Quale cultura con quali soldi
Lesinati i soldi alla nuova cultura. E dove vanno? Non tanto a bande o Schutzen, quanto a oratori e parrocchie: che si pappano - incredibile nel Trentino d’oggi - l’80% dei contributi. Il falso dilemma tra cultura di valle e di città e quello, più reale, tra vecchio e nuovo.
Oriente Occidente, Drodesera, Pergine Spettacolo Aperto: no; e no anche per realtà minori eppur meritorie come Teatro Off, Studio d’Arte Andromeda, Teatrincorso e, se possiamo scriverlo, Questotrentino; sì invece alle divise di bande e Schützen.
Questa la sintesi estrema degli esiti delle istruttorie degli uffici provinciali sui contributi alle associazioni culturali. In concomitanza con l’insediamento del nuovo assessore alla cultura, Franco Panizza del Patt, il messaggio sembra univoco: la cultura prediletta, con il nuovo assessore, sarà quella del folklore valligiano tutta rivolta alle nostalgie del passato, del “pontesel”, delle braghe di cuoio, del “En malgar, ma che om!”
Insomma, dall’arte contemporanea del Mart e di Manifesta (che ha in parte deluso), dalla danza cosmopolita di Oriente-Occidente e dal teatro di ricerca di Drodesera, ad Andreas Hofer über alles e alla nuova, inaspettata centralità della banda di paese. Cambiato assessore, cambia tutto?
Le cose non sono proprio così. Per fortuna. All’assessorato ci fanno vedere come il (cospicuo, 800.000 euro) finanziamento alle divise delle bande, non sia a scapito delle associazioni: ma, a seguito di uno specifico ordine del giorno del Consiglio Provinciale del 2007 (quando Panizza era altrimenti occupato), sia stato deliberato con uno stanziamento ad hoc. Per cui gli 800.000 euro non sono prelevati dai contributi alle associazioni, ma sono aggiuntivi.
“Ci tengo a precisare alcuni punti - afferma Panizza - Primo, la contrapposizione valli\città è assolutamente superata e di sicuro non impronterà il mio assessorato; secondo, nessuna delle tre compagnie degli Schützen, per vari motivi, ha usufruito di questo contributo; terzo, ne usufruiranno le bande nei vari Comuni, ed era doveroso: le divise costituiscono un forte elemento di identità”.
Chiarito questo punto; e chiarito come per le grandi rassegne come Oriente Occidente, che sono finanziate su altri capitoli, il mancato contributo non sia un problema, ma lo sia invece - e gravoso - per le realtà minori (come QT, tanto per intenderci), resta aperta la sostanza dell’argomento: in base a quali criteri si distribuiscono i contributi? E, di conseguenza: quale cultura si promuove?
Le cifre delle parrocchie
Guardando bene i dati, una prima realtà balza all’occhio: a essere favorite in maniera spropositata non sono le bande, bensì le parrocchie. Attraverso le ristrutturazioni di oratori, l’allestimento di sale polifunzionali, l’acquisto di organi, la riattivazione di teatri parrocchiali, si accaparrano la stragrande maggioranza dei contributi. Le cifre sono impressionanti: per le strutture, su un totale di 1.654.000 euro di contributo, ben 1.313.000 vanno alle parrocchie; per le attrezzature, su 300.000 euro, 181.300 prendono la stressa strada, per l’acquisto di harmonium. E così per gli anni addietro, “da almeno 25 anni” ci dicono all’assessorato.
La cosa è comprensibile. Ma solo per il passato, quando oratori e teatri parrocchiali erano, nelle valli, gli unici punti di riferimento. Ma ora no: con tutto il rispetto, la cultura ha tanti, tantissimi altri canali; che le parrocchie assorbano il 70-80% degli stanziamenti destinati alla miriade di associazioni, festival, scuole di danza, compagnie, teatri, è semplicemente grottesco. Per dire: QT ha chiesto un contributo di 4.000 euro per pagare il software e un Pc per gestire il passaggio al colore; Teatro Off, che fa una stagione con una cinquantina di spettacoli e appuntamenti, ha chiesto 10.000 euro per riadattare il palco e il sistema delle luci; e così tante altre piccole ma produttive realtà: bene, per tutti questi, soldi non ce ne sono, perché si devono spendere 850.000 euro per il teatro parrocchiale di Lomaso o 293.000 per la sala polivalente della parrocchia della natività di Maria di Borgo Valsugana.
A noi sembra non ci sia proprio il senso di come si possono spendere i soldi. Anche perché queste realtà sono - rigorosamente - private: il parroco decide lui come gestire il teatro, cosa proiettare (e cosa no) nella sua sala. Giusto; ma allora che senso ha questo debordante, quasi esclusivo, investimento di soldi pubblici?
“Non conoscevo questo aspetto - risponde Panizza, che infatti è da poco insediato - Di sicuro dovremo prendere in mano la questione. Anche perché il sistema dei teatri di periferia (quasi sempre sottoutilizzati e dagli onerosi costi di gestione n.d.r.) va razionalizzato”.
La valle e la città
Quella che indubbiamente va razionalizzata, è la più generale spesa culturale. Fuggendo, come si diceva prima, dalla contrapposizione periferie\città. “Mi viene da ridere - risponde a proposito Dino Sommadossi, bibliotecario di Dro e inventore di Drodesera, festival da alcuni anni assurto a notorietà nazionale (l’anno scorso ha vinto ben due premi Ubu, il massimo riconoscimento italiano per il teatro) - Noi siamo periferia, eppure da sempre siamo più avanti delle città: gli artisti, da Marco Paolini a Pippo Del Bono, che vengono presentati a Trento, da noi sono stati proposti dieci anni prima”.
Lo stesso discorso vale per ArteSella, manifestazione d’avanguardia, ammirata ed imitata anche oltr’Alpe, eppure tipicamente di valle, anzi innervata nella natura di un piccolo altopiano della Valsugana. E ancora per I Suoni delle Dolomiti, che coniuga montagne e star system della cultura (inter)nazionale.
Insomma, il nuovo, il meglio, non è esclusiva della città. Proprio per questo si può fare un discorso più sereno sulla gestione globale dei contributi, che ci sembra attraversare una fase non scevra dalle confusioni.
Con legge del ‘93 la Provincia aveva decentrato competenze in materia culturale e relativi stanziamenti ai Comuni, che dovevano provvedere all’associazionismo minuto, mentre la Pat doveva occuparsi di finanziare le realtà a valenza provinciale. Ad esempio, la banda di Sfruz, che suona a Sfruz, deve essere sostenuta dal Comune di Sfruz; se invece si mettono insieme più bande, elaborano un progetto che prevede dei concerti che circuitano in Trentino, e magari anche all’estero, allora può intervenire la Provincia.
Questa la teoria. Nella pratica invece la finanza locale è quello che è: tanti Comuni riescono a malapena a finanziare i servizi come gli asili, sono in difficoltà con le spese di gestione degli impianti, se devono fare una strada vanno fuori bilancio; alla cultura, alle associazioni, non riescono a starci dietro, checché preveda la legge: e queste battono cassa in Provincia.
Il meccanismo non è virtuoso: se alcuni assessori (Claudio Molinari soprattutto) sapevano dire di no e premiare solo le iniziative di effettiva valenza sovracomunale, altri invece hanno usato criteri più laschi, aprendo una porta in cui i più furbi si sono infilati.
Anche perché anni di semina hanno prodotto risultati significativi: sono entrati in circuito migliaia di giovani che hanno seguito iter formativi nelle scuole musicali, nei corsi di teatro, di danza, ecc, e ora si organizzano, elaborano progetti e presentano domande in Provincia. “Vedo la cultura trentina come un giardino, trenta anni fa arido, oggi rigoglioso - afferma Paolo Manfrini, direttore artistico di Oriente Occidente - Vi cresce di tutto, ed è un bene; però bisogna dargli una sistemata, per capire cosa può e cosa non può crescere. Vi sono iniziative che hanno una struttura consolidata, offrono lavoro, si sono conquistate una proiezione nazionale e internazionale, sono fattori attrattivi per il territorio. Potrebbero crescere ulteriormente, se il giardino non fosse troppo rigoglioso”. Fuor di metafora, Oriente Occidente (o ArteSella, o Drodesera) potrebbe diventare ancor più significativa, se non si vedesse bocciare le domande di attrezzature in favore degli oratori, o non si spendessero decine di migliaia di euro per far suonare a Trento Bob Dylan.
Ma il tema non è solo la possibile ulteriore crescita delle grandi rassegne indubbiamente benemerite. Ci sono anche altre realtà, spesso innovative. La più significativa è forse la realtà minuta, che potremmo chiamare di “teatro urbano”, sviluppatasi tumultuosamente soprattutto a Trento, fatta di svariate sale, dove si tengono corsi, spettacoli, performance, si importa, esporta e sperimenta durante tutto l’anno. Una realtà che il Comune del capoluogo non riesce a supportare, mentre la Provincia è più proiettata a sostenere esperienze di valle magari più tradizionali, ma che spesso costituiscono l’unica offerta in loco.
Che dice l’assessore?
“Non avverto il problema di un surplus di cultura nel territorio. Penso che dobbiamo fare sistema, offrire una disponibilità di servizi, dare a tutti la possibilità di potersi esprimere. Poi potremo promuovere, sostenere chi ha la capacità di proporre qualcosa di nuovo, andare oltre quello che fanno gli altri. La qualità la si può giudicare”.
Incalziamo Franco Panizza sul tema della razionalizzazione delle spese. “Si tratta di vedere come liberare risorse per sostenere il nuovo. Per questo ho aperto un discorso sui costi del Mart. E dico che io il concerto di Dylan non l’avrei finanziato, non ne vedo le ricadute sul territorio, piuttosto fornisco un aiuto ai giovani che vogliono vederlo altrove. Così per la lirica: se si riesce a mettere insieme, con Bolzano, un momento di produzione, bene, se però i costi sono eccessivi, è meglio agevolarne la fruizione altrove”.