Il pasticcio dell’area Michelin
I grandi meriti del progetto di Renzo Piano e i perduranti equivoci su un’area strategica improvvidamente ceduta dall’Ente Pubblico. Il progetto di un nuovo, moderno centro-città in riva al fiume va avanti: ma tra sospetti e difficoltà.
"Come è possibile, assessore Andreatta, che si sia dimenticato una cosa del genere? Lei che è così preciso, così pignolo?"
"Lei assessore ha ritenuto che il verbale della Commissione Urbanistica Provinciale fosse un segreto, da non farci conoscere in Comune, da condividere solo con qualche funzionario"
"Ci ha tutti presi per il naso, assessore"
"Per me d’ora in poi, qualsiasi cosa lei presenti in quest’aula, nasconderà sicuramente una gabola. In lei non ho più alcuna fiducia."
Al Comune di Trento, sono fioccate da ogni parte, dall’opposizione come dalla maggioranza, le critiche indignate all’assessore all’urbanistica Alessandro Andreatta, il boy-scout professore dell’Arcivescovile, bravo ragazzo, scoperto a tenere nascosto per tre mesi un aumento di edificabilità sull’area Michelin, e poi incorso in una serie di bugie grottesche ("E’ stata la Provincia… cosa volete, è la Pat che ha l’ultima parola… è stato l’assessore provinciale Pinter") peraltro brutalmente smascherate (Pinter: "Abbiamo fatto quello che il Comune – ossia Andreatta n.d.r. - ci aveva richiesto").
E’ logico che il Consiglio comunale del capoluogo, la sua Commissione urbanistica, tenute all’oscuro di tutto, si siano indignati: "Se passa un comportamento del genere, è meglio che per dignità andiamo tutti a casa".
In genere dove c’è puzza di bruciato, c’è anche qualcosa che brucia: un comportamento così sospetto, cosa poteva nascondere? A palazzo Thun le opposizioni (e anche qualcuno della maggioranza) si sono scervellate attorno a questa domanda. Senza trovare risposte. Allora la raccontiamo noi la storia di questo pasticcio. Che è un’ulteriore puntata del pasticcio Michelin e che può rischiare (incrociamo le dita) di compromettere una pur promettente valorizzazione di un’area importantissima.
Tutto parte dalle difficoltà di Iniziative Urbane, la società (composta soprattutto da banche, associazioni, assicurazioni) che, su input dell’allora sindaco Dellai, si era formata nel ’98 per valorizzare l’area, subentrando al Comune che graziosamente aveva rinunciato ad una prelazione. L’operazione non sta andando avanti bene: sotto i riflettori della stampa (QT in testa, ma non solo) che vi ha visto uno scambio alle spalle della città (appoggio dei poteri forti al nascente astro Dellai in cambio del maxi-affare), si è dovuto procedere con i piedi di piombo tra mille difficoltà. Soprattutto perché la città si aspetta, come del resto le è stato ripetutamente promesso, un’area destinata al verde, allo sport e alla cultura; e i proprietari invece, per guadagnarci sopra, devono costruirvi case e negozi.
Tutto questo ha portato, tra concorsi d’idee, progetti, ecc. a far passare gli anni. E il Comune, sentendosi addosso l’occhio della pubblica opinione, ha posto una serie di prescrizioni che non fanno prevedere grandissimi utili.
Dall’impasse si è pensato di uscire con il prestigio del grande nome: Renzo Piano, probabilmente oggi l’architetto più famoso al mondo, che accetta di lavorare nella piccola Trento. Un nome indiscutibile, al di sopra anche dei sospetti di voler favorire le eventuali voglie speculative del committente.
Solo che il lavoro di Renzo Piano non risolve il problema; lo sposta più in avanti. Propone infatti uno sviluppo della città storica oltre la ferrovia, quindi con edifici addensati, ma dalle altezze contenute ("paragonabili a quelle della città storica… uguali a quella della vecchia fabbrica"); e contemporaneamente un grande sviluppo del Parco, oltre le stesse prescrizioni del Comune. Per dare delle grandezze: tra la fine della grande piazza centrale e la riva dell’Adige.
Il parco si sviluppa per una lunghezza di 230 metri ("e oltre c’è il fiume e oltre ancora queste vostre montagne così belle" - come dice l’architetto); in larghezza altri 220 metri (per un confronto: i giardini di Piazza Dante sono lunghi 200 metri e larghi 100); invece a nord, verso le Albere, la fascia verde diventa più ristretta (e deturpata da una strada con rotatoria, accesso provvisorio – in attesa dello spostamento dello stadio – a tutta l’area) per poi ancora allargarsi generosa, oltre i 100 metri, verso sud.
Non basta. Piano propone anche di stralciare i previsti autosilos, sempre orridi e sciaguratamente non normati dal Comune; e li sostituisce con un piano (quindi "al di sopra della falda freatica") di parcheggi sotterranei al servizio delle abitazioni, e con due piani interrati per quelli pubblici.
Queste scelte comportano per i proprietari la rinuncia a future ulteriori valorizzazioni: niente autosilos che a due passi dal centro sarebbero remunerativi; e con la cessione delle aree per il Parco si perde ogni possibilità di ulteriori costruzioni, di cui ora non si parla, ma in un secondo momento...
Tutto questo non entusiasma Iniziative Urbane. E infatti c’è qualcuno che bisbiglia: "Ma Renzo Piano è il progettista nostro o del Comune?".
Il fronte proprietario è agitato. Anche perché il socio principale non si chiama più Cassa di Risparmio, ma Unicredito; e quindi come stella polare ha il ritorno economico, non i rapporti con la città.
In questo contesto, non sappiamo come siano andate le cose. Non sappiamo se Iniziative Urbane sia andata a piangere da Dellai, che dopo tutto l’operazione aveva avviato, traendone robusti tornaconti politici. Non sappiamo se qualcuno abbia fatto pressioni su uno stralunato assessore Andreatta (della Margherita, come Dellai). Non sappiamo attraverso quali rimpalli tra Provincia e Comune, oltre ai verbali delle commissioni che poco o nulla dicono, siano state modificate le norme. Sappiamo però che tali dinamiche hanno faticosamente partorito una normativa contorta (nel riquadro il passo più significativo) di cui evidentemente l’assessore si vergognava al punto da tenerla puerilmente nascosta.
Ma cosa prevedono queste norme? Il punto è interessante, perché, come vedremo, la risposta non è per niente scontata.
Anzitutto vengono stralciati, come proposto da Piano, gli autosilos. Bene. Poi viene tolto il limite del 10% alle attività commerciali insediabili, sempre su proposta dell’architetto, che vuole costruire una parte di città,viva, capace di attrarre le persone, e i negozi ne sono un elemento importante. Bene, come confermano altri tecnici.
Infine, se Iniziative Urbane aumenta del 50% le aree cedute al Comune come parco (che passa da 33.000 mq a 49.500) e come strade di scorrimento e piazze (19.000 mq), in cambio riceve un aumento del 40% del volume edificabile. Insomma, sempre come dal progetto dell’architetto genovese, i privati cedono più aree da trasformare in parco (a loro spese) e servizi pubblici (strade e piazze); in compenso potranno edificare di più.
E’ questo il principio della "perequazione": l’ente pubblico non è più il benevolo erogatore della pioggia miliardaria delle concessioni edilizie, che trasformano alcuni fortunati cittadini in Paperoni; bensì, in cambio di questi benefici chiede, gratis, una parte del terreno, su cui può sviluppare i servizi pubblici. "E qui alla Michelin l’operazione è particolarmente significativa; - afferma Roberto Bortolotti, presidente dell’Ordine degli Architetti - il privato cede al pubblico quasi il 70% dell’area, e per di più si assume i costi di progettazione ed allestimento! Cosa si vuole di più? Se passa, per il Trentino è un momento di svolta; un colpo importante alla speculazione sui terreni."
Però, a nostro avviso, le cose non sono così semplici. Anzi, sono decisamente pasticciate. Il fatto è che il progetto non si riduce (ci mancherebbe altro!) al mero bel quartierino affacciato in una posizione meravigliosa. Prevede anche la localizzazione di istituzioni culturali, in maniera da fare dell’area un continuum all’insegna di natura e cultura con le Albere, la nuova biblioteca, l’Università. E dopo vari ondeggiamenti si è deciso di affidare questo ruolo ad un nuovo Centro della Scienza, da affiancare al più tradizionale Museo di Scienze Naturali. Il tutto da costruire a spese della Provincia. Sul terreno di Iniziative Urbane.
Ohibò. Come si fa? Si acquista il terreno? Si acquista l’edificio chiavi in mano? Si espropria il terreno?
Qui siamo al paradosso. Perché, in ogni caso, l’ente pubblico ha testè aumentato la volumetria "e quindi, proporzionalmente, il valore delle aree" (come ci conferma il professore di Estimo Diego Briani) e poi si accinge a trattarne l’acquisto.
Il caso è ancor più scandaloso se vediamo la storia nel suo insieme: prima, nel ’98, l’ente pubblico rifiuta di acquistare l’intera area dalla Michelin a prezzo di favore (20 miliardi in meno del valore accertato da una perizia dell’ing. Zanin del Comune; perché contemporaneamente la fabbrica si vedeva costruito dall’ente pubblico un nuovo capannone in area industriale); e gira la prelazione, e relativo prezzo scontato, ai privati di Iniziative all’uopo costituitasi; poi incrementa ancora il valore dell’area aumentando i volumi; e infine la ricompera, a prezzo ovviamente maggiorato.
Ma Provincia e Comune che fanno? Beneficenza alle banche con i soldi dei cittadini?
Se si vuole essere maliziosi, ci sono altri passaggi molto strani.
Il progetto originale di Renzo Piano prevedeva il Centro della Scienza svilupparsi a ferro di cavallo attorno alle Albere, "un gioco tra antico e moderno, analogo alla situazione del Louvre e della piramide di Pei": proposta affascinante, giudicata un colpo di genio dalla quasi totalità degli operatori. Ma inaspettatamente cassata dal Servizio Beni Culturali della Provincia, con motivazioni inconsistenti o palesemente errate (il ferro di cavallo ad est avrebbe interferito con lo storico percorso dei 3 Portoni: falso, il progetto di Piano si interrompeva proprio per sottolineare prospetticamente l’antico percorso; i nuovi edifici avrebbero soffocato le Albere: storie, la loro distanza era due volte maggiore di quella dei costruendi nuovi volumi di Iniziative Urbane).
Le fesserie del Servizio Beni Culturali hanno comunque ottenuto un risultato: il Centro della Scienza non verrà costruito sul terreno pubblico, bensì esclusivamente su quello di Iniziative Urbane. Di cui prontamente si è aumentata l’edificabilità.
Tanto, paga Pantalone.
Queste considerazioni per me sono secondarie – risponde l’arch. Bortolotti – Non ci vedo un’operazione speculativa; vedo invece che la città acquista ettari di parco".
Diverso il parere dell’arch. Sergio Dellanna: "Questa, e non altre, è la vera operazione urbanistica di Trento, che può cambiare l’immagine della città. E il lavoro di Piano, sul livello urbanistico, è eccezionale, tiene conto dei valori in gioco, con un occhio di riguardo all’ente pubblico. Però - aggiunge - ora riacquistare a prezzi maggiorati un’area che si è ceduta ai privati è semplicemente una follia".
Insomma, i nodi vengono al pettine: si sconta, come era fatale, la decisione di Dellai di lasciare l’area ai privati. "Un’area strategica, atta ad ospitare le più importanti e visibili strutture cittadine, il centro-città moderno; che è fatto soprattutto di edifici pubblici. Ed ovviamente ora l’ente pubblico si trova nella necessità di dover rientrare in possesso di parte di quelle aree".
Il fatto è che tutto il dibattito è stato fuorviato e ambiguo. In Comune e fuori si è fatta una battaglia per il Parco, e la si è vinta. Ma parallelamente si è lasciata circolare l’idea che Iniziative Urbane potesse costruire per il pubblico; che fosse la società privata a fare il Centro della Scienza, e magari regalarlo (figuriamoci!) alla Provincia. Si è sempre detto che sarebbe stato Renzo Piano a progettare il nuovo Museo, finché in questi giorni il presidente di Iniziative prof. Fedrizzi ha brutalmente messo le carte in tavola: "Piano lo abbiamo chiamato per progettare i nostri edifici, e lo Science Center non è nostro".
Per cui adesso ci si ritrova a non sapere che pesci pigliare. E magari a pagarli costi immotivati.
"Effettivamente non abbiamo mai valutato le modalità di acquisizione delle aree, né quelle di realizzazione del Centro della Scienza – ci conferma Agostino Bitteleri, presidente della commissione Urbanistica Comunale - Faccio molta fatica a pensare ad un acquisto dell’edificio chiavi in mano. Si dovrà provvedere all’acquisizione dell’area. Ma non certo a prezzi di mercato".
Ci risulta che in Provincia abbiano messo al lavoro vari cervelli per cercare una via d’uscita. Che non potrebbe essere quella di rinunciare al Centro della Scienza (anche se i maligni dicono che fosse questa la finalità dell’allora assessore alla Cultura Claudio Molinari, convinto assertore di un blocco agli investimenti nel capoluogo, ed ispiratore, sempre secondo le malelingue, dello sciagurato parere del cosiddetto Servizio Beni Culturali). Una rinuncia allo Science Center non solo priverebbe la città di un’opportunità culturale e turistica e di un edificio che, progettato da Renzo Piano, potrebbe essere esso stesso motivo di attrazione ed orgoglio. Si avrebbe un ulteriore effetto negativo: senza importanti funzioni culturali, senza il collegamento con le Albere e l’Università, si ridurrebbe l’intera area Michelin a poca cosa, al quartierino modello.
E tutto il progetto di nuova città sul fiume ne risulterebbe immiserito.