Sgarbi al Mart, una scelta disperata
Un personaggio rissoso, che per di più niente ha a che vedere con l’arte moderna. Motivazioni e genesi di una proposta suicida.
Mentre scriviamo non è ancora ufficiale, Vittorio Sgarbi presidente al Mart è solo una suggestione, ci sono fortissimi profili di incompatibilità tra la carica di senatore e quella di componente del cda di un istituto pubblico.
La proposta comunque è sul piatto, è forte, anzi dirompente, e ce ne occupiamo indipendentemente dall’esito delle verifiche dell’Ufficio legale della Provincia, anche perchè forse sarà comunque possibile una soluzione meno istituzionale, tipo super consulente invece che presidente.
Dunque, chiariamo subito: detestiamo Vittorio Sgarbi. È sgarbato, violentissimo nella sua incontinenza verbale, massimamente irrispettoso delle opinioni altrui. In compenso con i potenti sa essere subalterno fino all’adulazione, vedi le trasmissioni tv in cui faceva il piazzista di Berlusconi. Sgradevolissimo poi il suo uso classista della cultura, il conclamato disprezzo per chi sia meno istruito (e non abbia il portafoglio gonfio); l’abbiamo già scritto: uno dei non molti meriti del nostro Erminio Boso, popolano verace, è stato quello di rifilargli, in Senato, un vigoroso calcio in culo.
Se a questo sommiamo il fatto che, come denuncia Alex Marini dei 5 Stelle, “Sgarbi è un pregiudicato, condannato in via definitiva per truffa aggravata e continuata e falso ai danni dello Stato” perché “da dipendente pubblico della Soprintendenza di Venezia Sgarbi era spessissimo assente dal luogo di lavoro inventando giustificazioni e malattie inesistenti”, non ci sembra chiaro quale messaggio si intenda dare ai giovani promuovendo tale personaggio ai vertici della cultura trentina. Che l’assenteismo è una bazzeccola? L’insulto un merito? Il rifiuto del confronto un metodo da seguire?
Ci vorrebbe un po’ più di responsabilità nel proporre certi nomi.
Detto questo, va riconosciuto che Sgarbi, come critico d’arte, è bravo e competente. E ancor più come divulgatore: nello spiegare un quadro sa essere convincente, talora financo entusiasmante. Però il suo campo è il rinascimento e il barocco, mentre il Mart è un Museo di arte moderna e contemporanea.
In mezzo, nell’arte, c’è stata una cesura: prima centrale era la raffigurazione, divenuta grosso modo con gli anni Venti un concetto non più attuale, dal momento che la figura è industrialmente replicabile. L’arte moderna quindi è andata per altre strade, altri parametri, Sgarbi invece è rimasto indietro; o meglio, è uno specialista di altro, ancorato a concetti come quello di “bellezza eterna”, preziosi per capire il classicismo o il rinascimento, ma fuori corso nel moderno. Non a caso in questi giorni ha definito Canova “ultimo grande artista”, dopo il neo-classico per lui non c’è più niente. E allora, con un museo del contemporaneo, che ci azzecca?
Non c’entra nulla. Ma è un nome, appare in televisione, è conosciutissimo al pubblico.
E qui arriviamo alle note più dolenti. “Fin qui alla presidenza c’era Ilaria Vescovi – afferma Mario Cossali, intellettuale roveretano e critico d’arte - quindi non partiamo da chissà quali altezze. Il Mart sembra un leone addormentato, non c’è vita su Mart. Non escludo che Sgarbi possa diventare una sorta di iniezione di vitalità...”.
Insomma, per fare meglio di ora ci vuole poco. Questo è il tono prevalente nei commenti.
In poche parole, quella di Sgarbi è una scelta disperata. Il Museo non va, proviamo con il personaggio anche discutibile, ma che fa audience. C’è tutto il declino di un’istituzione in questa deriva.
Un museo vero, che ha fama e credibilità, non si affida a un personaggio dello show business. Il Louvre è noto perché è il Louvre, non per il nome del suo presidente, caso mai sarà quest’ultimo che nel suo palmares metterà con orgoglio la presidenza.
Ma il Mart non è il Louvre. E nemmeno il Musée d’Orsay. E nemmeno... Cosa è oggi il Mart?
Questo è il problema.
Cos’è il Mart?
È un grande museo, questo è il punto. Grande come metri cubi, come pareti, come sale, “come spese di riscaldamento” ci diceva recentemente il nuovo assessore Bisesti. Ha ragione il giovane assessore leghista, deve esserci un bilanciamento tra costi di funzionamento e resa culturale. È tutt’altro che triviale, anzi, è responsabile sostenere che un museo grande come cubatura deve essere anche grande come nome, fama, capacità attrattiva.
Il progetto iniziale vedeva nel Mart una grande “officina del sapere”, che accumulasse, catalogasse gli archivi degli artisti italiani, e divenisse luogo di studio del contemporaneo, un centro propulsivo di cultura, unico in un paese addormentato sul glorioso passato, riottoso nel fare i conti, dare dignità, prendere sul serio il moderno (quando è stato aperto, nel 2002, era ancora l’unico museo del contemporaneo in Italia). E se hai un nome, se sei punto di riferimento, tutto diventa più facile: se sei culturalmente un grande museo gli altri grandi si rapportano con te da pari a pari, diventa naturale ottenere prestiti di opere prestigiose per fare mostre prestigiose. E avere di conseguenza anche grandi numeri di visitatori.
Come abbiamo denunciato negli anni scorsi, il Mart ha preso tutt’altra strada. Con la direzione di Gabriella Belli il focus non era lo studio, la cultura, ma la mondanità: i rapporti con il bel mondo dei collezionisti internazionali, vernici, caviale, alberghi a 5 stelle. Ne venne subito sedotta anche l’assessora alla Cultura Margherita Cogo. In compenso, a studi e ricerche si è rimasti praticamente a zero: in 15 anni non si è nemmeno riusciti a fare (nonostante sempre conclamati buoni propositi) il catalogo di Fortunato Depero.
Così il Mart ha perso il treno. Nel frattempo sono stati aperti il Maxxi a Roma, il Museo del Novecento a Milano, il Madre a Napoli e altri ancora. E il Mart si è scoperto periferico.
Le successive direzioni di Collu e Maraniello hanno solo gestito il declino, l’assessorato alla cultura di Mellarini ha spinto verso il localismo, l’istituzione è imbrigliata in burocrazie interne soffocanti, i rapporti con i proprietari delle opere in deposito sono pessimi. I visitatori sono via via scesi, per arrivare ai 135.000 di oggi.
Ecco quindi l’idea Sgarbi. Disperata. E pessima, soprattutto perché si allontana definitivamente dagli obiettivi iniziali.
Lo studio del moderno e contemporaneo sarebbe ancora possibile, il Mart (unico merito che concediamo alla Belli) ha negli anni acquisito un patrimonio di archivi invidiabile, prezioso presupposto per quella “officina del sapere” che il Museo non ha mai seriamente voluto essere. E meno che mai con Vittorio Sgarbi, che anche nei suoi lati migliori è il rappresentante di quella cultura che si occupa di altro e che dal moderno è nell’intimo spocchiosamente aliena.
Perché deve essere chiaro: Sgarbi è invadente, per quanto poco starà a Rovereto, non sarà solo un annoiato presidente; travolgerà il direttore, annullerà il Comitato scientifico, vorrà imporsi su tutto e su tutti.
E poi se ne andrà sbattendo la porta. Come sempre ha fatto nella miriade di cariche accumulate in questi anni: sindaco o assessore di varie cittadine, presidente, sovrintendente, responsabile di qui e di là... Ma dopo alcuni mesi ha sempre rovesciato il tavolo, andandosene berciando contumelie.
Il simpaticissimo blog satirico “Rovereto violenta” (ne parliamo in Sfogliando s’impara) ha aperto un sondaggio: “Dura di più Sgarbi al Mart o un gatto in tangenziale?”
L’esperienza sgarbiana, se si concretizzasse davvero, per quanto breve non sarebbe comunque indolore. Segnerebbe un’ulteriore perdita di prestigio del Museo, e un abbandono probabilmente definitivo delle troppo lontane belle ipotesi iniziali.