Respinta l’offensiva dei “salvapoltrona”
La nuova legge elettorale (provinciale) non peggiora la "norma transitoria": è già un risultato insperato.
Una volta tanto, possiamo dirci contenti di avere sbagliato una previsione (vedi Riforma elettorale: il colpo di coda della nomenklatura). La frenesia con la quale la commissione speciale del Consiglio provinciale - quella istituita per esaminare le proposte di riforma del sistema elettorale - aveva iniziato i propri lavori, ma soprattutto le prime proposte emerse avevano fatto temere che si fosse di fronte al tentativo di cancellare le innovazioni della norma transitoria, senza neppure metterle alla prova una sola volta.
La norma transitoria - lo ricordiamo per i meno esperti - è quella postilla della recente modifica dello Statuto con la quale si stabilisce che, sino a quando il Consiglio provinciale di Trento non approverà una propria legge, nelle elezioni provinciali si voterà con un meccanismo simile a quello dei comuni: elezione diretta del presidente della Provincia e premio di maggioranza alla coalizione vincente.
Come abbiamo detto altre volte, questo non è il migliore dei sistemi elettorali possibili. Anzi. La norma transitoria introduce infatti un meccanismo elettorale che pone seri problemi di equilibrio fra i poteri: si rafforza enormemente l’organo esecutivo (la Giunta provinciale ed in particolare il presidente della Provincia), ma si lascia l’organo legislativo (il Consiglio provinciale) nel caos della frammentazione. Tuttavia, la norma transitoria risolve un problema fondamentale per il Trentino: dopo un decennio di paralisi decisionale, l’introduzione di un meccanismo elettorale capace di garantire la governabilità consente la possibilità di uscire dallo stallo, da quella palude di inciuci tra i partiti, intrighi di palazzo e ricatti personalistici che in questo decennio ha spesso ridotto la politica provinciale ad una farsa, terreno sul quale, oltretutto, ha prosperato il doroteismo.
Ebbene: il Consiglio provinciale avrebbe la possibilità di migliorare la norma transitoria riequilibrando i rapporti tra gli organi, ma l’esordio della commissione speciale pareva preludere a tutt’altro, ossia a cancellare quel poco di buono (la stabilità di governo)che era stato introdotto con la norma transitoria, col malcelato obiettivo degli attuali consiglieri di preservarsi il posto.
Ed invece, a sorpresa, dalla commissione è alla fine uscito un buon testo. Per "buon testo", date le premesse, intendiamo soltanto un meccanismo elettorale non peggiorativo rispetto alla norma transitoria. E’ già molto, visti gli interessi in campo. Anzi, a dire il vero, in alcuni aspetti il testo varato dalla commissione può considerarsi addirittura migliorativo rispetto alla stessa norma transitoria.
Vediamone in sintesi i punti essenziali.
Rimane l’elezione diretta del presidente della Provincia ed il premio di maggioranza alla coalizione collegata. Però, a differenza di quanto fissato nella norma transitoria, le elezioni avverranno in un turno unico. Ciò spingerà le forze politiche a collocarsi fin dall’inizio in una logica bipolare, mettendo fuori gioco i tatticismi del doppio turno, quelli per cui ci si presenta divisi al primo giro e ci si allea poi nel ballottaggio. Nessun compromesso programmatico fra il primo ed il secondo turno, nessun mercato delle vacche sui posti in Giunta in nome delle nuove alleanze. Il turno unico obbliga le coalizioni a presentarsi agli elettori in maniera più trasparente: sin dall’inizio il cittadino sa qual è il programma e quali sono le persone della coalizione che si appresta a votare, senza il rischio che programma e squadra subiscano uno stravolgimento in nome delle alleanze da siglare per il ballottaggio. Il turno unico, inoltre, rafforza l’unità dei due schieramenti, l’Ulivo e la Casa delle Libertà, che altrimenti rischiavano di spaccarsi.
Non a caso, a battersi contro l’introduzione del turno unico sono stati coloro che avrebbero speculato sulla rottura delle coalizioni: gli autonomisti e, senza darlo a vedere, una parte della Margherita.
Il voto rimane congiunto (se si vota per un certo candidato presidente, si possono votare solo le liste ad esso collegate e viceversa) ed è garantita alla coalizione vincente la maggioranza dei seggi del Consiglio provinciale. Tuttavia, il premio di maggioranza è differenziato a seconda del risultato raggiunto: se chi vince raccoglie meno del 40 per cento dei voti, potrà contare soltanto su una striminzita maggioranza di 18 consiglieri su 35, compreso il presidente; se si supera il 40 per cento, i seggi sono almeno 21, ma se la coalizione del Presidente stravince, all’opposizione sono comunque garantiti 11 seggi. Nel caso di vittoria di misura, 18 seggi rischiano di essere davvero pochini, ma l’aver riconosciuto il ruolo dell’opposizione è un’innovazione degna di nota. Si introduce infatti un concetto essenziale delle democrazie bipolari, quella secondo cui all’opposizione spetta il compito di controllare la maggioranza e di formulare proposte alternative, non quello di tentare di rovesciare il governo attraverso accordi sottobanco nel corso della legislatura. Riconoscendo visibilità all’opposizione si favorisce quindi la logica dell’alternanza.
Il presidente avrà, come in tutte le democrazie moderne, il potere di nominare e revocare gli assessori, scegliendoli anche tra persone non appartenenti al Consiglio (è stato quindi cancellato lo scempio introdotto inizialmente dalla commissione, che limitava ad un massimo del 50 per cento la possibilità di nominare assessori "laici"). Inoltre, riguardo agli assessori, è stata accolta la proposta elaborata da Passerini e fatta propria dai DS: la carica di assessore è incompatibile con quella di consigliere, ma qualora un consigliere provinciale sia nominato assessore egli non decade definitivamente dal Consiglio, ma ne è solo sospeso. Al suo posto, in Consiglio, entra temporaneamente il primo dei non eletti, ma qualora l’assessore si dimetta o venga revocato dalla carica, si riprende il suo posto (e chi lo aveva sostituito decade dal Consiglio).
Il meccanismo è un po’ pasticciato, ma si prefigge di risolvere, con un accettabile compromesso, almeno tre problemi: i consiglieri non avranno incarichi di Giunta, e ciò dovrebbe garantire maggiore funzionalità al Consiglio provinciale; il Consiglio sarà maggiormente indipendente rispetto alla Giunta, visto che gli unici membri della Giunta ad essere anche consiglieri saranno solo il presidente ed il vicepresidente della Provincia; nella Giunta provinciale, gli assessori saranno maggiormente liberi di esprimere il loro punto di vista, poiché nell’eventualità di una revoca dall’incarico avranno il salvagente del posto in Consiglio. Quanto accaduto a Rovereto, con Fabrizio Rasera, primo degli eletti in Consiglio comunale, che vedendosi revocare dal sindaco la carica di assessore è rimasto tagliato fuori da tutto, ha fatto riflettere molti: con la proposta di Passerini si evita che il potere del premier di nominare e revocare gli assessori da un lato e, dall’altro, l’incompatibilità tra le due cariche, si traducano in una sorta di potere di vita o di morte del presidente nei confronti degli assessori, col risultato che questi ultimi (anche gli assessori tengono famiglia, soprattutto considerati i lauti guadagni degli incarichi provinciali) finirebbero per appiattirsi sulle posizioni del presidente per non rischiare di essere revocati.
Due i nei, gravi, del testo uscito dalla commissione. Il primo è la mancanza di una soglia di sbarramento, che era pur stata ventilata duranti i lavori a Palazzo Trentini. La semplificazione del quadro politico, con la riduzione del numero dei partiti, è infatti un elemento essenziale per dare maggiore forza ed autorevolezza al Consiglio, bilanciando il rafforzamento dell’esecutivo. Ancor più grave è quanto accaduto riguardo agli strumenti di democrazia diretta: le belle innovazioni contenute nell’iniziale testo di Dellai riguardo ai referendum, con la riduzione del quorum dei votanti necessario per validare la consultazione al 25 per cento, sono state stralciate ed accorpate ad un altro disegno di legge, col rischio che finiscano impantanate nella paralisi consiliare. Soprattutto, però, pare che durante questo travaso sia scomparso il referendum propositivo, che rappresentava la novità più importante.
In ogni caso, al di là di questi nei, la commissione è riuscita a smentire le nostre scettiche previsioni, approvando un testo che non tradisce i principi fondamentali introdotti con la norma transitoria.
Come è stato possibile? Un ruolo chiave lo hanno giocato i DS, rappresentati in commissione da Margherita Cogo. Facendosi spalleggiare da Forza Italia e da An, e stringendo poi accordi con la Margherita di Dellai, i DS sono riusciti a mettere in campo un forte contrappeso ai tanti nostalgici del vecchio sistema proporzionale. Segno questo che, quando c’è la volontà, gli spazi per far passare una politica riformatrice ci sarebbero, anche su altri argomenti.
Ora la palla passa al Consiglio, dove i rischi di stravolgere il testo della commissione sono in agguato. Tuttavia, il Consiglio potrebbe anche migliorare il testo. Non ci resta che attendere per vedere chi avrà la meglio.