Le radici dell’Europa
Giovanni Reale, Radici culturali e spirituali dell’Europa. Per una rinascita dell’”uomo europeo”. Raffaello Cortina Editore, pp.185, 18,50 €. Il Cristianesimo come base culturale dell'Europa: un discorso colto e appassionato, ma non convincente.
Tante volte, nella vita di ogni giorno, alla persona con cui stiamo parlando, ci capita di chiedere: "Che cos’è?". E poi aggiungiamo: "Cosa intendi dire? Ripetilo". Lo diciamo con spontaneità, quasi senza pensarci. Eppure non si è sempre detto (pensato!) così: quella nostra domanda nasce da una vera e propria ‘rivoluzione culturale’ operata in Grecia da Socrate, nel V secolo a.C. E’ la civiltà dei concetti razionali, delle idee astratte, del metodo dialettico, che con essa si afferma, il primo fondamento dello spirito europeo.
L’Europa ha confini geografici incerti, le sue frontiere storiche sono mutevoli. Se non vogliamo ridurla a burro eccedente e a quote latte, a indici di produzione e a tassi comparati d’inflazione, dobbiamo riscoprire le sue "radici culturali e spirituali": solo esse ci danno la coscienza di un destino comune.
La domanda socratica, "che cosa intendi?", è rivoluzionaria perché viene a interrompere, dopo secoli, le piacevoli formule poetiche di Omero. Essa sostituisce al sogno la riflessione, alla poesia la prosa, alla paratassi l’ipotassi, al mito la coscienza. La cultura greca arcaica era fondata sull’oralità e sull’immagine, sulla ripetizione e sulla memoria: la poesia era il principale veicolo di trasmissione delle conoscenze storiche, morali, politiche, tecnologiche. Il soggetto imitava il personaggio narrato, partecipava emotivamente agli eventi: "Io mi identifico con Achille".
Dopo la rivoluzione socratica succede che "io penso intorno ad Achille". Fu la necessità di comunicare parole per pensare a favorire la diffusione della scrittura, rafforzata, dopo, dall’invenzione della stampa.
E’ per queste ragioni che Giovanni Reale, storico della filosofia, scopre proprio nella cultura greca le radici dell’identità dell’Europa. Sono i Greci a stabilire che per "curare" se stessi occorre "conoscere" se stessi, cioè l’anima, di cui il corpo è solo uno strumento. La cultura greca, soprattutto, è all’origine del messaggio cristiano, e della rivoluzione scientifica moderna.
I pensatori cristiani hanno desunto dai Greci il concetto di anima, con una innovazione però. Per il Cristianesimo l’uomo è "persona", il che comporta una radicale rivalutazione del corpo. E persona è anche Dio che instaura un rapporto diretto, di amore, di "agape", con ciascuno degli uomini. Con la venuta di Cristo, il Logos si incarna e prende un corpo come quello degli uomini, al quale viene conferita una sacralità impensabile nel pensiero dei Greci. Dal cosmocentrismo greco si trapassa così all’antropocentrismo cristiano.
Per Aristotele le stelle sono superiori all’uomo, per Platone il corpo è una prigione. Il Dio greco non può pensare ai singoli uomini, meno che mai ai miseri e ai derelitti. Egli è amato, ma non ama, e non può amare ciò che lo ama.
Il Cristianesimo è perciò l’asse spirituale portante da cui è nata e si è sviluppata l’Europa. Giovanni Reale cita a questo proposito una pagina di T. S. Eliot: "E’ su uno sfondo cristiano che tutto il nostro pensiero acquista significato. Un singolo europeo può anche non credere che la Fede cristiana sia vera, e tuttavia tutto ciò che egli dice, e fa, scaturirà dalla parte di cultura cristiana di cui è erede, da quella trarrà significato. Solamente una cultura cristiana avrebbe potuto produrre un Voltaire e un Nietzsche. Non credo che la cultura dell’Europa potrebbe sopravvivere alla sparizione completa della Fede cristiana. Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura."
Per questo, al Convegno organizzato dalla CEI nel 2002, a Roma, in Campidoglio, alla presenza del Presidente della Repubblica, Giovanni Reale, da "biologo sociale" prima che da credente, afferma la necessità che le radici cristiane siano inserite nella Costituzione europea. Da allora il papa, e numerosi intellettuali, cattolici e non, ripetono con insistenza quelle ragioni, storiche e filosofiche, proposte in questo libro, che rielabora la relazione tenuta in quella occasione.
Adefinire l’identità europea è anche la rivoluzione scientifica. Ma l’età della tecnica, per le sue conseguenze perverse, sembra aver disseccato le radici greche e cristiane. Il dilemma più significativo ci è forse proposto dall’automobile. Ascoltiamo Edgar Morin: "L’automobile è il crocevia dei vizi e delle virtù della nostra civiltà. Tipico prodotto dell’industria, della tecnica, del capitalismo, essa offre a ciascuno un’autonomia nello spazio, il rassicurante guscio della guida dall’interno, l’ebbrezza di una potenza formidabile che un leggero movimento del piede sull’acceleratore può liberare. Essa è a un tempo utile e ludica, e rappresenta il vero giocattolo per adulti della nostra civiltà, oltreche la più bella conquista tecnica dell’individualismo. Contemporaneamente l’eccesso di traffico suscita aggressività, imbottigliamenti frequenti, fino alla saturazione, uno stress permanente ed esalazioni inquinanti che alterano la salute dei cittadini."
Se l’uomo non saprà ritrovare la "giusta misura", il limite della saggezza ellenica, l’automobile rischia di portarci alla catastrofe, più della bomba nucleare.
E a minacciarci c’è anche la bomba telematica. La televisione è dirompente perché spazza via le molteplici autorità cognitive che stabiliscono chi è degno di fede e chi no: l’autorità è nella visione stessa, è l’autorità dell’immagine. La posizione del teledipendente è riassunta da Giovanni Sartori nel motto: Non vidi, ergo non est. C’è un abisso, un perdersi dell’intelligenza, se lo confrontiamo con il motto della cultura scritta: Quod non est in libris, non est.
L’esplosione informatica ci porta alla contrazione del linguaggio, cioè della comunità, che attraverso la lingua costruisce il suo profilo comune. Se a una dichiarazione d’amore si risponderà in futuro con un ‘okay’, il rapporto d’amore che potrà nascere sarà ben diverso da quando un ragazzo o una ragazza innamorati cercano di esprimersi con un timido balbettio o scrivendosi una goffa poesia.
E’ coinvolgente ripercorrere con un autorevole storico della filosofia i passaggi di ‘fase’, dall’oralità alla scrittura, dalla stampa all’informatica. Leggere con lui, che ci guida per mano, antichi, bellissimi testi greci e cristiani. E ascoltarlo, preoccupato per i giovani europei, mentre ci parla dell’automobile, della televisione, del computer.
Ma qualcosa non convince in questo suo discorso, colto e appassionato. Per Reale il culmine dell’uomo europeo è già stato raggiunto, con la civiltà della scrittura. L’età d’oro dell’Europa è nel passato medievale, quello de La Santa Romana Repubblica (di Giorgio Falco).Poi è incominciato il declino, religioso, culturale, politico. L’Europa dunque si salverà se ‘rinasce’ l’uomo europeo, greco e cristiano. Il cantiere in costruzione si riduce a una riscoperta delle radici, a una renovatio.
Nel prevalere, oggi, dell’immagine sulla lingua discorsiva e scritta, della visione sulla lettura, Reale individua con acutezza la perdita (e il rischio). Come vede il guadagno nel passaggio dall’oralità alla scrittura, dall’immagine alla riflessione, dal mytos al logos. Ma come allora, da Omero a Platone, non fu solo progresso, così oggi, noi vogliamo sperare, non è solo declino, un irrompere dell’irrazionale.
Ogni svolta culturale comporta un guadagno e una perdita. La scrittura unisce, ma anche ferisce: non è solo la tradizione orientale a vedere nel linguaggio un tradimento dell’esperienza umana, densa, immediata, ineffabile. Non è destino che il crescere dell’immagine atrofizzi il linguaggio. Nemmeno la voce riuscì, nella notte dei tempi, a mandare in soffitta i gesti del corpo: ancora oggi, quando parliamo, accompagniamo la parola con gli occhi, la bocca, la fronte.
Che il Cristianesimo abbia contribuito a formare l’identità dell’Europa è riconosciuto da tutti. Ma che le radici culturali e spirituali siano cristiane è oggetto di dibattito. Già Paolo di Tarso sapeva, scrivendo ai Tessalonicesi la sua seconda lettera, che "non di tutti è la fede" (3,2). I tempi moderni, con la secolarizzazione della società e la laicizzazione dello Stato, ci ri-svelano della fede cristiana il progetto originario di testimonianza, al fianco, e in dialogo, con altre fedi, religiose e laiche. Fu la svolta costantiniana a farne una cultura, con il compito di dare coesione a una società vicina alla disgregazione.
Pretendere che il Cristianesimo sia riconosciuto come la radice dell’identità dell’Europa è riproporre del Cristianesimo un’accezione culturale, proprio in un’epoca in cui è chiamato a ridiventare lievito nella pasta. Ha ragione papa Wojtyla quando afferma che "l’Europa ha bisogno di un salto qualitativo", ma quando aggiunge che "tale spinta non le può venire che da un rinnovato ascolto del Vangelo di Cristo", si rivela ancora tutto interno a un paradigma medievale. Su questo terreno va contrastato, con rispetto, ma con fermezza, in nome della laicità. "Se sbaglio, correggetemi" - sussurrò, venticinque anni fa, in Piazza S.Pietro, il giorno dell’elezione.
I grandi soggetti, Dio, ma anche il Progresso, il Popolo, lo Stato - Nazione, la Classe, hanno perso il monopolio della spiegazione, e della conduzione sensata degli eventi storici. Però fra gli eventi, locali e mondiali, non possiamo rinunciare a cercare una connessione. L’Europa può essere uno di questi "sprazzi di senso", per usare le parole di Remo Bodei. Un’identità collettiva, aperta sul mondo, capace, sviluppando le proprie radici, di unificare le ‘anime singole’ che la storia moderna ha prodotto.