La periferia dimenticata
Spini, Gardolo, e soprattutto Roncafort: centri anonimi, vittime di mille promesse non mantenute.
Gli scontri d’oltralpe, al di là di mille sociologismi, hanno avuto per combustibile il disagio sociale ed urbano di migliaia di immigrati stoccati in mega edifici di sterminate periferie senza speranza. Da noi c’ è stato un invito ammonitore dal ministro degli Interni ad intervenire sulle nostre prima che anche l’Italia non abbia a piangere le sue lacrime
Se in Francia, però, il presidente della Repubblica stesso compare in televisione per promettere addirittura 100 miliardi di euro in interventi riparatori, in Italia le parole del ministro Pisanu non sembrano aver fatto breccia nella mente dei nostri politici, nazionali e locali.
Ne parliamo perché alcune migliorie promesse alle periferie cittadine sono sparite, per scelte di bilancio, dall’elenco delle opere fattibili da enti pubblici di vario livello: Provincia, Comune, ITEA. Quest’ultima, in particolare, ha cassato una serie di interventi già tante volte garantiti come "praticamente in cantiere" ricollocandoli nel limbo delle attese futuribili.
La situazione delle periferie trentine, indubbiamente, non è paragonabile a quelle francesi, sia per le dimensioni di Trento, sia per la composizione dei suoi immigrati. Nessuno, però, può negare il disagio di alcuni quartieri cresciuti male e troppo in fretta, né escludere il formarsi di una "racaille" locale capace di esprimere con rabbia il proprio malessere.
La più sacrificata di queste nostre periferie è, orma, da trent’anni a questa parte, Roncafort: un bar ed una rivendita ad ore di pane e latte. I suoi 300 ettari di terra coltivata, strappati alle piene dell’Adige, sono stati consumati, in un crescendo da vie Gluck, dall’avanzare da Trento di capannoni, case, strade, sopra e sotto passi, tangenziale, interporto, ecc. Come compensazione, via Belenzani si è periodicamente sperticata in promesse di un’ampia palazzina per servizi sociali, piazza, sala pubblica e comodi collegamenti! Tutto però è rimasto nel libro dei buoni propositi, mentre catrame e cemento e, con molta probabilità, l’inceneritore, continuano a fare dannatamente sul serio. Eclissato anche il sottopasso verso Canova, richiesto per rendere accessibili i negozi e diluire l’isolamento. In concreto, la frazione ha visto crescere centinaia di edifici di cui non sentiva alcuna necessità e rimanere promesse quei due o tre di cui aveva assoluto bisogno!
Carmelo, da sempre a Roncafort, sghignazza: "Finché ci sono ‘bauchi’ disposti a crederci… Dopo anni di ciacere hanno fatto un parco, quello vicino alla chiesa: il mio orto é più grande!"
Gianpietro, piccolo artigiano, vuol sapere invece se è stato il sindaco a mandarmi fin lì a prenderlo per i fondelli.
Stessi bauchi anche a Spini (un bar tabaccheria ed un ristorante)? Probabile: la sala polifunzionale è sparita, mentre la Provincia ha dato la propria benedizione al nuovo carcere, 250 celle da un posto (ma estendibile a tre: 750 detenuti!). Nella logica del "do ut des" forse arriverà l’asilo…
A Gardolo, dodicimila abitanti, hanno silurato il teatro, e Matterello è stata ingigantita in pochi anni da capannoni e costruzioni residenziali e, a breve, alleggerita di altri 25 ettari di pomi e vigne per far posto a caserme, scordàti impegni pluriennali, nuova scuola, ristrutturazioni della caserma dei carabinieri e dell’ex convento dei Cappuccini e sedi per le associazioni.
Luisa: "Non possiamo lamentarci di quel che abbiamo, ma non bisogna neanche accontentarsi. Per dire: il centro anziani andrebbe ampliato e ammodernato. C’è anche la struttura dei Cappuccini inutilizzata: potrebbe servire a mille usi! Certi ‘putelami’ che vanno in giro di notte a gridare e fare piccoli dispetti potrebbero avere un posto dove fare qualcosa".
E’ sufficiente un giretto di sera in queste periferie per verificarne il disagio: inutile cercare gruppi di giovani, spazi collettivi affollati di ragazzi, qualche attività sportiva o culturale che raduni i residenti attorno a qualcosa: niente! Rarissimi i pedoni, pochi negozi, qualche macchina, verso sera un autobus che scarica giovani di ritorno dalle opportunità offerte dal centro città o dal brulicare di gente e luci dei centri commerciali, gruppi di case alternate a capannoni e qualche fazzoletto di vigne, strade vuote: il mix ideale per dare vita ad insofferenza, emarginazione, alienazione. Sembra quasi sia stato dichiarato un tacito coprifuoco fai-da-te: gente tappata in casa o al massimo in auto e pronta a farsi inghiottire da qualche garage sotterraneo.
I residenti di Roncafort son quelli che esprimono il disagio più acuto: eccetto i residenti "storici" (i Conci, i Faes, i Moser), ben pochi hanno sviluppato senso di appartenenza per la frazione. La maggior parte è capitata lì in cerca di casa a basso costo, si considera di passaggio, in attesa di accantonare abbastanza euro per comprar casa da qualche altra parte. Gli extracomunitari, circa il 10%, fanno per lo più gruppo a sé senza alcuno sforzo per integrarsi. Insomma, gente che è lì ma con la testa ed il corpo altrove.
Ben poco che stimoli il germogliare di un piccolo senso di identificazione col posto dove si sta, di cui si fa parte, al cui progresso tutti potrebbero partecipare, che trasformi un’ammucchiata di individui, case e strade in una comunità, dove non si ha soltanto il tavolo e il letto ma si abita nel senso pieno del termine.
Eppure basterebbe poco: si potrebbe iniziare con cinque milioni di euro a rendere normale la vita anche qui: qualche centro di aggregazione per giovani e meno giovani, servizi, qualche negozio, un campetto da calcio, una palestra, una sala riunioni… Tutto quello che viene puntualmente promesso, insomma!