Il problema non è il Concordato
La Chiesa ha sempre fatto più politica che carità. Il problema non è di metodo, ma di merito, la visione retrogada di un’istituzione impaurita e nostalgica.
Il problema, caro Boselli, non è il Concordato. Mi sembra normale che fra la Repubblica Italiana e la Chiesa Cattolica sia vigente un accordo che regoli i rapporti fra due comunità così vaste, complesse e fra di loro compenetrate. Infatti la Chiesa Cattolica è una organizzazione religiosa dotata di numerose strutture diffuse sul territorio dello Stato ed è composta da una elevata affiliazione di seguaci che sono al tempo stesso fedeli e cittadini.
Qualche clausola del Concordato meriterebbe di essere rivista. Per esempio, l’8 per mille potrebbe essere aggiuntivo rispetto all’aliquota Irpef e non detratto dalla stessa: in tal modo, posto che la scelta della sua destinazione è libera e volontaria, lo Stato sarebbe un mero esattore del contributo che i cittadini-fedeli intendono devolvere alla Chiesa. Ma non credo che una tale pur auspicabile revisione abbia una qualche probabilità di successo in tempi brevi, poiché il clima complessivo dei nostri giorni mi sembra dominato da una tendenza di segno contrario.
Infatti il vero problema è l’applicazione che del Concordato si è fatta in alcuni punti, come la messa in ruolo dei docenti di religione, niente affatto prevista dal testo del Concordato. O i benefici erogati dalle finanze pubbliche alle scuole private cattoliche, violando in tal modo la Costituzione e creando un precedente imbarazzante a fronte delle prevedibili domande di analoghi contributi a scuole private di diversa fede religiosa. Fino alla estrema ed invereconda iniziativa del senatore Tarolli che nella sua sfacciatamente manifesta strumentalità elettorale ha suscitato un diffuso disagio anche nel mondo cattolico: sembra l’immaginaria esasperazione di una tendenza, insomma una caricatura, ed invece è incredibilmente vera (vedi Chi dice le bugie?).
Ma ancor più clamorosa è la deliberata e talvolta smodata entrata nell’agone politico della Chiesa Cattolica attraverso prese di posizione di suoi autorevoli rappresentanti su varie questione dibattute in questi ultimi tempi. A cominciare dal nuovo Pontefice, Benedetto XVI, che, pur tentando di non rendere pubblico il fatto, ha ricevuto in udienza privata Oriana Fallaci, la fanatica portabandiera di una guerra contro l’Islam, così accreditando un consenso vaticano alle folli teorie della scrittrice. Non solo: asseconda la strategia elettorale di Silvio Berlusconi, ricevendolo in questo momento, dimenticando che, pur essendo il capo del Governo della Repubblica Italiana, resta sempre un divorziato ed un peccatore incallito se non altro per le spudorate menzogne che quasi ogni giorno diffonde dai canali televisivi. E giunge, con un suo "motu proprio" a mettere la briglia ai fraticelli di Assisi perché con il loro incondizionato pacifismo rischiano di essere troppo cristiani.
Se questi sono gli atti dichiaratamente politici compiuti personalmente dal Papa, perché meravigliarsi se il cardinale Ruini a sua volta porta alla ribalta della scena politica le sue posizioni su temi come le coppie di fatto, l’aborto, la procreazione assistita?
Del resto non mi sorprende che la gerarchia della Chiesa intervenga direttamente nel confronto politico, ciò è perfettamente lecito e non costituisce una novità.
La Chiesa, intesa come Curia Romana, nei suoi duemila anni di storia ha fatto molta più politica che carità. E non è solo la Chiesa Cattolica a svolgere questo ruolo. Sono state le comunità religiose delle varie sette cristiane degli Stati Uniti d’America a determinare il successo di Gorge W. Bush alle ultime elezioni presidenziali, nonostante le sue pesanti responsabilità per avere provocato la guerra in Irak. Sono i partiti religiosi di Israele che contrastano con maggior veemenza la politica di pace di Ariel Sharon, tanto da indurlo a rompere con il Likud, il partito che aveva fondato, e formare un nuovo partito per scrollarsi di dosso l’intollerabile presa dei gruppi religiosi.
Il fatto è che ancora una volta prevale dentro le alte gerarchie della Chiesa una visione retrograda del mondo. Ciò forse è dovuto al senso di smarrimento, quasi di paura, che sta pervadendo quegli ambienti. Il declino delle vocazioni, la sempre più scarsa partecipazione dei fedeli alle cerimonie religiose, l’inarrestabile processo di secolarizzazione della società, provoca nelle alte gerarchie una reazione di chiusura sulla tradizione, una nostalgica rievocazione del passato. E ciò impedisce un approccio rinnovato dei pur validi valori cristiani al mondo moderno ed ai suoi immensi problemi. Non a caso le sue posizioni coincidono con quelle delle destra politica.
E’ il merito di queste posizioni che va contrastato. Peggio per la Chiesa se non se ne darà una ragione. E’ già accaduto con i referendum sul divorzio e sulla depenalizzazione dell’aborto. Perché non potrebbe accadere ancora?