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QT n. 12, 10 giugno 2000 Servizi

La trappola di Lorenzo Dellai

“Volete l’ambiente o lo sviluppo?” - chiede il presidente ai suoi alleati. Ma è una alternativa fasulla...

Lorenzo Dellai è una persona simpatica. Se la fa e se la disfa tutto da solo. E con una tale disinvoltura da apparire finanche sincero.

Prima dipinge a se stesso e all’opinione pubblica una sinistra di fantasia, ideologicamente contraria alla crescita economica e abbarbicata in battaglie di retroguardia in difesa dei fiorellini. Dopodiché, si avventura in un monologo con questa sinistra immaginaria, giungendo all’ovvia conclusione che, con questa sinistra, governare è impossibile. E alla sinistra reale, tagliata fuori da questo dibattito a una sola voce, non resta che assistere sbalordita allo spettacolo.

A questo punto, la cosa peggiore che può fare la sinistra è recitare la parte che Dellai le ha assegnato, accettando di scegliere tra subalternità od opposizione, tra perdere la faccia o perdere il governo. Anche perché - e Dellai lo sa - alla fine la sinistra sceglierebbe la subalternità, la perdita della faccia: perché sono in vista le elezioni politiche, perché si governa assieme in molti comuni, perché bisogna salvare lo "spirito dell’Ulivo", perché "non si può consegnare il Trentino in mano alle destre", perché a nord c’è Haider e a sud c’è Bossi. Ritornelli da suicidio che qualcuno, nella sinistra, ha già iniziato a recitare: "La Val Jumela passi pure, ma sia messo a verbale che io ero contrario".

In un tale scenario, alla sinistra spetterebbe il compito di presidiare l’elettorato un po’ naïf dei duri e puri, a Dellai quello di governare lasciando gli altri fuori dalla stanza dei bottoni. Il risultato è che Dellai governa a modo suo, senza il contributo d’idee che gli alleati potrebbero esprimere.

Finora una parte di questi si è fatta intortare in questo gioco. E il motivo è legato alla difficoltà con la quale, a sinistra, ci si rapporta con l’economia di mercato. C’è ancora, infatti, chi ritiene che crescita economica e salvaguardia dell’ambiente siano inconciliabili. Dopodiché si schiera per la salvaguardia dell’ambiente, contro la crescita economica. E sapendo che si tratta di una posizione perdente si rifugia in un angolino, per salvarsi almeno l’anima, con gran gioia di Dellai, che resta l’unico interlocutore del mondo economico.

Eppure la via d’uscita è sotto il naso. Basta avere il coraggio di confrontarsi con l’economia di mercato, tentare di governarla anziché subirla: ambiente e sviluppo non sono solo due cose conciliabili: nel Trentino di oggi l’unico sviluppo possibile è quello compatibile con l’ambiente.

Alla domanda "sviluppo o ambiente?", bisogna insomma rifiutare di rispondere, contrapponendo la logica "sviluppo e ambiente". Si abbia cioè il coraggio di sfidare Dellai sul terreno della crescita economica: si scoprirà che si fanno molti più soldi tutelando l’ambiente anziché distruggendolo. E si scoprirà che lo sviluppo distruttivo dell’ambiente è, in realtà, sottosviluppo, danno economico, banale speculazione, assalto alla diligenza della Provincia, favori agli amici. Nient’altro.

Altro che "porre limiti allo sviluppo per salvaguardare l’ambiente", discorso che può andar bene per la foresta amazzonica; in Trentino i limiti allo sviluppo li mette chi misura il progresso in metri cubi di cemento o in chilometri d’asfalto. Basterebbe un po’ di coraggio, sporcandosi le mani parlando di soldi, e questi santoni del progresso rimarrebbero in mutande.

Occorre spiegarsi con degli esempi. Un paio d’anni fa sembrava che, o si faceva una diga a Valda, o altrimenti Trento sarebbe stata condannata a essere inondata dalle piene dell’Adige. Gli occhiuti dirigenti della Provincia e dell’Autorità di Bacino dell’Adige, dopo innumerevoli studi costati fior di quattrini, avevano sentenziato che per salvare Trento bisognava sacrificare la Val di Cembra, distruggendo l’Avisio. Poi arrivarono alcuni pierini, ragazzini animati solo dal desiderio di continuare a pescare le trote, sulle rive di quel meraviglioso torrente condannato alla distruzione. Fecero una colletta per affidare ad uno dei migliori idrogeologi d’Europa il compito di vedere se un’alternativa fosse possibile. E quell’idrogeologo si divertì a sputtanare Provincia e Autorità di Bacino. Secondo il suo studio, coi soldi sin lì spesi solo per gli studi di progettazione della diga , attraverso il recupero ambientale si sarebbe potuto mettere in sicurezza Trento ancor meglio che con la diga, si sarebbe potuto creare occupazione qualificata e lanciare in Val di Cembra il turismo, facendo uscire quel territorio dalla monocultura del porfido. Ebbene, il Governo italiano giudicò serio e fattibile il progetto dei pierini e una sciocchezza, priva di fondamenti scientifici ed economici, quello della diga. In Val di Cembra stanno ancora ridendo, sebbene l’Autorità di Bacino, forse per ripicca, sembra ora non voler realizzare né la diga né la sua alternativa, lasciando Trento in balìa di un’alluvione.

Altro esempio. Qualche anno fa qualcuno si mise in mente che il progresso erano le centraline idroelettriche. Chi si opponeva era tacciato di essere contrario allo sviluppo. Il problema ambientale stava (e sta ancora) nel fatto che i corsi d’acqua trentini sono già secchi, a causa delle grandi dighe idroelettriche, tanto che la Provincia è impegnata da anni in una contesa con l’Enel per ottenere il rilascio di un minimo di portata. Sui tavoli della Giunta provinciale arrivarono, dai comuni, decine di richieste per realizzare centraline, col povero Leveghi (allora assessore all’Urbanistica) impegnato a selezionare tra quelle accettabili sotto il profilo ambientale e quelle no. Ma intanto c’era un altro assessore provinciale che, in base ad una legge, finanziava la realizzazione delle centraline al cento per cento, mentre un vecchio accordo con l’Enel prevedeva che questa avrebbe comprato dai comuni l’energia prodotta in eccesso (di notte) a cifre da capogiro e che avrebbe venduto ai comuni l’energia necessaria (di giorno) per due soldi.

Mentre in Trentino infuriava contro Leveghi la protesta dei sindaci, un giorno si andò a pranzo con Durnwalder, che si sbellicò dalle risate sentendo parlare del solito bisticcio all’italiana. Lui - disse - questi problemi non li aveva: qualunque comune avesse chiesto di realizzare una centralina, la Provincia non si sarebbe opposta. Ma siccome Bolzano non concede ai comuni alcun contributo pubblico per realizzare le centraline, sui tavoli della Giunta non arrivava quasi nessuna richiesta. Per quanto riguarda il Trentino, bastò che Chicco Testa si lasciasse scappare in una intervista l’intento dell’Enel di rivedere quel vecchio accordo, e gran parte delle domande dei comuni furono ritirate. Dimostrazione evidente che quelle centraline idroelettriche, oltreché dannose per l’ambiente, sarebbero state economicamente in perdita.

Con la Val Jumela è più o meno lo stesso. La Provincia finanzia quasi per intero la realizzazione di ogni nuovo impianto di risalita. È come se sulla diligenza ci fosse uno che butta i soldi dal finestrino. Chi non li raccoglie è fesso: ecco perché c’è la gara per realizzare impianti dappertutto, anche dove non hanno senso. Se non ci fossero questi contributi pubblici, si scoprirebbe che a stare in piedi economicamente rimarrebbero, sì e no, due o tre di queste richieste di nuovi impianti. Altro che sviluppo del turismo! Qui la Provincia non solo finanzia la distruzione dell’ambiente, ma produce pure debiti, che un giorno o l’altro ci toccherà pagare!

Il problema è che ciò che appare ovvio alla quasi totalità dell’opinione pubblica, sembra essere ignorato dagli addetti ai lavori della politica. La dimostrazione evidente la si è avuta col referendum sull’aeroporto Caproni. Il 60% degli elettori di Trento, tra un aeroporto e una braciolata con gli amici, ha ritenuto più importante la seconda. Il restante 40%, invece, ha mandato a dire che tre aeroporti per voli di linea nel raggio di cento chilometri non se li possono permettere nemmeno gli sceicchi. Ora Dellai (apriti cielo!) ha detto che un aeroporto di linea per l’intera regione può bastare (abbiamo seri dubbi anche su questo, ma è un passo avanti). Ma se così è, perché fino a ieri sembrava che, senza il suo aeroporto, Trento sarebbe rimasta ai margini del progresso? Ci prendevano per i fondelli allora o ci prendono per i fondelli oggi?

Arriviamo, per finire, alla vituperata Pi.Ru.Bi. Anche qui la sinistra farebbe un errore se si facesse intortare nella falsa logica "ambiente o sviluppo". Quell’autostrada è solo un buco in una montagna, e se proprio serve che la si faccia pure! Anche perché, se si scende sul terreno della scelta tra far passare i camion in Valsugana o sulla Valdastico, allora ha ragione Dellai: è meglio la Valdastico, almeno pagano un pedaggio.

Il problema è che, una volta aperta la Pi.Ru.Bi. (o velocizzata la Valsugana), il giorno dopo lo verrebbero a sapere anche i camionisti provenienti dalla Turchia e ci ritroveremmo con un fiume di Tir sull’Autobrennero. A quel punto che si fa? Una terza corsia dell’A22? Si rifanno tutti i viadotti da Bolzano in su? E quanto costa?

Durnwalder (che è il più furbo della compagnia) ha già detto che ce lo possiamo scordare, mentre a Innsbruck fanno già le barricate per il traffico di oggi. Tutto quel fiume di traffico dovrebbe quindi essere caricato sui treni prima di arrivare in Alto Adige, ossia all’interporto di Trento. Che finirebbe per diventare, con la Valdastico, lo snodo intermodale di tutto il nordest, al posto di quelli di Verona e di Padova. Praticamente una cloaca, che non a caso Durnwalder ci lascia volentieri. Forse darà lavoro a qualche extracomunitario, ma sarà un danno grave per il resto dell’economia trentina: agricoltura, turismo, sanità (curare i tumori costa!). Le merci non pensano: vanno per la strada più veloce e conveniente. Dellai ha detto che le merci devono viaggiare sui treni? Bene, lo si sfidi su questo terreno, senza pregiudizi sulla Valdastico. Difficilmente si riuscirà a dimostrare che la prima cosa da fare per dirottare le merci sulle rotaie è rendere più veloce e conveniente il trasporto su gomma, realizzando una nuova autostrada. E se così fosse, allora si faccia pure quel buco.

Accettare di dover scegliere tra "sviluppo o ambiente", quindi, significa offrire a Dellai la sponda per far passare per sviluppo ciò che invece è soltanto, nella migliore delle ipotesi, assistenzialismo pubblico all’economia privata. In una sola parola: debiti.