Trento, Bolzano e l’arte in divenire
Il Mart, la Galleria Civica, il moderno e il contemporaneo. Il Trentino si affaccia, con successi e contrasti, sull’affascinante mondo dell’arte contemporanea. Il grande prossimo evento europeo, Manifesta 2008, ospitato in regione: Bolzano è pronta, Trento, causa baruffe, a rimorchio.
In Trentino, quanto siete interessati alle espressioni artistiche contemporanee? – mi chiede Hedwig Fijen, direttrice di "Manifesta", la Biennale europea di Arte contemporanea. Con il che l’intervistata mette in imbarazzo l’intervistatore.
In effetti il problema non è il Trentino, è l’Italia. Così ricca di un patrimonio storico incommensurabile, da conservare, studiare, valorizzare, da avere lo sguardo sempre rivolto all’indietro. E quindi rivolgere al passato non solo le risorse e i finanziamenti, ma pure l’attenzione. Anche perché il contemporaneo è rischioso: a differenza delle opere vecchie di secoli, non ha attraversato il duro vaglio del tempo, e quindi fatalmente è più grezzo, c’è dentro di tutto, il genio e il cialtrone. E il vaglio, anzi il primo vaglio, dobbiamo farlo noi, con i nostri giudizi. Ma questo è anche il fascino del contemporaneo, perché parla dei nostri giorni, e con noi, fruitori, interloquisce.
Solo negli ultimi lustri l’Italia ha cominciato a capire l’importanza dell’espressione artistica attuale, dell’arte non sedimentata, quella che si sviluppa ora. E parimenti il Trentino.
E’ di questi anni lo sviluppo prima a Palazzo delle Albere a Trento, e poi l’apertura della grandiosa sede a Rovereto del Mart; lo sviluppo a Trento della Galleria Civica; in Valsugana di "Arte Sella". E di "Oriente-Occidente" a Rovereto e "Drodesera" nel Basso Sarca, della sperimentazione in campi come il teatro, la danza, le arti visuali, le performance, le installazioni, i video, le applicazioni artistiche delle nuove tecnologie, linguaggi tra loro sempre più interconnessi.
E’ un grosso, affascinante calderone, in cui si mescolano idee, soldi, cultura, spettacolo, istituzioni, mercato, politica.
In questo servizio facciamo il punto su alcune situazioni e raccontiamo le ultime evoluzioni che, come vedremo, non sono di poco conto.
In Trentino l’arte dei nostri giorni ha significato soprattutto Mart, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto. I nostri lettori conoscono la posizione di QT sul museo: un grande investimento in cultura, che il nostro giornale ha appoggiato fin dagli anni Ottanta; e una valutazione critica della sua gestione.
Oggi, a quasi cinque anni dall’apertura della nuova sede, possiamo dire che le ambizioni di farne un grande museo internazionale si sono, ahimè, ridimensionate: il paragone con il Guggenheim di Bilbao (vedi scheda a fianco) è impietoso: spendendo più soldi si sono ottenuti risultati cinque volte inferiori, in termini di visitatori. E anche in termini di impatto culturale, di ricerca scientifica, il Museo non è un’istituzione che stia lasciando un segno internazionale, ma nemmeno nazionale: le sue mostre non sono memorabili (eccetto quella sulla Montagna, vedi La montagna, o la poetica del sublime) e sul fronte degli studi non è nemmeno riuscito a compiere quello che doveva essere il suo primo compito, ribadito in millanta dichiarazioni d’intenti, il catalogo delle opere di Depero. Insomma, il Mart è un eccellente museo regionale, che però costa molto più di quanto dovrebbe.
Il motivo di questo fallimento è che se i costi sono stati proporzionati all'ambizione di farne un grande museo di respiro internazionale, totalmente inadeguata rispetto a quell'ambizione è stata, sin dall'inizio, la filosofia con la quale è nato quel museo, e soprattutto la sua successiva gestione. Il Mart non si trova in una grande metropoli come il Moma di New York o la Tate Modern di Londra, né dispone di collezioni particolarmente significative, capaci da sole di attirare visitatori da tutto il mondo o di essere scambiate alla pari con altri capolavori. Far nascere quasi dal nulla, in un luogo periferico, un museo di ambizioni internazionali richiede una fortissima dose di dinamismo, quello che appunto ha caratterizzato, ad esempio, l'operazione Guggenheim a Bilbao (anche in quel caso nato dal nulla in una media città decentrata). Il Mart, invece, è un classico carrozzone pubblico, in mano a una direttrice, la dott.ssa Gabriella Belli, despota, inamovibile, inadeguata. Mentre i veri grandi musei hanno direttori/manager che cambiano ogni pochi anni, per avere apporto di idee nuove, in Italia e in Trentino ci si attarda nell'antica idea del direttore non a caso chiamato "conservatore": quando i musei erano immobili, dovevano appunto "conservare" un sapere fossilizzato. Tutto il contrario di quanto deve fare un museo del contemporaneo.
A questo aggiungiamo un ulteriore elemento. Gabriella Belli ha caratterizzato il Mart come Museo rivolto ai grandi collezionisti, instaurando rapporti che hanno favorito entrambi: il Museo, altrimenti privo di una collezione permanente significativa, ne ha tratto prestiti e depositi di opere prestigiose; mentre i collezionisti hanno visto aumentare il valore del patrimonio, fatto girare e conoscere.
Il punto è che questa sembra essere l’attività prevalente del Museo: non lo studio (alcune mostre sono state proprio poverine, vedi la pur visitatissima Phillips Collection, e una semplicemente vergognosa Mitomacchina, che avrebbe dovuto essere più proficuamente parcheggiata al Motor Show di Bologna), ma un mix di attività mondane e di valorizzazione di patrimoni. Sull'onda di trattative internazionali per la concessione e gli scambi di opere, ecco i viaggi aerei in prima classe, gli alberghi internazionali a cinque stelle, i ricevimenti a base di ostriche e champagne per i Rotary club delle capitali; mentre si risparmia all’osso sul personale del Museo, che viene tenuto in una situazione di precariato semplicemente indecorosa, come approfondiamo nell’articolo a pag 22. E così i giovani studiosi che dovrebbero fare il lavoro vero se ne scappano appena possono, preferendo la pagnotta sicura di un insegnamento in una scuola media alle umiliazioni di un precariato senza sbocchi.
Mentre questo accadeva a Rovereto in quello che è il museo di tutta la provincia, , a Trento continuava a vivacchiare la locale Galleria Civica, finanziata unicamente dal Comune, con un’attività senza infamia e senza lode. Finché nel 2001 non arrivava, vincitore di un concorso di idee, Fabio Cavallucci. Di fatto, mentre il Mart puntava soprattutto sull’arte moderna, la Galleria si specializzava nel contemporaneo, ossia sugli artisti viventi.
La marcia in più impressa da Cavallucci consisteva nell’affiancare ad un’attività espositiva, una produttiva. La Galleria diventava luogo di produzione, per artisti soprattutto giovani, in rete con l’università, luogo di ricerca, di sperimentazione di nuovi linguaggi, in sinergia con il territorio (vedi l'ultimissimo Gillian Wearing: “Family Monument”). La Galleria diventava così un luogo aperto, vi si apriva un pub, si lanciavano esperienze (talvolta fallite) come la web-Tv al Binario (locale universitario) o il Premio della performance a Dro (altra esperienza dagli esiti dubbi, eppure i vincitori sono stati poi invitati alla Biennale Performa di New York).
Mettiamo qui in risalto anche gli esperimenti non riusciti perché connaturati al tipo di attività: quando si ricerca davvero, non sempre si trova. "La nostra professionalità sta nel ridurre al massimo la percentuale di rischio – ci dice Cavallucci – Certo, il rischio della bufala c’è sempre. Che però una piccola organizzazione come la nostra può permettersi, al contrario di chi ha budget milionari, e quindi non può rischiare".
Sta di fatto che questa impostazione ha più che raddoppiato i visitatori (oggi 15.000-20.000), ma soprattutto ha attratto l’attenzione nazionale e internazionale. Se si sfoglia l'Espresso, sull'attività del Mart più che recensioni si trovano inserzioni a pagamento; della Galleria Civica l’esatto contrario; tra gli studenti del Dams, Trento è nota in quanto sede della Galleria civica; per non parlare delle riviste specializzate, nazionali ed internazionali. "Ormai quando si parla della nostra Galleria Civica, si aggiunge sempre ‘uno dei luoghi più vivaci della vita artistica italiana’" - aggiunge, evidentemente soddisfatto, Cavallucci.
Con la Galleria è entrato in sintonia anche Maurizio Cattelan, uno dei più noti artisti viventi e sicuramente il più quotato tra gli italiani (il suo "Wojtyla e il meteorite" a un’asta di New York è stato battuto per tre milioni di dollari), che dall’università di Trento ha ricevuto una laurea honoris causa.
Una tale attività non va ovviamente misurata con il numero di visitatori (in sé non esaltante, ma neppure trascurabile se rapportato al costo della Galleria), quanto piuttosto con l'humus culturale che crea. Nel duplice senso di rendere il Trentino più noto ed attraente per giovani colti e dinamici (il discorso che abbiamo più volte fatto sulla competitività di un territorio grazie alla capacità di attrarre giovani talenti); e di fungere da palestra, da laboratorio, per i giovani artisti locali. Sul primo punto è emblematico che tra i sostenitori della Galleria vi siano, ad esempio, il professore di economia Enrico Zaninotto o l'assessore provinciale Gianluca Salvatori, vale a dire persone che di mestiere si occupano di promuovere lo sviluppo economico attraverso la ricerca e l'innovazione. Sul secondo citiamo, tra gli artisti locali passati per la Civica, i nomi di Anna De Manincor (prima trentina, dopo quarant’anni, ad essere invitata alla Biennale di Venezia) e di Laurina Paperina (su cui QT ha già scritto, vedi Gli scarabocchi di Laurina Paperina; ha recentemente esposto a New York, dove ha avuto tra gli acquirenti Takashi Murakami, il più importante artista giapponese nonché promotore di una factory per giovani artisti).
In questo quadro è evidente che Mart e Civica hanno due ruoli distinti e diversi. Il primo studia ed espone artisti del passato, magari recente; la seconda promuove l’arte in divenire. La Belli e Cavallucci si detestano? Non dovrebbe essere un problema. Invece i problemi ci sono.
Al fondo il discorso dei soldi. In una provincia dove trovare d’improvviso 100 milioni per fare un nuovo tunnel non è mai un problema, i fondi per la cultura invece sono rigidamente limitati. Prossimamente ci sarà il grosso investimento nel Centro della Scienza (ne abbiamo parlato nel n° 8, Il museo che verrà), che comporterà un incremento dei costi di gestione del Museo di Scienze Naturali. Il che chiaramente non può andare a detrimento dei contributi al volontariato culturale, che svolge un’azione diffusa, preziosa, socialmente rilevante e poco onerosa.
In questa situazione il successo della Civica è un problema, diventa una crisi di crescita. La Galleria è una dépendance del Comune di Trento, cui costa 480.000 euro all’anno (un ventesimo del Mart). L’assessore comunale alla cultura, Lucia Maestri, non ama la Galleria, e quei soldi vorrebbe volentieri risparmiarli. La Provincia invece ne vorrebbe volentieri un’espansione: siamo nella fase in cui l’assessore alla cultura Margherita Cogo proclama: "Largo al moderno, anche le bande devono suonare il rock". Ne esce il disegno di fare della Civica una costola, autonoma e indipendente, del Mart.
Ma qui il percorso s'interrompe, pare per la contrarietà di Gabriella Belli, che non accetterebbe che in provincia ci sia qualcun altro che si occupa di arte senza esserle sottoposto. Forse è anche per questo motivo che la Belli fa arrivare sui tavoli della Provincia (dopo averla fatta approvare dal Cda del Mart) una proposta di modifica allo Statuto del museo: il Mart deve avere al suo vertice un direttore (scelto tra i dirigenti generali della Pat con maturata esperienza di direzione di musei d'arte), al quale rispondono un responsabile per il moderno (l'attività attuale del Mart) ed uno per il contemporaneo (l'attività della Civica). A completamento del disegno, la Belli porta avanti la propria promozione da dirigente di servizio a dirigente generale: in maniera da essere l’unica persona al mondo ad avere i requisiti per dirigere il super-Mart come delineato dalla riforma dello Statuto.
Il progetto è culturalmente perverso: mentre in tutto il mondo i direttori dei musei vengono scelti con fior di concorsi, e rinnovati ogni pochi anni, il Mart è diretto da oltre 20 anni dalla stessa persona, che per di più pensa di blindare a vita la propria posizione. La cosa dovrebbe essere infilata tra una delibera di Giunta e l’altra: invece una qualche manina passa la notizia ai giornali, che sviscerano il caso. Il progetto viene bloccato; ma la Belli non desiste dal suo disegno di assorbire sotto di sé la Civica.
E’ in questo contesto, invero un po’ meschino, che entra il grande progetto della Fondazione Manifesta.
Sorta all'inizio degli anni '90 sull'onda della caduta del muro di Berlino, Manifesta è una Fondazione internazionale con sede ad Amsterdam, che organizza ogni due anni una Biennale di Arte Contemporanea, ogni volta in luoghi diversi dell’Europa, nell’intento di far dialogare, attraverso la sperimentazione artistica, i popoli d’Europa (sito www.manifesta.org). L’ultima edizione, a San Sebastian nel 2004, ha registrato l’afflusso in tre mesi di 140.000 visitatori, e un migliaio di giornalisti che hanno assicurato all’evento una copertura mediatica globale.
E’ proprio a San Sebastian che a Cavallucci e a Micaela Bertoldi, allora assessore alla cultura al Comune di Trento, viene l’idea di proporre Trento come sede per Manifesta 2008. Occorrono almeno un milione e mezzo di euro da mettere sul piatto, che il Comune ovviamente non ha. Ci si rivolge all’assessore provinciale Margherita Cogo che dice: "Vedremo".
Ma in pratica tutto sembra svanire. Cavallucci fa circolare il progetto, alla ricerca di qualche sponsor. Nessuno risponde.
Quand’ecco, all’improvviso, giunge la notizia: entra in campo Durnwalder, che intende proporre Bolzano per avere Manifesta in contemporanea con l’apertura del nuovo Museion; e sul piatto mette tre milioni. A Trento è subito panico, ci si rende conto di essere dei pistoloni. A questo punto Dellai va a parlare con Durnwalder, proponendogli di fare le cose assieme (e dividere le spese). Durnwalder risponde di no. Il panico aumenta.
Risolve Cavallucci. Tramite Cattelan è in contatto con Francesco Bonanni, uno dei curatori e dei consiglieri d’amministrazione di Manifesta: concordano di far avanzare a Trento una candidatura parallela a quella di Bolzano. Ci penserà poi Manifesta a raccomandare di unificare le due candidature.
Così avviene. Ma non tanto per le spinte di qualcuno. Ma perchè "troviamo significativa la vostra regione, proprio in quanto esempio, in Europa, di positiva convivenza, di superamento di antiche divisioni – ci dice la direttrice di Manifesta Hedwig Fijen – Crediamo che gli artisti possano essere ispirati non solo dalla bellezza della vostra natura e delle vostre città, ma anche dalla vostra storia, e dalla svolta positiva che vi avete saputo imprimere".
Questo il motivo per cui Bolzano e (a rimorchio) Trento hanno vinto una competizione con concorrenti di ben altro peso: Napoli, Helsinsky, Tallin, Belfast, Berna, Danzica.
Porteremo qui studiosi, filosofi, letterati, che parleranno con la gente comune, con le comunità locali, per capirvi, per vedere quello che c’è da imparare da voi. E su questa base potranno poi sviluppare la loro creatività gli artisti, che i nostri curatori porteranno qui da tutta Europa".
Il programma che ci illustra la direttrice di Manifesta (vedi sito www.provincia.bz.it/cultura/manifesta) ci mette un po’ a disagio. E l’imbarazzo aumenta quando ci chiede come viviamo i rapporti con i nostri vicini tedeschi. I rapporti sono scarni, sostanzialmente ci si ignora; chi scrive sa l’inglese e (un po’) il francese, niente di tedesco.
Mi viene un dubbio: non è che il tema della manifestazione rischi di essere posticcio?
"Il problema dei rapporti con il mondo tedesco è strutturale – risponde Cavallucci – non sarebbe male se un evento artistico lo riproponesse all’attenzione".
E in effetti è così. Dai primordi, quando Tridentum era un accampamento romano, al medioevo, quando la valle dell’Adige era vitale per gli imperatori del nord, per controllare l’accesso alle ricche e ribelli città italiane, al Concilio, tenuto proprio a Trento perché doveva essere – nelle intenzioni poi frustrate – momento di raccordo tra il sud cattolico e il nord riformato, fino al secolo scorso, con Trento piazza d’armi dell’Impero asburgico, il destino del Trentino è stato sempre indissolubilmente legato alla sua posizione di cerniera tra nord e sud. Posizione che oggi Innsbruck vorrebbe che tornassimo a ricoprire, assieme a loro; e noi nicchiamo. Forse una grande manifestazione sul tema può aiutare a riscoprire una vocazione ultimamente assopita.
In questo quadro, come abbiamo visto, centrale è il ruolo di Bolzano, vero motore dell’iniziativa. Come mai? Eravamo rimasti al Sudtirolo che si contempla l’ombelico, vagheggiando di mitiche Heimat e dilettandosi con gli Schützen: come mai questa attenzione alla modernità e all’internazionalizzazione?
"Perché pensiamo che oggi sia indispensabile preservare il patrimonio storico, ma al contempo essere rivolti all’esterno, e al mondo odierno – ci risponde Antonio Lampis, direttore a Bolzano dell’Assessorato alla Cultura Italiana – E l’arte visuale di per se stessa va oltre il binomio italiani/tedeschi. E’ uno sviluppo che stiamo patrocinando. E’ la stessa logica con cui abbiamo aperto un’Università trilingue".
Detta più brutalmente: una parte del mondo sudtirolese si rende conto che oggi non si può rimanere ancorati al mondo di Heidi e delle sue caprette; le divisioni etniche, redditizie elettoralmente, frenano la parte dinamica della società. Quest’attenzione all’arte moderna (peraltro "erede di circoli artistici molto vivaci a Merano e Bolzano fin dagli anni ‘50" sottolinea Lampis) ora viene sponsorizzata dalla politica, che infatti ha deciso di aprire nel 2008 la nuova, grande sede di Museion, il Mart bolzanino. Un investimento politico, economico, culturale, significativo che la contemporanea presenza di Manifesta amplificherà a dismisura.
Ed ecco quindi Durnwalder investire con decisione nell’evento internazionale. Bolzano ha già deciso le location dove si svolgeranno gli eventi: la fortezza di Fortezza, e un’ex-fabbrica dismessa nella zona industriale di Bolzano, la Alumix. I progetti per le ristrutturazioni sono già pronti, come gli stanziamenti: per una decina di milioni.
A Trento invece si procede molto meno speditamente. Anzi, si pasticcia. Ritorniamo quindi, un po’ a malincuore a parlare dei nostri affarucci.
A metà dell’anno scorso, dopo alcuni viaggi all’estero al seguito di iniziative del Mart, (ovviamente prima classe, cinque stelle, ricevimenti con il bel mondo internazionale), la Cogo viene sedotta dalla linea Belli, che abbraccia in toto.
Nella versione: la Civica deve essere una dépendance del Mart, e quindi Manifesta deve dare lustro a Gabriella Belli.
Questa impostazione si scontra con il board (il consiglio di amministrazione) di Manifesta. Qui bisogna capirsi: il mondo dei musei che espongono i Van Gogh, e quello delle manifestazioni di nuovi artisti, sono diversi. Hanno altre finalità, altri approcci, altra cultura.
Ora, è consuetudine di Manifesta cooptare nel proprio board un rappresentante del territorio in cui viene tenuto l’evento: e per quello del 2008 sono previsti due posti, uno per Trento e uno per Bolzano. Ma quando la Cogo tenta di imporre la Belli, Manifesta risponde no; e quando l’assessore insiste, minacciando il ritiro di Trento dall’evento, il board si arrabbia per davvero e nomina Cavallucci, senza nemmeno comunicarlo alla Cogo, se non con una lettera a Dellai, un mese dopo la nomina.
Siamo a gennaio 2006. Da quel momento Margherita Cogo vive la cosa come un affronto personale. E, d’accordo con l’assessore comunale alla Cultura, Lucia Maestri, tenta di chiudere la Galleria Civica.
Ma la cosa finisce ancora sui giornali, e a favore della Civica scende in campo uno schieramento ampio e qualificato, con i docenti dell’Università di Trento Zaninotto e Strati, dall’Università di Venezia Pierluigi Sacco (studioso del rapporto cultura-economia), da New York scrive una dura lettera Cattelan, e infine interviene lo stesso senatore diessino (quindi dello stesso partito della Cogo) Giorgio Tonini.
Risultato: la Galleria non chiude, all’unanimità una commissione comunale ne auspica la prosecuzione, il sindaco Pacher se ne fa garante.
Margherita Cogo, da noi contattata, contesta questa ricostruzione dei fatti. Pur confermandoci un’illimitata fiducia in Gabriella Belli ("E’ brava davvero, dovete rassegnarvi"), dichiara che a lei "interessa che funzionino al meglio i musei, e che abbia successo e sia capito dalla gente Manifesta 2008, che capita in un anno elettorale; non mi interessano le beghe tra direttori".
Ne prendiamo atto. Ricordiamo come Manifesta abbia già saltato l’edizione 2006, che doveva svolgersi a Nicosia (Cipro) proprio perché non intendeva soggiacere alle ingerenze delle autorità locali.
Pertanto non vogliamo pensare che Trento si allinei a Nicosia, ma piuttosto, almeno in questo campo, a Bolzano.
E che quindi si proceda per valorizzare al meglio un evento che può essere davvero stimolante e produttivo.