata”, in quanto “le condotte ascritte all'imputato, consistevano in atti intimidatori, compiuti anche con armi, nei confronti di altri imprenditori, finalizzati ad acquisire e gestire attività economiche nel settore del porfido; a sfruttare i lavoratori, creare un clima di intimidazione e paura”. Appunto. In quanto a Paviglianiti la Cassazione ricorda che il capo di imputazione (redatto, ricordiamolo, dalla stessa Procura) gli contestava di avere preso parte all'associazione mafiosa, "riconoscendo e rispettando le gerarchie e le regole interne del sodalizio, eseguendo le direttive del capo cosca, fornendo supporto agli affiliati. Ricopriva la carica di presidente dell'associazione Magna Grecia a Trento ove organizzava incontri e riunioni tra i sodali. Si faceva promotore per fornire assistenza agli appartenenti dei cosche ‘ndranghetiste di Bagaladi (famiglia Paviglianiti) destinatari di provvedimenti restrittivi, organizzando raccolte fondi e un incontro con gli altri sodali”. Insomma, la riqualificazione giuridica, da appartenenza all’associazione mafiosa a mero sostegno, “è palesemente eccentrica rispetto alle condotte descritte nel capo di imputazione”.

In soldoni: avete appurato una serie di condotte criminose, non potete che trarne conseguenze coerenti. Anzi, la Cassazione sembra incazzarsi: imputa a Procura e Gip di non aver adempiuto alla precedente sentenza della stessa Suprema Corte, in cui si chiedeva di rendere ragione di questo passaggio illogico: come mai con queste prove vi sia saltato in mente di addebitare il mero sostegno all’associazione (queste le parole esatte “la Corte di cassazione chiedeva di rendere ragione del perché i medesimi elementi probatori consentissero di ritenere configurato il delitto di cui all'art. 418 c.p.”). Chiaro? Un bel niente. La Cassazione annulla senza rinvio la sentenza del Gip e trasmette gli atti al Tribunale di Trento. Dove Procura e Gip proseguono nella linea di far saltare il 416 bis.

Il 23 maggio 2025 c’è infatti un nuovo patteggiamento, il terzo. Cosa succede? Dal momento che la Cassazione ha sostenuto che l’esclusione del 416 bis è eccentrica rispetto a quanto descritto nel capo d’imputazione, il Gip Fabio Peloso invita il Pubblico Ministero a modificare il capo d’imputazione per “ricondurre l’accusa in forma aderente agli atti d’indagine”. Cosa che è in suo potere. Solo che questa operazione viene fatta stravolgendo ogni logica, come appare chiaro a chi abbia una minima conoscenza degli atti d’indagine.

Concentriamoci su Giuseppe Paviglianiti. Il Gip e il PM ne rivedono la posizione e concludono che lo stesso “si limitava a fornire vitto e ospitalità (in forme modeste) a taluni associati alla consorteria mafiosa, senza che tale assistenza si riverberasse sull’associazione, verosimilmente spinto a ciò dal rapporto parentale e dal legame dovuto alla provenienza dagli stessi luoghi di nascita”. In realtà gli “atti d’indagine” ci raccontano un’altra storia: il nostro uomo il 10 aprile 2018 organizzava all’associazione Magna Grecia una cena con colletta per il cugino Antonino Paviglianiti, in procinto di andare in carcere: si attivano in particolare anche Morello Domenico (condannato in via definitiva per appartenenza alla locale ‘ndranghetista trentina), Alampi Giovanni (attualmente sotto processo) e Foti Antonino (affiliato alla cosca Iamonte, arrestato nel 1979 e condannato per omicidio); è presente tra gli altri Giulio Carini (elemento di raccordo tra la locale e “le istituzioni politiche, economiche, amministrative nonché con la magistratura” secondo l’accusa). Si effettua una raccolta fondi per il futuro incarcerato. E’ una classica attività mafiosa, assicurare sostegno a chi viene condannato. Giuseppe poi, assieme a Domenico Morello e Giovanni Alampi (Costantino Demetrio no, “perchè lui ha già persone in galera che sostiene”) provvede a mettersi a disposizione di Antonino anche quando è in carcere.

E tutto questo ora per il Tribunale sarebbe limitarsi “a fornire vitto ed ospitalità (in forme modeste) a taluni associati alla consorteria mafiosa, senza che tale assistenza si riverberasse sull’associazione, verosimilmente spinto a ciò dal rapporto parentale e dal legame dovuto alla provenienza dagli stessi luoghi di nascita” Ma come? E’ un’assistenza organizzata e coordinata tra vari esponenti della locale, e sarebbe una cosa che non si riverberebbe sull’associazione? Ma ne è uno dei punti cardine!

Non basta. Il nostro uomo si attiva a favore dei fratelli Mario e Nicola Paviglianiti della famiglia Paviglianiti – i “Lanterna” - di Bagaladi, che riparano in Trentino perché in Calabria hanno problemi. Giuseppe Paviglianiti, in combutta con Morello ed Alampi, attivano il calabrese Francesco Manti dipendente della Trentino Trasporti, per fare assumere nella predetta azienda i due fratelli, truccando il test d’ammissione. I due non devono essere dei geni, e quando gli vengono fornite domande e risposte del test, non capiscono quali siano le une e quali le altre, e allora si provvede a spiegarglielo. E questo sarebbe “vitto ed ospitalità in forme modeste”?

A questo punto dobbiamo spiegare noi, ai lettori, ma forse anche al Tribunale, cosa fosse l’associazione Magna Grecia. Era, secondo gli “atti d’indagine”, da una parte “centro di coesione degli affiliati... dove i sodali si rapportano in riunioni ristrette”, dall’altra “rappresentanza rispettabile verso il nucleo sociale circostante” e infine sede di riunioni “allargate a soggetti esterni alla compagine ma che possono tornare utili alla stessa o per sostenere, sempre interessatamente, candidature politiche”.

Tale pluralità di funzioni, evidentemente contraddittorie, non risultava alla lunga sostenibile. Il prefetto, che doveva andare a un incontro dell’associazione, cambia idea, avvisato “di stare attento che c'è la 'ndrangheta” (intercettazione del 10.4.2018). Anche il professor Albanese (questo dato, a dire il vero, non risulta dalle indagini, ce lo ha rivelato in un’intervista pubblicata su QT di giugno l’on. Mauro Ottobre, anch’egli imputato), predecessore di Paviglianiti alla presidenza della Magna Grecia, si era dimesso quando si era accorto chi erano i soggetti che gestivano l’associazione. Di questa deriva finiscono con il rendersi conto gli stessi ‘ndranghetisti: il capo Macheda si sfila, Morello “dice che, non deve andare più nemmeno all'associazione” sostenendo “che ormai l'associazione si è bruciata e Peppe (cioè il nostro Paviglianiti Giuseppe) non si rende conto”.

Cioè: la Magna Grecia per gli ‘ndranghetisti è troppo caratterizzata come loro organo, ma non lo è per i PM, per i giudici?

Più in generale, scrive il Gip Peloso, “in atti non vi è la prova né della partecipazione del Paviglianiti alla contestata associazione a delinquere di tipo mafioso né del concorso esterno a tale reato”.

In realtà gli atti d’indagine sono pieni di prove di questa partecipazione. Vediamone alcune.

Innanzitutto l’uomo partecipa a tutta una serie di riunioni, anche quella del 6 settembre 2018 con Morello Domenico, Costantino Demetrio, Alampi Giovanni, Gioia Filippo, Vozzo Vincenzo e soprattutto il sindaco di Frassilongo Bruno Groff. Oggetto? Il sostegno alla candidatura di Groff alle elezioni provinciali. Per questo rapporto il politico verrà processato, prima udienza il 31 ottobre, per scambio elettorale politico-mafioso (art. 416 ter): il Gip ne è a conoscenza? La Procura non ricorda?

Sta di fatto che Paviglianiti si interfaccia a più riprese con il capo della locale Innocenzio Macheda, che gli riconosce un ruolo di prestigio. Con Macheda interloquisce quando si trova a gestire il caso della busta contenente due proiettili, calibro 9x21, avvolti in due fogli di carta distinti e riportanti la scritta in stampatello “per Mimmo” e “per Santo”, da riferirsi, con quasi certezza, a Manuardi Domenico e Manuardi Santo, calabresi. Il significato della minaccia, il ruolo dei due Manuardi, i rapporti con la casa centrale calabrese, sono al centro dei colloqui tra il capo Macheda e Paviglianiti, quello che per il Tribunale con l’associazione mafiosa nulla ha a che fare.

A dimostrazione del rapporto stretto e anche gerarchico sussistente nell’ambito del sodalizio criminale, l’1 settembre 2018, nel commentare con Russo Paolo l’incendio doloso dell’auto di Macheda Innocenzio, Paviglianiti Giuseppe afferma che lui è andato a trovare Ceggio (Macheda Innocenzio) ancora la mattina successiva il fatto, “e che è andato perché bene o male era tenuto ad andare”, e che “l'episodio è antipatico e che è la prima volta che succede in vent'anni che lui è in Trentino, e specifica che è la prima volta che succede a uno di loro di sotto (ndr della Calabria), in assoluto, non è mai successo. Che hanno subìto un incendio, a uno di loro, non è mai successo in vent'anni che lui…”.

Potremmo continuare.

E potremmo anche fare analoghe considerazioni sulla mancata partecipazione all’associazione, sia pur con ruoli più subalterni, del “braccio armato del sodalizio” Mustafà Arafat.

Sta di fatto che, con ulteriori acrobatiche derubricazioni e generosissime concessioni di attenuanti - ben spiegate in un’apposita conferenza stampa dall’avv. Bonifacio Giudiceandrea, a suo tempo patrocinatore di Parte Civile degli operai offesi - i due se la cavano con pene irrisorie, un anno e sette mesi a Paviglianiti, due anni a Mustafà (che deve rispondere anche di sfruttamento dei lavoratori).

E’ un radicale stravolgimento di tutto l’impianto accusatorio: i risultati delle indagini, neanche menzionati nei precedenti patteggiamenti come ha rudemente rilevato la Cassazione, qui invece sono stravolti, gli atti dicono una cosa, Procura e Gip sostengono l’opposto.

Immaginiamo i Carabinieri dei ROS che hanno lavorato per anni per fornire l’impianto probatorio: un impegno ridicolizzato proprio da chi glielo aveva commissionato.

Ma più in generale, che credibilità può avere una Giustizia del genere? “Perfido? Tutta una burletta” si dice in val di Cembra. Non è che abbiano ragione loro?

L’istituzione dovrebbe autocorreggersi. Per questo ci sono i ricorsi, i vari gradi di giudizio. Quindi, anche in questo caso ci si aspetterebbe l’intervento della Procura Generale e la trasmissione degli atti alla Cassazione.

Invece non accade. E’ del 23 maggio di quest’anno il patteggiamento accolto dal Gip Peloso. Ma la Procura Generale, nella figura del nuovo Procuratore dott. Corrado Mistri, non interviene. Così, il 20 giugno la sentenza diventa irrevocabile.

Facciamoci del male.

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.