Il partito degli anticlericali
Come reazione al neo clericalismo, il nuovo partito che unisce socialisti e radicali. Intervista a Nicola Zoller (Sdi) su clericalismo, Concordato, società multireligiosa.
Ratzinger e Ruini imperanti da una parte, il centro-destra prono al Vaticano dall’altra (ma anche il centro-sinistra balbettante) non potevano non aspettarselo: è tornato il clericalismo, ed era logico che tornasse pure l’anticlericalismo.
Anche in politica, come in fisica, ogni azione genera una reazione uguale e contraria; e quindi, se una parte significativa della pubblica opinione paventa il ritorno di dinamiche che sperava sepolte (o confinate a paesi ritenuti lontani e oscuri) come il primato della religione sulla politica, e magari sull’insieme della società, ovviamente si crea una nuova domanda politica. In cerca di rappresentanza.
E così, come prima, forse parziale reazione, sta nascendo una sorta di partito degli anticlericali, o se volete dei laici. Lo Sdi, uno dei tronconi del socialismo stentatamente sopravvissuti alla diaspora post-craxiana; e il partito radicale, ridotto dal bipolarismo a un patetico pietire strumentali apparentamenti con l’uno e\o l’altro polo; ebbene, i due partitini, nella nuova situazione hanno trovato slancio e ragione d’essere; e la loro progettata unificazione, fondata proprio sulla difesa delle ragioni della laicità, ha subito riscosso sincero interesse.
La Rosa nel Pugno si chiama la nuova formazione politica. Ne parliamo con uno dei promotori, Nicola Zoller, socialista, già noto ai lettori più fedeli di questo giornale, fin dalle cronache degli anni ’80.
Il nuovo spazio vi è stato aperto dal rinascente clericalismo. Che ha creato una nuova esigenza politica: l’anticlericalismo, che ormai era sepolto, una sorta di reminiscenza ottocentesca.
"E’ normale essere anticlericale, o meglio non clericale, in una società normale; cioè civile, non teocratica. Se poi siamo in una società in cui risorge il clericalismo, è normale che ci sia una risposta. Il fatto è che ultimamente la Chiesa cattolica sta avendo una serie crescente di privilegi. Senza ottemperare gli obblighi."
Arriviamo subito al Concordato...
"Il Concordato prevede per la Chiesa dei privilegi, in cambio del suo non intervento in politica. Noi diciamo: se la CEI vuol fare politica, fino a fare un partito, lo faccia; ma rinunci ai privilegi concordatari".
C’è chi dice che questa è una ripicca...
"Per niente, è questione di elementari regole democratiche. Non può esistere una formazione politica che riceve i soldi dell’otto per mille (calcolati con una generosità incredibile) che può, a spese dello Stato, inserire proprio personale nelle scuole pubbliche a propagandare la propria cultura, che gode di proprie istituzioni formative, sempre sovvenzionate dallo Stato. Questo è un clamoroso sovvertimento del principio di uguaglianza tra i partiti. Per questo non accettiamo il discorso per cui ‘non si può chiedere ai vescovi di tacere’. Noi diciamo: se volete occuparvi di politica, fatelo, ma a quel punto cambia il vostro status, e dovete rinunciare a tutte le cose di cui sopra".
Eppure la vostra richiesta di revisione del concordato viene presentata come estremista, infantile...
"Ma per favore... I sondaggi di Mannheimer dicono che il 40% degli italiani (e il 60% degli elettori di sinistra considera il Concordato da superare o da aggiornare. La nostra proposta di revisione non è quindi una boutade. Poi, il centro-sinistra ha i suoi problemi; anzi su di esso l’invadenza della Chiesa ha avuto un’influenza nefasta, mettendo in crisi, tramite il no di Rutelli, il progetto del partito riformista".
Qui tocchiamo un discorso strategico. L’Ulivo, il progetto di Prodi, la sua figura stessa, ipotizzava un definitivo superamento degli steccati tra laici e cattolici, una contaminazione tra le culture. Poi, ecco il nuovo corso della Chiesa, con la richiesta di più nette distinzioni dei cattolici, e l’esito del referendum sulla procreazione assistita; o meglio, la lettura distorta che se ne è data, con una spropositata sopravvalutazione del ruolo dell’invito astensionista di Ruini (a proposito, nel recente referendum sull’area Alpe di Rovereto ha votato solo il 14%: attribuiamo anche qui il restante 86% alla Cei? A volte c’è da dubitare della stessa professionalità tecnica dei professionisti della politica).
Tutto ciò ha messo in crisi il progetto, che però ha motivazioni più profonde nella società, checché ne pensino i cardinali: e lo si è visto con l’impressionante esito delle primarie, con quattro milioni di persone che hanno buttato nella pattumiera le differenze tra laici e cattolici.
Il risultato è stato che l’Ulivo ha ritrovato slancio, e che Ds e Margherita tornano a parlare di partito democratico. Ma a questo punto hanno perso per strada voi, lo Sdi, che invece alle europee di primavera era assieme a loro.
"Uniti per l’Ulivo doveva appunto unificare queste storie, queste culture. Ora, il nuovo partito riformista, o democratico che dir si voglia, non si può fare senza la tradizione socialista o radicale. Perché rischia di essere una cosa catto-comunista, con tutte le relative implicazioni negative...".
Intende dire che entrambe queste culture sono caratterizzate da un’impronta chiesastica, che abbisogna dell’antidoto liberale e libertario?
"Non può un partito innovatore essere fatto da soli post-democristiani e post-comunisti".
Si inserisce in questo schema la posizione di un Fassino, secondo cui quando la Cei interviene in politica su posizioni su cui non concorda, fa un’invasione di campo; quando invece lo fa criticando il centro-destra, come nel caso della devolution, è un basilare punto di riferimento?
"Certo. Bisogna fare chiarezza e avere coerenza negli orientamenti. La soluzione desiderabile sarebbe che la Chiesa si occupasse di temi etici e della cura delle anime; ma se vogliono scendere nell’agone politico, bisogna ribadire che devono rinunciare ai privilegi, e bisogna dirlo sempre, non solo quando prendono posizioni che non ci piacciono. E comunque i rapporti privilegiati dello Stato con una religione, oggi non vanno più bene; di più, possono produrre esiti deflagranti; se si finanziano le scuole dei preti cattolici, perché non si dovrebbero finanziare quelle degli imam?"
Intende dire che nella società multietnica e multireligiosa i privilegi di una religione sono pericolosi?
"Certo. E’ il discorso della ‘religione prevalente’ e dei relativi privilegi, che implica una prevaricazione nei confronti delle altre religioni; una cosa che oggi rischia di essere semplicemente irresponsabile".
E a queste problematiche, oggi orfane nel mondo politico italiano, voi volete offrire un punto di riferimento?
"Sì: libertà, laicità, scuola pubblica. Insisto sulla scuola pubblica, punto centrale. E poi, naturalmente, non ci limitiamo a questi ambiti; intendiamo investire anche le tematiche economiche, soprattutto sul discorso della fine dei monopoli e delle rendite di posizione, compresi gli ordini professionali".
A dire il vero, se parliamo di economia, di problematiche sociali, non vedo molte affinità tra l’eredità socialista e quella liberale e radicale.
"Come no? Con i liberali, basta pensare al manifesto ‘Il socialismo liberale’ di Carlo Rosselli del ’29".
Noi abbiamo più presente il Partito liberale di Malagodi, che con il socialismo aveva poco a che fare.
"Quelli erano conservatori. Se andiamo alle radici, lo stato sociale è stato inventato da Keynes, che era liberale, come liberale era Franklin Roosvelt con il New Deal".
Roosvelt era del partito democratico. Forse è azzardato paragonare gli schieramenti americani degli anni ‘30 alla situazione italiana odierna. Rimanendo da noi e nell’oggi: i radicali sono vigorosamente antisindacali: cosa vi accomuna nelle tematiche sociali?
"Non nego che ci siano queste contraddizioni. Nostro compito è superarle. Come superare un certo conservatorismo ancora presente a sinistra, di difesa di talune rigidità del mondo del lavoro...".
A dire il vero ora avanza una riflessione contraria, per cui si è esagerato nel concedere troppa flessibilità: a scapito, alla fin fine, oltre che della qualità della vita dei lavoratori, anche della qualità della produzione delle aziende.
"E’ un discorso forse aperto. Comunque, se si fa riferimento alle posizioni del giuslavorista Pietro Ichino, ex-deputato del Pci, ci si accorge che c’è ancora molta strada da percorrere per modernizzare il mondo del lavoro".