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QT n. 17, 12 ottobre 2002 Servizi

Renzo Piano: il grande nome per il grande business?

Le ambiguità sull’area Michelin, le attese della città, quelle della proprietà. Come l’arrivo di Renzo Piano sposta (in avanti) i problemi.

E così è arrivato il "grande nome". Anzi, il massimo: Renzo Piano l’architetto più celebrato a livello mondiale. A progettare l’area ex-Michelin.

L'area ex-Michelin.

La notizia è ovviamente positiva, un’opera di Piano è di per sé un’attrattiva, in qualsiasi città. Quindi è facile prevedere che Trento abbia solo da avvantaggiarsi dal lavoro dell’architetto genovese.

Però anche il "grande nome" lavora sugli input della committenza; esegue, al meglio, un compito che gli viene affidato. Ora, proprio su quale sia questo compito c’è da discutere, perché abbiamo notato grandi confusioni e pericolose ambiguità.

Il problema dell’area ex-Michelin è noto ai nostri lettori. (Area Michelin: la grande occasione, i grandi affari) In estrema sintesi possiamo dire che su quell’area si è in questi anni giocato un pesante equivoco. Da una parte le aspettative della città: che questa zona a ridosso del centro, affacciata al fiume, la pensa dedicata a cultura, università e tempo libero, ampliando una fruizione del lungo-fiume che già c’è, è bella serena, e piacevole, e potrebbe diventare un’attrattiva e un punto vero della sbandierata qualità della vita.

Dall’altra le esigenze di Iniziative Urbane, la società proprietaria; che giunta in possesso dell’area attraverso un audace e grazioso dono dell’allora sindaco Dellai (che in cambio ricevette l’entusiastico supporto dell’establishment alla candidatura a presidente della Provincia) vuole ora ricavarne redditività. "Siamo imprenditori, abbiamo investito, vogliamo vederne i frutti" - affermano i proprietari. E - soprattutto se sorvoliamo sul fatto che il prezzo pagato è stato d’assoluto favore, grazie ai buoni uffici (leggi nuovo stabilimento) dell’ente pubblico presso la venditrice Michelin - il ragionamento fila.

Ma il contrasto di finalità, l’ambiguità di fondo, resta; e su queste basi non è facile mettere insieme il pubblico e il privato.

Poi c’è stato il travagliato percorso che ha portato all’ultima Variante al Prg. Incaricati erano i cosiddetti "tre saggi", gli architetti-urbanisti Mioni, Bocchi, Zanon, invisi al partito del mattone, che ne iniziò un lavoro di delegittimazione. E così fu chiamato il "grande nome" Joan Busquets, che lanciando l’idea dell’interramento della ferrovia, rivoluzionò l’impostazione per Trento nord: si passò dalle zone edificabili individuate con il contagocce "per favorire invece una ricucitura del tessuto urbano" di Mioni, al "costruiamo il più possibile, per creare le convenienze economiche che permettano di finanziare l’interramento" di Busquets (PRG di Trento: per una città più congestionata). Per Trento sud Bocchi prevedeva un parco fluviale come asse portante di tutta la fascia lungo il fiume, dal ponte di San Lorenzo alle Ghiaie. Il suo lavoro fu contestato e Bocchi, assieme agli altri ex-saggi, silurato.

In questo quadro, non idilliaco, si inserisce Renzo Piano.

I primi commenti all’arrivo di Piano infatti, i propositi che gli sono attribuiti/suggeriti, sono sconcertanti. "Non bisogna avere paura dei metri cubi, le volumetrie non vanno temute" sarebbe il pensiero di Piano, secondo Gianfranco Pedri, presidente degli industriali e soprattutto ex-presidente di Iniziative Urbane. Cioè della proprietà, che evidentemente tira acqua al proprio mulino, secondo l’ormai assodato principio, "vogliamo la redditività".

Il che è legittimo. Sconcertante invece è la posizione dell’assessore comunale all’urbanistica, Alessandro Andreatta (della Margherita, a suo tempo eretico, "un povero professorino" quando con la consulenza ai tre saggi voleva frenare gli appetiti della speculazione, ora ben visto nella sua formazione, dopo che si è riallineato): bisogna "costruire una città densa e piena dentro l’area Michelin" è l’inquietante programma dell’assessore.

Insomma, sorge la preoccupazione che il nome di Piano serva, nelle intenzioni di alcuni, per forzare la situazione, per aumentare volumetrie, per spostare la zona a parco più a sud.

"Nel mio piano-quadro (poi declassato dall’amministrazione a studio-quadro ndr) ho sempre considerato come elemento portante di quella porzione di città, la fascia longitudinale lungo il fiume - ci dice il prof. Renato Bocchi – Quindi l’operazione Michelin risultava molto integrata con il parco. La mia preoccupazione è che possa rispuntare l’impostazione opposta: l’area Michelin come espansione della città verso il fiume."

Insomma, la solita contrapposizione: il lungo-fiume che si aspetta la città da una parte, e quello che darebbe reddito a Iniziative Urbane dall’altra.

E con il Comune in mezzo, strattonato dall’ala affaristica della Margherita, e sotto tiro da parte della peraltro confusa opposizione di centro-destra.

"Manca la strategia da parte dell’amministrazione – ci dice Aldo Pompermaier, dei Verdi, critico verso la Giunta Pacher – Non c’è chiarezza su quale strada imboccare. E allora si passa la patata ai consulenti: con il risultato che si è bruciato Bocchi, si è scottato Busquets quando ha provato a indicare la localizzazione del ponte. Ora si prova con Piano…"

In attesa di poter parlare con l’assessore Andreatta, che in cinque giorni non è riuscito a trovare dieci minuti per rispondere alle nostre domande, sentiamo Stefano Albergoni (Ds) presidente della Commissione urbanistica. "A me pare che – al di là della fine non felice del rapporto – l’impostazione di Bocchi, di Trento come città dei flussi, dell’importanza della fascia fluviale, sia tuttora viva. E’ stato contestato il disegno di dettaglio, in particolare la posizione del costruito nell’area Michelin, ma non l’impostazione generale, che rimane e che io ho particolarmente apprezzato."

Il fatto è che il lavoro di Bocchi è stato esplicitamente – anche se confusamente – attaccato dalla Margherita. Ne sono state recepite, a parole, le grandi linee: salvo la posizione del ponte sull’Adige (in asse con via Verdi, che favorirebbe il paventato – da Bocchi - prolungamento della città verso il fiume, o spostato verso l’attuale stadio?) la collocazione della nuova via San Severino (interna all’area Michelin o addossata alla ferrovia? E con quali funzioni?) e la disposizione degli edifici dell’area Michelin.

Ora, l’arrivo di Piano giustifica alcune di queste cose: sembra saggio non aver vincolato il grande architetto con la posizione dell’edificato e della strada. Ma può far nascere la tentazione di ribaltare l’impostazione della fascia fluviale, peraltro mal digerita da alcuni settori della maggioranza: abbiamo il genio, facciamogli costruire il più possibile, e il parco spostiamolo più in giù.

"Mah, l’aver cercato Piano mi sembra indichi la volontà della proprietà di non cercare soluzioni banali – risponde Albergoni – Dopodiché gli indici di edificabilità, le cubature, i metri di verde, gli utilizzi sono già stati approvati in Variante. Né sono all’ordine del giorno variazioni. Se poi la proprietà ha altri desideri, è un altro discorso. Ma a questo punto interessa relativamente."

L’architetto Roberto Ferrari, già presidente dell’Ordine, è stato incaricato da Iniziative Urbane di collaborare con Renzo Piano alla stesura del progetto; di fungere da terminale locale del grande studio internazionale di progettazione. "Mi sono sembrate forzate le interpretazioni delle impressioni dell’architetto – ci dice – In realtà Piano mi è sembrato molto convinto di una progettazione attenta proprio alla realtà del verde. Progettare il vuoto, lo spazio aperto, è oggi la sfida vera, cui noi che facciamo questo mestiere non siamo più abituati. Per cui io penso che, se si parla di variazione degli indici già approvati, è per aumentare – di un piano – gli edifici, ma mantenendo inalterato il volume, per ridurre così la superficie edificata e aumentare quella a parco."

La confusione è nata anche dal fatto che Renzo Piano è incaricato (e pagato, e la parcella non sarà cosa secondaria) da Iniziative Urbane per l’area Michelin. Ma contemporaneamente il Comune prevede di affidargli anche una consulenza su un’area più vasta, che inglobi la questione del ponte, i rapporti con il resto della città ecc. Non ne può nascere un conflitto di interessi, fra quelli – legittimi ma parziali - di Iniziative urbane, e quelli – che si vorrebbero più generali – del Comune?

"Mah, è sempre lo stesso discorso: il Comune non ha una strategia propria, e cerca ora questo ora quello che gli risolva i problemi" risponde Pompermaier.

"Penso che su questioni specifiche, come quella del ponte, si possa configurare una doppia committenza – risponde Albergoni – Certo, è un tema che bisognerà approfondire."

Il centro Pompidou, realizzato da Piano a Parigi.

"Io non vedo questo conflitto: anche perché i rapporti tra Iniziative urbane e il Comune sono stati magari conflittuali, ma sempre molto schietti, senza sotterfugi – risponde Ferrari – E soprattutto c’è una questione sostanziale, che vorrei non sfuggisse: Renzo Piano ha un posto rilevantissimo nella storia dell’architettura e un nome mondiale, cose a cui ovviamente tiene; e che non vuole certo compromettere con eventuali operazioni discutibili con investitori di periferia. Chi progetta Parigi, Berlino, Osaka, non si compromette con Trento.

Su questo fronte ritengo che si possa essere fiduciosi."

Concordiamo con Ferrari. L’incarico a Renzo Piano (non ancora compiutamente definito, ma dovrebbe esserlo a breve) sposta i problemi in avanti. E positivamente.

Il che non vuol dire che si debba abbassare la guardia. Perdere la scommessa del lungo-fiume (dopo aver storicamente perso tutte quelle relative alle aree di nuova edificazione) sarebbe, proprio perché si è in presenza di un progettista prestigioso, ancor più grave.