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Perché non possiamo non dirci europei

Gli “interessi nazionali”, la prospettiva europea, la politica dei trasporti nelle aree alpine.

I manifesti dei socialdemocratici gridano: "E’ ora che l’Austria sia di nuovo ascoltata". Figurarsi! Siamo meno del 2% della popolazione dell’Unione, e se gli altri 300 milioni e passa vogliono ignorarci, sono liberi di farlo. Quanto ai popolari, si presentano come "una forte rappresentanza dell’Austria". Mah. Lo sanno perfino i sassi che nella famiglia dei popolari europei, di cui fan parte anche Berlusconi e i Tories inglesi, non contano un fico. E poi, come faranno a rappresentare "l’Austria"? Quale Austria? Ce n’è una di destra e una di sinistra, una dei cementificatori e una dello sviluppo sostenibile, e cosi via, come del resto c’è un’Europa di destra e una di sinistra.

Nel voto di giugno, noi europei non siamo chiamati a scegliere chi dovrebbe difendere interessi "nazionali" (questo, lo fanno, fino alla nausea, i ministri nel Consiglio). Siamo chiamati a scegliere quale Europa vogliamo, determinando il relativo peso di diverse famiglie politiche in quell’assemblea senza la quale - grazie alla nuova costituzione che avremo, Dio e Tony Blair permettendo (gli spagnoli e i polacchi hanno deciso di farla passare) - leggi europee in quasi tutti i campi (esclusa la politica di difesa) non si possono fare.

Cioè: o votiamo a sinistra per la difesa del modello europeo di un’economia di mercato civilizzata dal Welfare State e da indirizzi politici che vogliamo dare allo sviluppo del mercato, per lo sviluppo sostenibile e per il peso che l’ecologia deve avere nella definizione della sostenibilità, per l’Europa dei diritti civili e di un’autonoma politica estera e di sicurezza di pace, di cooperazione, per un mondo multipolare nel quale vige il diritto internazionale.

Oppure votiamo a destra, per il mercato sfrenato, per il liberismo in campo economico e sociale e per l’autoritarismo e lo Stato (piccolo ma) forte che difenda il mercato dalle pretese della società civile, ed in fondo per un’Europa subordinata agli Stati Uniti e alla politica di Bush.

Se è vero, com’è vero, che bisogna fare questa scelta, determinando maggioranze possibili in seno al parlamento europeo, non ha senso presentare le diverse scelte come contraddizioni fra "noi" - Stato nazionale - e "loro", "la burocrazia di Bruxelles".

Ciò vale, ovviamente, anche per il problema del traffico pesante nelle Alpi. E’ vero che la gente nelle vallate alpine non ne può più. Sia l’inquinamento atmosferico che quelle acustico ha oltrepassato ogni limite. Ma cos’hanno fatto i nostri governanti? Da dieci anni, niente di serio. E se hanno perso tutte le battaglie, sia in parlamento che davanti alla Corte di Giustizia, non è colpa dell’Europa. Ci sono, alla fin fine, gli articoli del Trattato che garantiscono le libertà fondamentali del mercato unico. C’è anche l’art. 6 che afferma lo sviluppo sostenibile e un elevato livello di protezione dell’ambiente come valore fondamentale. E allora? C’è la giurisprudenza consolidata della Corte, secondo cui è ammissibile la limitazione delle libertà del commercio per ragioni di "interesse pubblico", purché le limitazioni siano effettive (cioè, adeguate allo scopo dichiarato) e "proporzionali" (cioè non più restrittive di quanto occorra), e purché siano, soprattutto, "non-discriminatorie".

Una recentissima (27 aprile) sentenza del presidente della Corte, ultima in una lunga serie, ha spiegato che invece di imporre divieti che non funzionano e che discriminano gli autotrasportatori esteri, avremmo dovuto vietare la circolazione dei Tir del tipo "Euro 0" fino ad "Euro 2" (a secondo del livello delle loro emissioni).

Perché non l’abbiamo fatto? Elementare: perché gli autotrasportatori nostrani, non vincolati dal defunto Protocollo n. 9 sul traffico transalpino, perché non "in transito", hanno i veicoli più vecchi d’Europa, mentre i loro concorrenti bavaresi o lombardi hanno modernizzato la flotta.

Dovevamo lottare per difendere la qualità della vita, per difendere i valori di cui all’art. 6, contro la libera circolazione di merci. Invece abbiamo fatto una politica protezionista per difendere i camionisti nostrani. Abbiamo perso, e ce lo meritavamo. Gridare ora "al ladro" (di Bruxelles) non serve. E’ tempo, invece, di affermare che un’Europa diversa è possibile. "La nostra Europa, possiamo migliorarla. Decidi tu." - diciamo agli elettori noi verdi

E’ una scommessa, e credo sia una scommessa vincente, almeno a lungo termine. Il vecchio Keynes usava dire che "a lungo termine, saremo tutti morti"; ci saranno però i nostri giovani che questa nuova Europa potranno godersi.