Gli scandali (certi) e le riforme (auspicate)
La storia di come Margherita Cogo perdeva la seggiola, e a quel punto buttava all'aria le prudenze partitocratiche, e promuoveva un'inchiesta vera. E come la forza delle cose riportava alla luce quello che la partitocrazia aveva sepolto: le riforme.
Si è toccato il fondo? Con i casi dei rotoli di dollari clandestini nelle tasche di un funzionario e delle Audi regionali che sovvenzionano la criminalità dell’Est, è esplosa con drammatica evidenza la crisi della politica locale. Il punto è proprio questo, l’evidenza: nella popolazione è diventato di colpo senso comune la convinzione dell’inutilità, anzi, della dannosità di un’istituzione pur basilare, la Regione. A questo punto diventa più difficile adottare la solita prassi: chiacchierare tanto, far passare il tempo e andare avanti come prima.
Difficile, ma non impossibile: le forze che hanno impedito ogni riforma in questi ultimi anni sono ora silenti, ma non rassegnate; e sempre presente è la fatale inconcludenza dell’attuale fragile sistema politico.
Vediamo allora come si evolvono le cose sui due fronti: quello di un minimo di pulizia e quello di una riforma di fondo.
Sul primo fronte si è mossa, con la decisione di un caterpillar, la presidente Margherita Cogo. Le sue prime mosse erano state disastrose: forse per l’ansia di separare la propria sorte da quella dei suoi assessori Grandi e Atz, aveva a più riprese dichiarato di non essere stata a conoscenza dell’arresto di Davide Zaffi per tutta la giornata del 28 novembre (quella in cui Zaffi in cella si aspettava da Trento un pronto intervento della Regione). Una bugia dalle gambe corte. La Cogo, prima di coinvolgere la Regione in una storia che appariva oscura, aveva aspettato di avere da Mosca qualche lume in più. Atteggiamento più che comprensibile; che però la Presidente non aveva avuto il coraggio di sostenere, di fronte alle accorate denunce di Zaffi ritornato a Trento ("Perché avete tardato? Perché mi avete lasciato marcire in cella?"). Anzi, la Cogo non solo si era chiamata fuori ("Io non sapevo niente") ma aveva attaccato ("Perché Grandi non mi ha detto dell’arresto?"). Il che era troppo: la Presidente veniva sbugiardata, e finiva delegittimata al pari dei suoi due assessori, "Basta con Cogo, Atz e Grandi: si dimettano!" - diventava non solo lo slogan delle opposizioni, ma il convincimento della pubblica opinione.
Era a questo punto che, perso per perso, Margherita Cogo buttava all’aria le prudenze partitocratiche. "La signora vuol far credere di pulire il Palazzo" - commenta sarcastico l’ineffabile Roland Atz.
In effetti la Cogo va giù di brutto, cominciando con il ribaltare la commissione interna, incaricata di indagare sui casi di Mosca e Budapest. L’apparato di palazzo ci aveva piazzato gli uomini "giusti", legati ai due assessori Grandi e Atz, così che non ci fossero sorprese. La Cogo interviene, e depenna i nomi di Günther Hofer (dell’assessorato di Atz, anch’egli uso a girare con i soldi in contanti), di Fulvio Andreatta (ragioniere, arrivato al ruolo di dirigente del personale - che prevederebbe un laureato - grazie all’appoggio di Grandi; e firmatario dell’ok alla trasferta di Zaffi) e Adriano Paoli (già capogabinetto di Grandi). E li sostituisce con il dott. Giuseppe Negri, un legale dell’Avvocatura dello Stato, e con la dott.sa Antonia Tassinari (dirigente dell’Ufficio Affari Generali), invisa quest’ultima alla coppia Grandi e Atz perché ripetutamente (assieme all’avv. Edith Engl dell’ufficio Ragioneria, anch’ella in commissione) aveva tentato di opporsi all’andazzo lassista instaurato in Regione.
Con questa nuova composizione, la commissione è una cosa seria. E subito mette in gravi difficoltà Davide Zaffi; il quale, oltre al reato valutario riscontrato dai russi, si trova nelle peste perché - fino al momento in cui scriviamo - non ha presentato, nonostante uno specifico ordine scritto della Cogo, fatture bastanti a giustificare le spese effettuate con i dollari mancanti.
La commissione intende finire celermente i lavori sul caso Zaffi, forse prima di Natale. E probabilmente porrà le premesse sia per provvedimenti interni, sia per un successivo interessamento della magistratura. E se venisse confermata la mancata copertura delle spese attraverso fatture (peraltro notoriamente di facile reperibilità nei paesi dell’Est) si aprirebbe un capitolo più vasto: perché mai Zaffi, che non è debole di mente, ritornava a Trento senza fatture? E’ questa una prassi consolidata, quando i funzionari se ne vanno all’estero ("dove non funzionano le carte di credito" - hanno tentato di convincerci) con in tasca i milioni in contanti?
Il secondo versante su cui si impegnava la "signora che vuol fare pulizia" era quello dei regolamenti. La Cogo, visto l’andazzo, aveva già a suo tempo tentato, assieme all’assessore alla Trasparenza Alessandra Zendron, di regolamentare le spese allegre. La dura opposizione degli assessori interessati, l’indifferenza delle forze politiche (quando non peggio: non è illegittimo il sospetto che l’incredibile vaghezza dei regolamenti della Regione sia finalizzata anche a una qualche forma di finanziamento surrettizio dei partiti) l’aveva condotta a più miti consigli.
Ma ora, con la seggiola ormai sfilata, decideva di agire. E presentava dei regolamenti per bonificare sia la cuccagna dei viaggi all’estero, sia l’allegra concessione di contributi.
L’importanza di questi regolamenti non è stata appieno capita. In realtà essi incidono nel profondo sull’essenza reale - non quella declamata - della Regione, in quanto, se applicati, spezzano il rapporto contributi=voti, fondamentale nell’impianto clientelare. Infatti prevedono tre punti chiave: il divieto dei contributi ex-post, erogati in sanatoria, dopo che la manifestazione (o il convegno, o la pubblicazione) ha avuto luogo; la pubblicità dei criteri con cui vengono effettuate le erogazioni; e soprattutto affidano agli assessori il potere di decidere le linee guida, ma gli tolgono quello di decidere a chi assegnare i soldi: a stabilirlo sarà invece una commissione di esterni. Insomma viene reciso il rapporto, diretto e discrezionale, tra l’assessore e il contributo.
La cosa faceva imbufalire Roland Atz, che sulla discrezionalità dei contributi ha fondato le sue fortune politiche, e non solo i suoi peraltro discutibilissimi rapporti con le minoranze tedesche in giro per l’Europa, magari filonaziste; e incontrava l’opposizione dura della Svp, che ha l’esigenza di tenersi buona, isolandola nel ghetto regionale, l’estrema destra di Atz e Pahl; e che d’altronde non ha mai disdegnato i facili flussi di soldi regionali. I trentini invece, annichiliti dalle reazioni al caso Zaffi, se ne stavano zitti e muti.
La Cogo andava avanti, e presentava i regolamenti in Giunta: Atz strepitava, e assieme all’altro assessore dell’Svp votava contro; Grandi votava a favore. I regolamenti passavano a maggioranza. La Svp protestava, ma si guardava bene dall’aprire su questo terreno una crisi. Atz rimaneva solo a minacciare fuoco e fiamme.
regolamenti però non bastano – ci dice la stessa Cogo – Il problema vero è la ‘missione’ dell’istituzione, che ha troppi soldi per le pochissime competenze che le sono rimaste".
IE così arriviamo al problema della riforma. Quello più generale delle riforme istituzionali è il tema su cui in questi anni abbiamo visto una serie infinita di balletti: proposte, controproposte, veti, litigi, ma alla fine hanno vinto sempre, dicesi sempre, coloro che volevano che nulla cambiasse. Dalla Regione ai comprensori, non c’è stata alcuna legge di riforma. L’unica riforma, quella delle elezioni provinciali, la si è avuta in quanto, dopo dura battaglia, i deputati del centro-sinistra hanno ottenuto che anche in Trentino, provvisoriamente, fosse valida la legge in vigore nelle altre regioni. Un grande passo avanti nella pratica, anche se un’ulteriore certificazione dell’impotenza dell’Autonomia; e per di più ottenuta a Roma: a Trento non si sarebbe combinato nulla.
Lo stallo era così evidente, la situazione talmente incancrenita, che anche le formazioni che si vorrebbero "riformiste" e che su questo hanno preso i voti, snobbavano il problema. E quando la Cogo presentava in giunta regionale un’ipotesi di riforma, anche il suo partito rimaneva molto freddo: "Non creare casini con gli altri partiti su questa storia delle riforme, che ormai…"
Ora invece la forza delle cose, nella fattispecie lo scandalo di Mosca e Budapest, ha riproposto con violenza il problema.
E così ha subito trovato vasti consensi la proposta dei due maggiori esponenti dell’associazione "Costruire Comunità", Walter Micheli e Vincenzo Passerini, di istituire una commissione del Consiglio regionale (composta da 9 consiglieri più due esperti esterni) che elabori un progetto di riforma della Regione e lo consegni all’approvazione del Consiglio regionale e delle due Province autonome.
Su questo improvviso consenso si è inserita la Cogo, (appoggiata da un intervento dell’on. Kessler) la quale ha ricordato che giace in Consiglio, e addirittura messa all’ordine del giorno, una sua analoga proposta di commissione, frutto di mesi di estenuanti trattative con i vari partiti, e poi posta da tutti in disparte: basta volerla discutere, emendarla per la parte che si volesse cambiare (prevede non nove ma ventisette membri, e nessun esterno) e approvarla.
In realtà tra le proposte – quella di Cogo e quella di Passerini-Micheli – le differenze sono meramente tecniche (ne parla più diffusamente Michele Guarda nel box sottostante). Se si vuole andare avanti, la soluzione la si trova subito. Se non si vuole, si inizia l’ennesimo balletto, con millanta disquisizioni, distinguo, nuove proposte. (In questo numero, a pag. 7, riportiamo le posizioni di alcuni esponenti politici.)
Come dicevamo, Zaffi e Atz hanno inconsapevolmente fornito una chance all’Autonomia di riformarsi. Vedremo se sarà in grado di approfittarne.