“Manifesta” e la nostra stampa
Ormai è assodato che "Manifesta" non piace alla stampa trentina. L’ultimo articolo di Alessandro Franceschini (L’Adige, 18 settembre, pag.30), lo conferma. Sono già passati due mesi dal 19 luglio; da oggi al 2 novembre ci sono ancora alcuni mesi per poter scrivere (o tacere?) sull’evento, per tentare bilanci su tutta l’operazione culturale nei suoi rapporti con il territorio e l’ambiente che la ospita o la può rendere rappresentativa, nelle ricadute di valore (od anche di silenzio artistico), che la stessa potrà dare. Forse ci vorranno mesi per prendere consapevolezza di tali processi: ma a certa opinione interessano più gli sterili enunciati quantitativi, i numeri, le dinamiche di cassa corrente e la fretta di stabilire se l’evento faccia arte o no.
Così L’Adige riprende il pungente articolo di Caroline Corbetta, pubblicata su Domus di settembre dopo avere valutato con una certa leggerezza non solo gli innumerevoli comunicati stampa degli eventi collaterali prodotti da enti ed associazioni, ma anche molti interventi e recensioni di "Manifesta" apparsi su grandi riviste nazionali ed internazionali.
Da quanto appare nell’articolo di recensione di Franceschini si capisce anzitutto che Domus giudica "Manifesta" dalla preparazione di imprecisati spettatori medi: penso che la Corbetta abbia fatto ciò probabilmente senza conoscere l’ambiente della nostra regione. Le difficoltà che l’arte contemporanea trova in una regione articolata in due grandi province lontane dal punto di vista etnografico e fondamentalmente divisa dal punto di vista culturale ed intellettuale, in cui solo da pochi lustri si è cominciato ad accettare e capire artisti come Depero, Schweizer e Melotti, in cui non esiste una vera comunità intellettuale che si occupi continuativamente di estetica e critica d’arte militante ed in cui i cronisti d’arte, peraltro numerosi e volonterosi, penano per veder pubblicato i loro contributi soffocati da una cronaca locale spesso banale, sono molto particolari.
Senza entrare nella problematica della produzione artistica, del sistema museale e delle gallerie d’arte, in cui la ricerca contemporanea sopravvive boccheggiando tra rare occasioni di ossigeno e di freschezza (si veda la paradossale vicenda della rana crocefissa che rappresenta un raro epilogo positivo di autonomia e maturità rispetto alle potenti pressioni ideologiche e politiche messe in campo), come artista che opera da più di 25 anni vorrei esprimere le mie perplessità sul ruolo della stampa locale rispetto a queste questioni. Non riesco a capire come mai, dopo una stagione estiva incredibilmente ricca di proposte espositive, quel giornale, riducendo gli effetti a cifre e giudizi sommari, sparga nel pubblico scetticismo e qualunquismo e soprattutto venga meno al suo ruolo di obiettività. Quel grande pubblico, che sta a cuore a Corbetta, forse è più maturo di quanto si pensi. Infatti nei rari casi in cui esso è messo davanti ad opere che rispecchiano le contraddizioni della realtà, non cerca risposte facili, ma si pone delle domande e mette in discussione - magari attraverso l’arma dell’ironia - proprio quelle coordinate culturali che non possono essere determinabili aprioristicamente. Coordinate culturali che, con la complicità della stampa locale, qualcuno vorrebbe imbrigliare in esposizioni di facile consenso solo per giustificare la sostenibilità dei progetti artistici che stanno alla ricerca contemporanea come la divulgazione di un Piero Angela sta alla Scienza.
Non si misura la cultura dai coperti nei ristoranti o dai biglietti staccati, ma da quell’indice di perplessità e di relativa incertezza, che non si discosta molto dai processi che alimentano la grande curiosità intellettuale e che facilitano la consapevolezza, la critica autonoma e la maturazione culturale e civica.