Un faticoso ritorno a casa
Il gelido squallore della stazione di Verona abbandonata a se stessa. Cronaca di alcune ore difficili in un’Italia che rischia di perdersi.
Stazione di Verona, 30 dicembre, ore 23.15. Il treno da Milano, partito (chissà perché) con mezz’ora di ritardo, arriva in ritardo: la coincidenza con il Brennero è perduta. Mi trascino un bagaglio eccessivo (valigiona a rotelle, ma sulle scale va sollevata, zaino, borsa da tennis a tracolla) e sono in viaggio da diciassette ore: la stanchezza incomincia a pesare, stringo i denti.
La stazione mi appare subito inospitale: gelida, nessun addetto. Da ore non butto niente nello stomaco, avrei bisogno di qualcosa di caldo: ma è tutto chiuso. Il treno per il Brennero è alle 1.05, quasi due ore da aspettare; cerco una sala di aspetto, ma sono tutte sbarrate. Alla fine riparo in uno degli atri: ci sono quattro sedili, tutti occupati; mi siedo su un ripiano per appoggiare i bagagli; dalle porte aperte entra un’aria gelida, si vede fuori il nevischio sollevato dal vento. E’ la notte cha a Trento farà meno 10 gradi, qui a Verona non so, ma non siamo lontani.
E se poi il treno dell’una non fosse in orario? Controllo il pannello degli annunci: riporta un minaccioso "SOLO" seguito da due iconcine, che indicano carrozze letto e cuccette. Non è che mi tocca passare la notte qui? Non c’è nessuno a cui chiedere informazioni.
Cerco una soluzione alternativa, vado dai taxi. "Per Trento? Costa parecchio – mi risponde, quasi scusandosi, il tassista, che si mette a consultare il tariffario – Sono 160 euro", e allarga le braccia.
Ritorno nell’atrio, tra gli altri viaggiatori in non facile attesa. Uno di loro sta chiudendo le porte. Io spiego del taxi: "Possiamo fare gruppo: io ci metto cento euro, gli altri, chi viene" – propongo. Scuotono la testa, hanno già pagato il biglietto del treno, non vogliono spendere ancora.
Parliamo del treno dell’una: "Il controllore mi ha garantito che c’è" - cerca di tranquillizzarci una ragazza. Spiego dell’indicazione "solo cuccette": "A questo punto non m’importa niente – dice duro un giovane – Su quel treno, quando arriva, io ci salgo. A costo di rompere un vetro".
Mi siedo con loro sullo strapuntino. L’idea del taxi la abbandono, sarebbe una triste fuga nel privilegio.
A mezzanotte arriva un addetto: ma è per chiudere, anzi sprangare la toilette: "Signori, mi dispiace, ma a mezzanotte si chiude" – dice con aria decisa, a stroncare sul nascere possibili obiezioni. Dalla toilette escono in una decina: viaggiatori, non barboni; vi si erano riparati perché locale più interno, meno gelido. Si mettono a camminare su e giù per l’atrio: stare fermi in piedi, al freddo, non si può.
Ripenso al mio viaggio. Di ritorno dall’Africa, in business class (non c’erano più posti in turistica): maxi poltrona con spazi esagerati, cucina vera, vini prelibati (ho scelto un Marzemino De Tarczal), ampio visore personale con film e videogiochi (con una raffinatezza: il visore c’è anche in turistica, ma più economico e con gli stessi giochi ma – sarà un caso? – più ostici; all’andata in classe turistica le astronavi aliene mi impallinavano e mi sentivo un incapace, al ritorno in business sono un re, alla hostess che mi offre dolcetti rispondo con sbrigativi monosillabi, sto conquistando il mondo).
E ora eccomi qui: dagli agi più o meno raffinati, al gelo di un’attesa incerta.
E questa nostra Italia, dove sta andando? Spendiamo per la business class, ma non per riscaldare la stazione? Allora hanno straragione quelli della Valsusa: miliardi per la Tav, e cimici per i pendolari. Con la privatizzazione delle Ferrovie quello che non rende viene tagliato: e così la stazione di Verona, dopo le 22 non dà utili, la si abbandona.
"Non c’è più il concetto della stazione, del trasporto come servizio sociale" - dico ad alta voce.
Un giovane alla mia sinistra, immerso nella lettura, alza la testa dal libro: "E’ proprio così. Ed è triste – scuote la testa – Queste sono le cose che mi fanno arrabbiare".
Alle 12.35 (mezz’ora prima della partenza, che peraltro avverrà con mezz’ora di ritardo) arriva il nostro treno. Ci sono due carrozze non occupate dalle cuccette. E’ un caravanserraglio, una varia umanità che si accalca: gli immigrati pakistani, la studentessa inglese che reclama il posto prenotato e fa sloggiare la signora con in braccio il bambino dormiente, l’emigrato in Germania che da 33 anni torna per Natale, la badante dell’Est, due coppie di giovani bolognesi in trasferta a Innsbruck per il Capodanno, che invadono tutto il vagone con la loro chiassosa allegria. E’ il calore di tante persone, ognuna con la sua storia, tutte a convivere con un servizio pubblico approssimativo. Ma qui un servizio almeno c’è.
In attesa di prossime "razionalizzazioni"?