Quelli che corrono da soli
Fuori dai Poli: le quattro liste “minori”.
Lista Bonino
Iradicali si presentano, con la denominazione "Lista Bonino" (che ebbe tanto successo alle Europee) in tutti i seggi del Senato e alla Camera a Trento e Pergine. Una presenza consolidata in Trentino, anche se molto ridotta; ne è espressione la candidatura a Trento dell’avv. Fabio Valcanover, da più di vent’anni tra i seguaci di Pannella, che qui intervistiamo.
Che significato ha la vostra presenza nello scontro tra i due Poli?
In particolare la mia candidatura assume sempre maggiore significato, via via che parlano i miei avversari, in particolare Kessler e Manuali. Kessler esprime una linea minoritaria perfino nei DS sulla giustizia (il suo giudizio sulla Bicamerale, in particolare sulla bozza Boato, reperibile su Internet, è una mitragliata). Manuali riprende il programma di Berlusconi, e dice di voler fare le cose - su giustizia, libertà economiche - che pochi mesi fa Forza Italia liquidò, lui compreso, additandoli come referendum "comunisti"…
Sui temi giustizia, lavoro, mi sembra di capire una certa affinità con Forza Italia, di cui lei denuncia oscillazioni tattiche, opportunistiche, ma con cui sembra concordare…
Le affinità sono non solo con alcuni esponenti di FI, ma anche dei DS, come Franco Debenedetti, Michele Salvati, o di economisti come Modigliani. Non è una brutta compagnia, quella che si potrebbe creare trasversalmente.
Insomma, è un’ispirazione di fondo liberista e ipergarantista?
Liberista, liberale, libertaria, che si rifà a Piero Gobetti. E garantista, senza iper. Nel senso che a questo punto il termine garantismo suona come una bestemmia, dal momento che viene inflazionato da altri per coprire i propri problemi giudiziari personali.
Si riferisce a Berlusconi?
Sì, e all’uso che sta facendo del doppio binario: garanzie per se stesso, inasprimento delle pene e tintinnar di manette per gli altri.
Come va una campagna elettorale di una forza minoritaria di fronte alle due grandi aggregazioni?
Democrazia è confronto, anche serrato. L’Adige - o meglio, il suo direttore - ha deciso che il confronto c’è, ma solo tra Polo e Ulivo. I grandi media non organizzano dibattiti; e se Rutelli accusa Berlusconi di evitare il confronto in Tv, luogo privilegiato di comunicazione, la stessa cosa dobbiamo dire noi, sia di Rutelli che di Berlusconi: e stessa cosa da noi, con i vari Kessler e Manuali, intesi come candidati, non come persone. Il ricordo mi va alle elezioni del ’93, quando introducemmo il metodo della politica-spettacolo con i faccia a faccia. Era un bello spettacolo, ci partecipava anche Mauro Bondi: ora lui e il suo candidato Kessler si sottraggono. Cosa devo fare: sfidarli a duello?
Vi rimangono i mezzi tradizionali: volantini, incontri…
Sì, per quel poco che riusciamo a fare.
Che riscontri trovate nell’elettorato?
C’è interesse per le cose che diciamo, quando portiamo nella politica i grandi temi relativi alla vita, al sesso, alla qualità della vita, alla morte...
Rifondazione Comunista
Il partito di Bertinotti attua una sorta di desistenza non dichiarata: si presenta al Senato ma non alla Camera, "per non favorire Berlusconi" - ci dicono. Il candidato più significativo è l’indipendente Lidia Menapace: dopo un esordio come consigliere regionale DC, una vita spesa come militante, intellettuale, giornalista della sinistra critica, dal "Manifesto" ai movimenti femministi e pacifisti. Qui sarà candidata per la quota proporzionale.
Che senso attribuisce alla sua candidatura?
Considero la proposta fattami da Rifondazione molto generosa. L’ho accettata perché è venuta incontro al mio desiderio di far qualcosa contro l’astensionismo. Che mi atterrisce, perché è un modo di esprimere il dissenso del tutto inefficace: come illustra il sistema americano, dove l’astensione è considerata consenso silenzioso.
E sui contenuti?
Con questa legge elettorale, l’unico modo di mandare un messaggio al centrosinistra è quello di rafforzare Rifondazione; affinché si recuperino alcuni valori fondamentali: sulla laicità dello Stato, sulla guerra che non può tornare ad essere strumento per dirimere i problemi, sui rapporti internazionali (possibile che gli Stati Uniti possano decidere quante ore d’aria può avere la Baraldini, e noi non possiamo avere giustizia sul Cermis, nè sapere niente su Ustica?). Inoltre, in Regione, Rifondazione nel maggioritario in tanti collegi non ha neanche presentato candidati; quindi non può essere accusata di disperdere voti a sinistra.
Però anche Rifondazione, nella scorsa legislatura, ha avuto delle responsabilità: non si è capito ancora perché abbia mandato a casa Prodi…
Certamente ha fatto errori, ma lievi se confrontati con quelli altrui: pensiamo alla resa sulle scuole private, alla questione della guerra, alla presenza delle donne nelle liste e nelle istituzioni (siamo gli ultimi in Europa). Di fronte a questo la scelta di Bertinotti su Prodi (anteporre un presunto interesse di partito a quelli della nazione) è un incidente di percorso.
C’è poi un altro aspetto: il machiavellismo della politica attuale, che nella sinistra è oggi una variante della doppiezza togliattana: ma mentre quella aveva una sua grandezza e necessità (sopravvivere nella metà del mondo dominata dagli allora nemici) oggi invece siamo alla pura tattica, alla svendita dei principi nell’illusione di avere un seggio in più.
E Rifondazione non soffre di questo?
Io sono un’indipendente, non sono iscritta. E certo non mi consola, per esempio, vedere che anche in Rifondazione ci sia una visione della politica per cui essa è sempre espressa in termini di metafore belliche: tattica, strategia, schieramento, conquista… Però posso anche vedere che qui i militanti sono persone impegnate e disinteressate, che il problema della coerenza se lo pongono e lo vivono in prima persona.
Lista Di Pietro
Il movimento di Antonio Di Pietro esordisce a queste elezioni presentando candidati in tutte le circoscrizioni. Trovare personale politico dall’oggi al domani non è facile, vedi Leader locali cercansi (il più noto dei candidati è il segretario comunale Italo Scotoni, l’uomo chiamato cavillo, terrore di tutti i Municipi: una traduzione discutibile della meritoria centralità del problema legalità propria della formazione di Di Pietro). Ma i dipietristi hanno indubbio entusiasmo. Parliamo di loro con Giovanna Giugni, insegnante, candidata per la Camera a Trento.
La mia è una candidatura che nasce dalla volontà di impegnarmi in prima persona. La lista ha una sua peculiarità: si contrappone ai due poli, che ci presentano un falso bipolarismo, con le liste minori schiacciate dalle liste civetta.
Ma siete per il bipolarismo sì o no? Le liste civetta sono un escamotage per attenuare proprio i pasticci proporzionalisti della legge.
Siamo per il bipolarismo, l’abbiamo voluto attraverso i referendum. Ma ora c’è questa legge, che va rispettata.
Mi viene in mente la posizione di Leoluca Orlando, che prima era bipolarista, quando poi ha formato il suo partitino, la Rete, ha tirato fuori mille scuse per appoggiare il proporzionale…
Noi non abbiamo fatto un partitino, bensì un movimento. Che intende porsi come momento di critica a questo centro-sinistra, e come momento di reale opposizione a Berlusconi.
Cosa imputate all’Ulivo?
Di non avere cambiato la legge elettorale e di avere, con i suoi mille opportunismi, consentito il conflitto d’interessi di Berlusconi: quest’ultima è una responsabilità enorme nei confronti degli italiani.
Come valuta i temi che dividono i due Poli? Tasse, stato sociale, immigrati, giustizia?
Ci sembra che i programmi dei due schieramenti si assomiglino. Noi proponiamo una difesa a oltranza degli strati svantaggiati: quando si parla di detassazione, bisogna dire con chiarezza a chi si toglie e a chi si dà. E poi chiarezza sulla giustizia: è vergognoso che chi ha pendenze penali si proponga alla guida del Paese.
Democrazia Europea
Anche il nuovo partito di Sergio D’Antoni (e Giulio Andreotti) ha deciso, dopo alcune esitazioni, di correre da solo. Quando due mesi fa D’Antoni arrivò a Trento, trovò una Sala della cooperazione piena: ex-DC non più giovani delusi del PPI e soprattutto furibondi con Dellai per aver sostituito al partito il potere personale; e che nell’ex-segretario della Cisl vedevano il leader che avrebbe fatto rinascere, rinnovata, la DC. In queste elezioni l’unico candidato - nella quota proporzionale - è il dimissionario segretario trentino della Cisl Paolo Dal Rì.
A lato di un’intervista a QT di meno di due anni fa, lei ci assicurava che mai Sergio D’Antoni, allora segretario nazionale della Cisl si sarebbe messo in politica: erano maldicenze. Ora non solo D’Antoni ha formato il suo partito, ma lei lo ha seguito...
Io di fatto avevo concluso la mia storia professionale nel sindacato. Il 20 maggio finiva il mio incarico, e da un anno avevo dichiarato che non avrei ricandidato; non solo, ho lavorato per formare un nuovo gruppo dirigente. Ed è a quel punto che ho deciso di dare il mio apporto a questo nuovo movimento politico, senza mescolamenti di responsabilità fra il ruolo sindacale e quello politico. Altri invece - la Presidente della Regione - mescolano l’incarico istituzionale e la candidatura…
La norma permette questo a Margherita Cogo?
Sì; mentre invece, è vero, le regole sindacali non mi avrebbero permesso la candidatura da segretario della Cisl. Ma qui non parliamo di norme, bensì di sensibilità.
Veniamo a Democrazia Europea: per cosa si caratterizza?
Il ragionamento di fondo è: questo sistema elettorale non va. Anche le polemiche registrate in Trentino (il conflitto Mattarella-Grandi, n.d.r.) sono dovute a questo sistema, che azzera le identità politiche. Per questo ci battiamo: per tornare a un sistema proporzionale, con sbarramento al 5%, alla tedesca per intenderci.
Mi sembrano fragili queste basi politiche, se si fondano solo sul ritorno al proporzionale. Per un obiettivo del genere, si fa un movimento, non un partito.
Se non si dà uno scossone, non cambia niente. Hanno tentato più volte di cambiare la legge elettorale, ci sono stati i referendum, ma non è cambiato niente.
I tentativi di riforma non erano orientati verso il proporzionale, ma verso un compiuto maggioritario. E così i referendum: non hanno avuto il quorum, ma la stragrande maggioranza dei voti era per il maggioritario.
Noi però noi riteniamo che la soluzione sia il proporzionale. Vedremo se abbiamo interpretato o meno una convinzione degli elettori.
Cosa riscontra in questa campagna elettorale?
Lo dico con amarezza: constato il ruolo di potere esercitato dagli amministratori della politica provinciale, che utilizzano il loro ruolo per dire chi si deve votare. Ma avranno una risposta ferma da parte della gente, che è stufa di questi baroni della politica.