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QT n. 12, 14 giugno 2003 Cover story

La Trento di Renzo Piano

Il grande architetto ha presentato il suo progetto: ed ancora rimane la divaricazione tra quello che la città si aspetta e quello che, oggi, si può fare. Un dibattito a più voci sugli stimoli, le intuizioni, le perplessità, le prospettive portate dal lavoro di Piano.

"Del progetto di Piano sono rimasto molto deluso. Mi aspettavo una movimentazione dell’acqua dell’Adigetto, un suo utilizzo come elemento paesaggistico e ricreativo, un’area-parco vocata al relax, alla cultura e alla scienza. E invece ci ritroviamo un po’ di abitazioni, di negozi, di uffici…"

Renzo Piano.

Le parole con cui Aldo Pompermaier, consigliere comunale dei Verdi, spiega la sua opposizione al progetto Michelin, ci paiono emblematiche. Anche Renzo Piano, forse il più celebrato architetto oggi operante al mondo, è rimasto "affascinato" - sono le sue parole - dalla bellezza del luogo e dalle potenzialità del progetto; d’altra parte, si è trovato ad operare in un contesto viziato da equivoci di fondo.

Anche con Piano, come con il concorso d’idee, come con il progetto dei "tre saggi", ci si trova di fronte ad una divaricazione. Da una parte quello che la città si aspetta: un’area a parco, in cui convivano ricreazione, sport, cultura, università. Dall’altra, quello che è effettivamente possibile fare all’interno di un’area che non è più pubblica ma privata, e che i privati deve remunerare.

L’equivoco sta nel fatto che il passaggio da pubblico a privato, avvenuto nel luglio del ’98, officiato dall’allora sindaco e candidato presidente della Provincia Lorenzo Dellai, aveva il significato di legare i poteri forti trentini all’imminente campagna elettorale (e difatti subito iniziarono sulla stampa scomposti peana al "leader", a "Lorenzo il Magnifico", ecc.); ma veniva presentato come la maniera più moderna, cioè più economica e rapida, per arrivare a realizzare quello che la città si aspettava. Da qui il perdurante equivoco: ad ogni progetto la città si aspetta il grande parco dello sport e della scienza; e ogni volta si ritrova negozi e appartamenti.

Il punto invece, oggi, è un altro. Dato a Cesare quel che è di Cesare e a Dellai quel che è di Dellai e appurata (tranne per chi non vuol proprio vedere) la contiguità tra il "leader" e gli affari, il problema oggi è quanto e come, con gli attuali vincoli, si riesce a realizzare dell’originaria ipotesi. Come i vari interlocutori (i progettisti, i proprietari di Iniziative Urbane, il Comune, l’opinione pubblica) possono interagire per realizzare la ricucitura della città con il fiume, in un progetto che, a questo punto, riesca a coniugare non solo natura, ricreazione e cultura, ma anche redditività per i proprietari.

Intendiamoci: ricordare il passato e le relative responsabilità non è inutile. Ha ragione Pompermaier quando ricorda come Dellai in Consiglio comunale raccontasse frottole, dicendo che per ottenere l’area bisognava versare alla Michelin 100 miliardi (mentre stava per essere ceduta a 49 miliardi), e faceva del terrorismo dicendo che se il Comune spendeva quella cifra poi avrebbe dovuto chiudere gli asili-nido. Ed è giusto ricordare a Iniziative Urbane (vedi Il pubblico e il privato) che se ha spuntato quel prezzo stracciato (i 49 miliardi) è solo perchè l’ente pubblico contemporaneamente allestiva per la Michelin il nuovo stabilimento; e quindi Iniziative è debitrice al pubblico.

Ma detto questo (e ricordato en passant che forse i Verdi dovrebbero trarre qualche conseguenza politica, visto che in Provincia, peraltro in numerosa compagnia, a Dellai fungono da zerbino), bisogna guardare avanti, assumendo Iniziative Urbane e le sue - ormai legittime - esigenze come un dato del problema.

E probabilmente anche proprio per superare le polemiche, Iniziative Urbane in questo quadro ha chiamato ad operare una star dell’architettura mondiale. E la star cosa ci ha dato?

Renzo Piano non ha lavorato partendo da zero, bensì conoscendo sia le linee-guida stese da Renato Bocchi (Trento in riva al fiume? Difficile...), sia i progetti del concorso d’idee indetto da Iniziative Urbane (vedi Area Michelin: la grande occasione, i grandi affari): "Questi lavori sono stati per me molto importanti" - ha dichiarato. Poi ci ha messo del suo. I punti più convincenti secondo noi sono due.

Il primo è la ricerca, da vero progettista, dell’utilizzo dei vincoli come stimoli, come opportunità. Doveva prevedere negozi e appartamenti; li ha utilizzati per costruire un rapporto tra il parco e la città esistente. Ha quindi addensato le costruzioni lungo la ferrovia (nel tratto dove rimarrà, non essendo interessato dal progettato interramento), studiando tutta una serie di connessioni con la città esistente (i sei nuovi sottopassi terminanti in altrettanti viali alberati, "una sorta di anticipazioni del parco"); e cercando un "effetto-città" tramite la densità delle costruzioni, la strettezza delle strade secondarie, la presenza di più piazze e piazzette.

Questa impostazione (già vista in molti dei progetti del concorso per idee, ma qui più accentuata) ha permesso di lasciare più spazio al verde: ed ecco quindi che l’area a parco, prevista in 4 ettari sull’area Michelin negli accordi Comune-Iniziative Urbane, passa ora a 5 ettari. E il cuore del parco diventa la zona centrale della Michelin, il luogo che ha affascinato l’architetto genovese, che così lo ha progettato: una grande piazza centrale circondata su tre lati da edifici di prestigio, e poi un grande prato, largo 150 metri e lungo quasi il doppio, in declivio naturale verso il fiume, visibile oltre il prato, con sullo sfondo "queste vostre montagne da sogno". Per ottenere un tale effetto paesaggistico Piano, oltre a interrompere le fila alberate del lungo-fiume, propone gli unici due interventi di un certo impegno a favore del parco: per 150 metri sia l’interramento di via Sanseverino che la copertura dell’Adigetto.

Ma il punto dove, a giudizio di chi scrive, Piano ha dato il meglio di sé, è stato nel rapporto Centro della Scienza/Palazzo delle Albere. Con un’impostazione originale rispetto ai precedenti progetti, lo Science Center è una serie di edifici a ferro di cavallo attorno alle Albere, a rispettosa distanza. Un rapporto di dialogo spaziale, tra antico e moderno, che esplicitamente si rifà ad altri esempi celeberrimi, come il Louvre e la Piramide di Pei. Un’idea nella cui realizzazione architettonica la genialità di Piano potrà esprimersi compiutamente.

Poi ci sono i punti che non convincono, da approfondire o reimpostare. Il primo riguarda via Sanseverino, che pur depotenziata ancora rimane dove è ora, tranne i 150 metri interrati in corrispondenza dell’area centrale. "Non credo si debba demonizzare il traffico, anche chi va in macchina potrà godere della vista del parco - ci ha risposto Piano - E infatti in molti parchi, come ad esempio Hyde Park a Londra, è previsto l’attraversamento di una strada a traffico limitato".

La risposta ci sembra debole: negli altri parchi la strada passa in mezzo, lasciando ampi spazi verdi su entrambi i lati; qui invece la strada correrebbe a ridosso dell’area più pregiata, la riva del fiume, di fatto tagliandola fuori e riducendola al solo argine. Insomma, con via Sanseverino ancora tra i piedi, il parco non inizia, come ci si aspetta, a via Verdi, ma oltre le Albere. Il che fa oltre tutto perdere, come vedremo, un’importantissima connessione con la città.

Né invero si capisce la necessità di via Sanseverino. Il progetto di Piano prevede di portare il traffico ai margini dell’area: dal nuovo ponte sull’Adige che sbocca in prossimità dello stadio, poi in diagonale fino alla ferrovia, quindi lungo la stessa (che sia in superficie oppure interrata, non importa) e poi un’altra diagonale per inserirsi su via Monte Baldo. Il parco risulta così aggirato; e via Sanseverino risulta superflua.

"In effetti è così - risponde l’architetto Roberto Bortolotti - Il fatto è che Piano ha potuto progettare dentro l’area Michelin come voleva; nel disegnare invece le aree adiacenti si è mosso con molta prudenza, conscio delle difficoltà e dei ritardi dei nostri enti pubblici; non dimentichiamo che è rimasto scottato dalle peripezie burocratiche dell’Auditorium di Roma. La professionalità del progettista, le esigenze tecniche purtroppo vengono sempre per ultime, dopo le esigenze del mercato, quelle della politica e quelle della burocrazia. Io interpreto questa sopravvivenza di via Sanseverino nell’ottica di far partire il progetto senza dover attendere il ponte sull’Adige e lo spostamento dello stadio. In una prima fase si fa quello che si può fare subito: le costruzioni di Iniziative urbane, il parco e magari il Centro della Scienza". E ci si accontenta che il traffico passi ancora su via Sanseverino.

Il secondo punto di perplessità riguarda il rapporto con la città. Come abbiamo visto, Piano ha studiato con minuzia il problema di ricucire l’ex-Michelin con la città oltre la barriera ferroviaria: attraverso i sottopassi e i viali alberati, nella (ragionevole) previsione che la contiguità stessa con la nuova area pregiata induca spontanei processi di autovalorizzazione di quella parte di città, a dire il vero oggi non entusiasmante.

Ma via Taramelli è via Taramelli; mentre il rapporto vero del parco, della nuova area culturale dovrà essere con via Verdi, l’università, piazza Duomo. Ricreazione, sport e cultura impongono un’interazione con l’adiacente cittadella universitaria ed il centro, piuttosto che con il cimitero. E d’altra parte questo era l’obiettivo dichiarato del piano di Renato Bocchi: creare un continuum fra una sorta di "quartiere latino" in via Verdi, la biblioteca universitaria in Sanseverino, e poi l’Adige e il parco.

La situazione attuale: con le prossime trasformazioni, dovrebbe sparire lo stadio, interrarsi la ferrovia fino alla Albere, sorgere la biblioteca sull’attuale parcheggio di Sanseverino, espandersi l’area universitaria sugli attuali edifici del CTE-Ortofrutticole.

Questa connessione Piano l’ha pensata, ma a nostro avviso attraverso soluzioni "deboli": la connessione con la biblioteca attraverso l’attuale stecca di edifici privati situati tra piazzale Sanseverino e lo stadio, attorno a via Castelbarco (vedi cartina a fianco e progetto); realizzata attraverso una serie di passaggi, che poi dovrebbero trovare sbocchi da una parte nell’edificio "che è auspicabile sia articolato" della biblioteca, dall’altra nel Centro della Scienza.

Il progetto

Ci sarebbero due connessioni, molto più "forti". La prima attraverso la ex centrale ortofrutticola (indicata come CTE in cartina), destinata a diventare zona universitaria: oggi abbiamo da una parte della ferrovia le ex ortofrutticole, il mulino Vittoria, dall’altra la biblioteca (tutti edifici universitari) e l’area dello stadio (che va spostato). Realizzato l’interramento della ferrovia, il collegamento è molto facile, va solo organizzato; se invece (come Piano sembra voler fare) dall’interramento si vuol prescindere perché sulle grandi opere delle pubbliche amministrazioni non c’è da giurare, il collegamento è più difficile, e quindi va molto studiato. In ogni caso risulta provvidenziale l’area liberata dallo stadio, che però Piano utilizza (vedi progetto) per delle semplici abitazioni.

La seconda connessione "forte" può avvenire lungo il fiume, nella fascia da piazzale Sanseverino alle Albere. Per cui si avrebbe un percorso culturale/naturalistico da via Verdi, attraverso la nuova biblioteca, il lungo fiume, le Albere: quello che poi sarebbe l’accesso vero della città al parco. Questa soluzione prevede però (cosa che peraltro si è sempre immaginato) l’inizio dell’area verde a piazzale Sanseverino; e quindi anche una conseguente soluzione all’ingombrante presenza dell’omonima via.

Queste problematiche sembra che siano state affrontate da Piano quasi con timidezza, attraverso accenni di soluzioni. La progettualità, forte nell’area di Iniziative urbane, diventa evanescente ai suoi contorni. Forse perché è evanescente la committenza, indefinito il ruolo che gli è stato assegnato.

Sarebbe disponibile a un incarico che la portasse a ridisegnare l’intera area? - gli abbiamo chiesto, dopo aver sollevato queste perplessità.

"Per me sarebbe un invito a nozze" - è stata la risposta.

"Su quel comparto stanno lavorando tre grandi figure dell’architettura internazionale: Renzo Piano, Mario Botta (cui è stato affidato il progetto della biblioteca, n.d.r.) e Joan Busquets. Non si conoscono, e avrebbero piacere di incontrarsi - ci dice Roberto Bortolotti, presidente dell’Ordine degli Architetti - In ottobre l’Ordine, in accordo col Comune, vedrà di metterli assieme, per farli interagire. Confidiamo di innescare un circuito virtuoso, da cui possano nascere idee forti".