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QT n. 17, 12 ottobre 2002 Servizi

Alpini in Afghanistan? No, perché…

I soldati italiani prestati ai comandi americani, l’Onu, la dottrina Bush, la lotta al terrorismo. Intervista all’on. Giovanni Kessler.

L’on. Giovanni Kessler, dell’Ulivo, era in Spagna in missione internazionale quando nei giorni scorsi il Parlamento votava – e l’Ulivo drammaticamente si divideva – sulla partecipazione italiana all’operazione Enduring Freedom in Afghanistan.

Però sul voto del deputato di Trento non ci sono dubbi: sarebbe stato contrario.

"Certo – ci dice - i motivi delle perplessità a novembre, all’inizio della guerra, oggi si sono ulteriormente rafforzati, e di molto".

Partiamo allora da un bilancio di questi 10 mesi di operazioni militari.

"Allora sostenevo che un intervento militare contro il terrorismo non avrebbe prodotto risultati: e così è stato, come sempre quando si fa la guerra non contro i nomi propri (Hitler, il Giappone, o anche i Talebani, che erano un obiettivo secondario) ma contro i nomi comuni: la fame, la droga, e appunto il terrorismo".

Eppure ci sono stati effetti positivi: per esempio Adriano Sofri ammette che un dato impressionante, su cui riflettere, è che con il crollo dei Talebani, siano tornati in Afghanistan milioni di rifugiati, il doppio di quanto avesse stimato l’Onu.

"E’ vero. Come è soprattutto vero che non si è verificato quanto più si temeva: la destabilizzazione dei governi moderati dei paesi islamici. Però il terrorismo è stato tutt’altro che sconfitto, come prova lo stillicidio di attentati e il fallimento della caccia a Bin Laden e al mullah Omar".

Non sta chiedendo troppo da un’azione militare? Il terrorismo trova alimento nella politica di potenza e di umiliazione dei paesi poveri. Attribuire all’opzione militare la responsabilità del permanere del terrorismo, non è sopravvalutarla?

"Andiamo per ordine. La mia contrarietà all’operazione Enduring Freedom, è derivata dal fatto che la catena di comando, la scelta degli obiettivi, sono cose esclusivamente americane. Non è una missione internazionale, Nato o Onu, in cui partecipiamo a definire obiettivi e regole; bensì prestiamo i nostri soldati agli ordini dei comandi americani, che stabiliscono loro cosa, dove, come…"

La interrompo. Le catene di comando internazionali, sul campo funzionano? In Bosnia non si sono avuti risultati entusiasmanti.

"Funzionano. In Bosnia il mandato era troppo limitato, e l’operatività ne ha risentito. Ma in Afghanistan opera l’ISAF (International Security Assistance Force) con il mandato Onu di mantenere la sicurezza nell’area di Kabul, in maniera che le varie organizzazioni internazionali possano lavorare in ambiente sicuro; e quindi creare i presupposti per un assestamento democratico dell’Afghanistan. Ora, io sono favorevole ad ampliare questo mandato, anche con la partecipazione italiana…"

Anche a dare la caccia ai terroristi?

"I terroristi non si trovano con le foto segnaletiche, ma con attività di intelligence. I soldati servono invece per rafforzare i governi, scontrandosi militarmente con le formazioni organizzate – tra cui anche i terroristi – che contendono il controllo del territorio. E certo, ripulendo l’ambiente, si combatte anche il terrorismo".

Invece in Enduring Freedom…

"E’ una missione esclusivamente americana, cui altre nazioni prestano dei soldati, senza alcun controllo sulle modalità di impiego e gli obiettivi. Secondo me ci sono anche problemi costituzionali. E finché, come dieci mesi fa, si trattava di navi, e non c’erano grossi pericoli, il problema lo poneva solo l’on. Kessler; ora, con gli alpini, lo pongono in tanti, a cominciare dai DS.

Oggi poi ci sono ulteriori motivi. Nel frattempo, infatti, l’amministrazione Bush ha elaborato la ‘National security strategy’ che teorizza:

1) il diritto (americano) a intervenire militarmente contro una nazione anche prima che si sia formata una concreta minaccia alla sicurezza Usa; 2) il ruolo delle organizzazioni internazionali come successivo a quello militare (tutto americano), relegato quindi al campo umanitario, a raccogliere i cocci; 3) il rifiuto del processo della Corte penale internazionale per i funzionari e militari americani (anche se poi il giudizio verrebbe da una corte americana, a cui la Corte internazionale segnalerebbe il reato).

E’ una visione da dominatori del mondo che non accettano alcuna limitazione".

Per questo giudizio lei può venire facilmente accusato di antiamericanismo...

"E perché mai? Clinton alla Corte internazionale aveva aderito, Gore nei suoi interventi pubblici vi fa continuo riferimento. Io sono contrario alla dottrina dell’amministrazione Bush, né più né meno di molti esponenti democratici al Congresso, o di molti media americani. Essere contro la politica di Bush, non vuol certo dire essere pregiudizialmente contro l’America.".

Questa posizione la porta quindi a…

"…a rafforzare le ragioni di un’opposizione. Se ero contrario all’invio di nostre truppe sotto bandiera americana prima, lo sono ancor più oggi, quando servono per rimpiazzare i soldati americani destinati ad attuare in Iraq la National security strategy".

Come pensa si possa condizionare o contrastare questa strategia americana?

"Con una strategia, una politica estera europea. Che però non c’è. Se andiamo avanti per singoli Stati, come è avvenuto nel caso dell’Afghanistan, non contiamo nulla. Ma per avere una politica estera comune, gli Stati devono cedere quote di sovranità, e questo sembra il problema. Così come - detto per inciso - per avere un Ulivo occorrerebbe che i partiti cedessero quote di potere, e questo è un altro grosso problema".

Sul caso Iraq, c’è speranza di giungere ad una posizione europea comune?

"Rischiano di avviarsi le stesse dinamiche, e rispetto ad una situazione ancor più grave. Perché in Afghanistan gli Stati Uniti potevano dire di reagire non a una minaccia, ma ad un attacco sul loro territorio. Qui invece sono gli Usa che si arrogano il diritto di intervenire ancor prima di essere non solo attaccati, ma neanche minacciati. E in modo del tutto unilaterale".