Il traforo del Brennero e l’incubo Valsusa
Analogie e differenze tra il Brennero e la Valsusa. La questione trasporti in Italia e sul Brennero, e la necessità di trasparenza nel processo decisionale, altrimenti a rischio. Ma Dellai, al contrario di Durnwalder, tiene tutto segreto.
Quando si discute del tunnel del Brennero le dichiarazioni dei nostri politici sono preoccupate; non solo perché non hanno ancora trovato le risorse economiche per realizzarlo, ma perché temono di veder riversarsi sul territorio regionale l’aspra e determinata contestazione presente in Valsusa. Anche perché i comitati contro il traffico, o contro gli inceneritori e la cementificazione delle periferie delle città si stanno diffondendo ovunque. E sono comitati trasversali, non gestibili dai partiti, nemmeno dai Verdi o da Rifondazione Comunista. Sono culture, stati d’animo che non accettano più di subire in nome delle ragioni dell’economia, o di uno presunto sviluppo, e dei perversi meccanismi dei PIL. Sono culture che cercano risposte politiche alle esigenze della qualità del vivere, della salute, dei ritmi di vita, culture che nemmeno sfiorano i programmi degli schieramenti di centro-destra e centro-sinistra.
Sui media nazionali e locali si parla della Valsusa, ma si tace riguardo a quanto sta accadendo attorno al tunnel dell’alta velocità che attraversa l’Appennino da Bologna a Firenze. Lavori che si interrompono continuamente: il Mugello è in rivolta, le risorse idriche dell’area sono sconvolte, 115 miliardi di litri d’acqua sono scomparsi nelle viscere delle gallerie. L’aula bunker di Firenze ospita un difficile processo che vede coinvolti come imputati decine di progettisti, imprenditori e amministratori pubblici coinvolti nella costruzione del tunnel.
Mentre alcune associazioni ambientaliste ed i Verdi costruiscono affrettate similitudini fra le due vicende, quella piemontese e quella che riguarda il Brennero, è bene, almeno solo per iniziare l’argomento, aprire il confronto su presunte analogie e differenze.
Partiamo da lontano: in tutta Europa l’analisi critica dell’aumento del trasporto merci non è all’ordine del giorno, anzi, l’equiparazione fra crescita dei trasporti merci e crescita dell’economia sembra debba durare ancora a lungo. Ecco quindi i nuovi napoleoni dell’economia europea tracciare sulle carte geografiche questi interminabili e probabilmente utopistici corridoi transalpini: Palermo-Brennero o Kiev-Lisbona.
Se questo è il livello di confronto nell’Unione Europea, possiamo immaginarci quale ricaduta troviamo in Italia. Tunnel del Brennero, tunnel della Valsusa, ponte di Messina..., tutte opere ritenute strategiche, grandi investimenti che dovrebbero produrre lavoro, accrescere il PIL e portare l’Italia ad assumere un ruolo determinante nelle comunicazioni del grande continente: si trasporta attraverso i secoli la cultura della via della seta che dalla Cina arrivava fino al Mediterraneo. Una cultura, quella, che ci aveva arricchito per secoli, mentre la proposta attuale porterà come regalo agli abitanti della pianura padana ulteriore inquinamento e consumo di fertilità e permeabilità dei suoli, senza avere alcuna certezza sulla utilità di questi investimenti, specie per quanto riguarda la Valsusa ed il Ponte di Messina.
In Valsusa chiunque sia dotato di un po’ di saggezza percepisce che si sta barando su qualcosa di estremamente importante. A parte la tangentopoli iniziata fin dal 2003, ci sono15-17 miliardi di euro impegnati dal nostro governo in assenza di stanziamenti certi sia da parte dell’Europa che del Parlamento nazionale. C’è una Francia disattenta, che aspetta solo che l’Italia inizi il lavoro per trovarsi realizzata una infrastruttura che non le costerà quasi nulla sia in termini economici che ambientali e arriverà fino a Lione. Siamo poi in presenza di una valle già disastrata dalle infrastrutture: un’autostrada, due strade statali, due elettrodotti, una ferrovia. Una ferrovia, per di più, sotto-utilizzata, con soli sette treni giornalieri che da Torino portano a Lione, contro i 31 che portano da Milano a Zurigo.
Ecco perché 41 sindaci, di centrodestra e centrosinistra, si sono uniti nel combattere le menzogne della Presidente della Regione Mercedes Bresso, quelle del sindaco di Torino Sergio Chiamparino (Ds), molto simile nelle reazioni scomposte e aggressive al nostro governatore Lorenzo Dellai, e quelle del governo Berlusconi, e le incertezze del centrosinistra nazionale.
Ma la questione tunnel del Brennero è proprio una fotocopia della vicenda della valle di Susa come sostengono i Verdi nazionali e altoatesini?
Anzitutto, i dati del trasporto merci dimostrano un continuo calo nella direttrice est-ovest, lungo il fantomatico corridoio 5. Fra soli 3/5 anni la Francia sarà raggiungibile molto velocemente sia dal nuovo Gottardo che dal Sempione-Lòtschberg, e grazie alle politiche svizzere dal 2011 il traffico merci su gomma internazionale sarà praticamente annullato. Il discorso è opposto per l’asse sud-nord. E’ vero che in Italia vanno potenziati i porti, che due terzi del traffico merci verso il nord seguono le autostrade del mare (Marsiglia-Rotterdam-Amburgo), ma è anche vero che verso le Alpi del nord il traffico merci, ovunque, da Chiasso al Brennero per arrivare a Tarvisio, aumenta del 7-15% all’anno.
Ci sono certamente delle analogie, molte. La ferrovia del Brennero è sottoutilizzata: siamo arrivati a coprire solo il 37% delle sue capacità, mentre quella del Gottardo supera il 60%. I costi dei due tunnel tirolesi sono impressionanti: lunghi 56 chilometri, costeranno 20 miliardi di euro, i finanziamenti non sono certi (recenti le polemiche della società autostrade che non vuole investire nel tunnel), il traffico merci lento ostacolerà quello veloce delle persone togliendo così efficacia alla ferrovia; i danni ambientali e paesaggistici, infine, non sono trascurabili e fino ad oggi non sono stati valutati.
Mentre in Provincia di Bolzano associazioni e cittadini hanno potuto vedere il progetto di massima e stanno lavorando per presentare correttivi o proposte alternative, in provincia di Trento si vive una situazione identica a quella della Valsusa: l’impossibilità di avere informazioni certe. Nonostante gli annunci di Dellai, non solo alle associazioni ma anche ai sindaci interessati risulta impossibile capire qualcosa del tracciato e del progetto. Ai sindaci viene trasmessa l’informazione che riguarda solo il tratto di loro competenza amministrativa, ma nulla sul progetto complessivo. Gli uffici provinciali sembrano ancora sprovvisti di qualsiasi informazione, gli assessorati rinviano agli uffici ed il cittadino si ritrova ad aver gettato giornate del suo tempo in ricerche inconcludenti.
Come già accaduto con l’inceneritore, come accade su qualunque progetto che interessi il territorio trentino, la giunta Dellai blinda l’informazione ed impedisce o ritarda il confronto: è il metodo Lunardi/Berlusconi, solo che in Trentino risulta molto più efficace.
Se Dellai si preoccupa sinceramente di evitare la sindrome Valsusa, deve cominciare a cambiare metodo: deve smettere di aggredire chi la pensa diversamente da lui o dal fido Grisenti, deve smettere di offendere e deve aprire le porte della provincia ad una democrazia partecipata, anche conflittuale, ma capace di costruire consenso sui contenuti e non sul timore di dover subire altri cinque anni di governo Berlusconi. Questa è la prima vera analogia politica con quanto sta accadendo in Piemonte.
La seconda riguarda l’incapacità della classe politica di costruire una politica dei trasporti nel paese. Dovessimo anche aver forato ogni angolo delle Alpi, Brennero, Livigno e Valsusa, i treni merci, una volta arrivati nelle stazioni italiane, sarebbero costretti a rimanere fermi più giorni. Non esiste servizio logistico adeguato, non esistono interporti sufficientemente attrezzati ad offrire risposta al trasferimento del traffico dalla gomma alla ferrovia, i nostri porti sono inadeguati nel fare concorrenza a Marsiglia.
La strozzatura vera del traffico merci, dice CIPRA internazionale, non è rappresentata dalla catena alpina, ma dalle città e dalle interconnessioni logistiche inadeguate.
A livello nazionale non ci si chiede se sia vero che il traffico merci debba subire un costante incremento o se l’attuale aumento non sia proprio dovuto alle politiche di sostegno attuate dal governo. In Svizzera, da quando è in vigore la tassa sul trasporto merci, pur essendo aumentato il trasporto quantitativo delle merci stesse, il traffico dei camion è diminuito in tutti i Cantoni.
In Italia un TIR paga un pedaggio autostradale medio di 7-9 centesimi di euro al chilometro, mentre in Austria è di 60 centesimi. Oggi la nuova ferrovia ad alta velocità di Tarvisio è capace di avere treni merci che viaggiano a medie di 140-180 chilometri all’ora, ma rimane inutilizzata, mentre il traffico dei TIR sull’autostrada aumenta del 15% all’anno.
Ovvio: le merci corrono sul vettore meno costoso. Ma ai cittadini deve anche essere chiaro che se un governo investe in due tunnel "strategici" quasi 40 miliardi di euro, sarà costretto a tagliare, ogni anno, per vent’anni, altre voci di spesa. E dove taglia Berlusconi con la finanziaria 2006? Toglie 1200 milioni di euro alle ferrovie, altri 570 milioni destinati alla manutenzione e sicurezza delle linee, toglie 800 autobus cittadini, 30 milioni destinati ai passanti di Torino e Milano... e intanto riduce di ben 600 milioni di euro le imposte sul gasolio per gli autotrasportatori.
In Italia non esiste una politica di lungo periodo destinata a ridurre il traffico merci nel nostro paese, una politica attenta alla salute dei cittadini e al risparmio di territorio.
Se Dellai è veramente interessato a non veder esplodere anche in Regione una rivolta simile a quella presente oggi in Piemonte, deve farsi interprete delle esigenze diffuse ovunque di ridurre il traffico su gomma, cominciando ad intervenire sull’Autobrennero, cancellando ogni ipotesi di terza corsia autostradale, ogni ipotesi di realizzazione della Valdastico e facendo investire in efficienza sulla linea ferroviaria esistente.
Una seconda aspettativa sulla quale il governatore è serenamente atteso da tempo dall’associazionismo ambientalista e dalla società civile è quella della democrazia e della trasparenza. Fino a quando i progetti rimarranno segretati, non può che diffondersi sospetto e pregiudizio. Perché non cominciare, in tempi strettissimi, ad aprire lo scrigno Brennero con una grande conferenza regionale, dove si discuta pubblicamente certo di finanziamenti, ma anche di ipotesi alternative? Ci si potrebbe accorgere che le ipotesi alternative dell’ambientalismo nazionale potrebbero risolvere il problema dell’aumento del trasporto merci nel breve periodo senza dover attendere i vent’anni di realizzazione di questi tunnel. O ci si potrebbe accorgere che molti di questi trasporti sono superflui, che i camion vengono usati come magazzini viaggianti e che con costi di trasporto adeguati alcune produzioni dell’Est, sia agricole che manifatturiere, perderebbero la loro competitività nel mercato europeo.
La Svizzera ci ha insegnato che alcune grandi opere di interesse nazionale o internazionale possono essere contrattate con le comunità locali. Ad esempio, a Sion una autostrada molto impattante è stata contrattata con l’istituzione di un grande bosco wilderness. Noi potremo mettere sul tavolo il grande progetto di rinaturalizzazione regionale del fiume Adige, un corso d’acqua oggi ridotto a canale di deflusso idrico ed impoverito di ogni componente naturalistica. Se cominciamo ad usare la nostra autonomia in modo più virtuoso saremo anche sicuri di non scatenare alcune irrazionali reazioni contro l’autogoverno regionale e certamente eviteremo di trasformare la valle dell’Adige, da Vipiteno a Borghetto, in un terreno che alimenterà un conflitto con conseguenze oggi inimmaginabili.
Ma Dellai è sinceramente interessato ad aprire il confronto o più cinicamente teme e vuole evitare che una eventuale militarizzazione del territorio come avvenuto in Valsusa danneggi immagine ed economia turistica della nostra Provincia? O la sua stessa immagine?