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QT n. 4, aprile 2012 Servizi

Un’azienda “sana”

Le ferrovie: da carrozzone pubblico a esempio di ottima gestione aziendale. A spese degli utenti e del personale.

I ritardi e le condizioni igieniche dei treni regionali italiani sono entrati nell’immaginario collettivo in tempi in cui non si sospettava ancora dell’avvento della crisi, molto prima dunque della trasformazione societaria delle ferrovie in una S.p.a, e quindi prima ancora che qualche cattivone liberista sussurrasse all’orecchio di un certo Moretti, futuro amministratore delegato delle ferrovie, “Mi raccomando eh? Li voglio in positivo sti bilanci”. La situazione di oggi, comunque, difficilmente evocherà in tutti noi qualcosa di diverso da un regionale fermo per guasto in mezzo all’arsura estiva della pianura padana. La crisi economica sicuramente non facilita l’ascesa di Trenitalia tra gli dei dell’eccellenza made in Italy. Anche se, delle volte, il problema non sembra essere la crisi in sé, ma le soluzioni adottate per risolverla.

Lo Stato deve alleggerirsi, essere snello e libero da pesi eccessivi. Il bilancio che Moretti presentava in parlamento nel 2006, più che allacciarsi all’idea di uno Stato agile come una ballerina, ricordava un’enorme foca spiaggiata senza possibilità di salvezza. Più di due miliardi di perdite, un disastro. Fortunatamente, qualche taglio qua e là accuratamente ammantato da processo di razionalizzazione, ha portato al glorioso 2010. I bilanci di quell’anno (gli ultimi disponibili, quelli del 2011 devono ancora essere approvati) dicono che le ferrovie sono un’azienda sana. Con il termine sana chiaramente non s’intende che tra le salviette poggiatesta dei regionali non si annidino più le cimici, ma l’agognato pareggio di bilancio è stato raggiunto. Merito in primo luogo dei dipendenti che se ne sono andati negli ultimi 5 anni (più di diecimila); in secondo luogo dell’oculata scelta di puntare sull’alta velocità. È in effetti più saggio puntare su un buon prodotto che far leva su un prodotto scadente. Così, dopo che le Regioni hanno annunciato la riduzione di fondi destinati ai trasporti, quel prodotto scadente su cui non conviene far leva viene sensibilmente ridotto. Via qualche regionale (27 treni al giorno in meno nel solo Veneto), via la maggior parte dei treni notturni a lunga percorrenza.

Sull’abolizione di questi ultimi vale almeno la pena di dispiacersi: collegavano tutta l’Italia a prezzi accessibili, mentre ora muoversi sulle medesime tratte costa quasi il doppio. In Trentino, nessuna variazione significativa. La musica è sempre la stessa, il Trentino si salva oggi, ma come ci dice Gennaro Nocera, della CGIL ferrovie, il futuro è incerto, e la situazione ferroviaria trentina è caratterizzata da una cronica carenza di personale, c’è poco da tagliare.

Per diventare sane, le ferrovie non si sono limitate a ridurre il personale. Hanno dovuto riorganizzare quello rimanente con qualche innovazione degna del miglior pianificatore di risorse umane. Alla guida non più due macchinisti ma uno solo, i turni elaborati con un nuovo, sofisticato sistema tecnologico chiamato IVU, che aumenta la flessibilità del lavoratore. Queste due principali innovazioni, assieme a quanto detto prima, stanno alla base dei motivi per cui la sezione del sito di Trenitalia dedicata ai treni garantiti in caso di sciopero è una delle più visitate. Gli scioperi, negli ultimi mesi, sono stati tantissimi. I più combattivi sono i sindacati autonomi e di base, tra cui Orsa, USB, CUB e Sli-Cobas, e le motivazioni degli scioperi indetti sono, appunto, specifiche per determinate categorie di lavoratori all’interno delle ferrovie. Agli occhi lacrimosi del pendolare che fissa sconsolato il tabellone in una giornata di sciopero, questi sindacati sembrano abbastanza potenti da paralizzare la circolazione, anche se è difficile stimare quantitativamente la loro incisività. Anche CGIL, CISL e UIL fanno la loro parte, invocando il rinnovo di un contratto collettivo scaduto da tre anni.

L’alta velocità, però, funziona. I treni sono sempre pieni, e il servizio è buono. Il rischio è che qualche sprovveduto viaggiatore, proiettato ai 300 chilometri orari all’interno di una galleria, rimpianga quel buon vecchio carrozzone pubblico eternamente in perdita che gli permetteva di viaggiare a poco prezzo.