Caso Taormina: la pentola senza coperchio
Berlusconi e i suoi fanno le prove generali di regime; ma hanno dimenticato alcune cose...
Quando un imputato è innocente, o si ritiene tale, fa di tutto perché il processo sia rapido e la sua difesa punta esclusivamente a dimostrarne la non colpevolezza. Silvio Berlusconi invece e la nidiata di gentiluomini che lo circonda nelle varie vicende giudiziarie, pur proclamando la propria innocenza, magari giurando sulla testa dei figli, hanno adottato una strategia difensiva opposta: essa è diretta non già alla dimostrazione di non aver commesso il reato, ma piuttosto al rinvio delle udienze e al rallentamento del processo così da arrivare alla prescrizione per decorrenza dei termini. Processi non rapidi ma lunghissimi, in contrasto con l’art. 111 della Costituzione che per il "giusto processo" prescrive una durata ragionevole.
Poiché la tattica dilatoria in istruttoria e al dibattimento non era sufficiente da sola a raggiungere sempre la prescrizione, appena vinte le elezioni gli avvocati dì Berlusconi, divenuti parlamentari di Forza Italia, riuscirono a far approvare da maggioranze blindate per i reati imputati a Berlusconi, a Previti, a Squillante e soci, norme specifiche che accorciano ulteriormente la prescrizione.
Per il falso in bilancio, per esempio, è bastato con un emendamento in apparenza innocuo diminuire di poco la pena prevista, portandola da 5 a 4 anni di reclusione, per dimezzare i termini della prescrizione riducendoli da 15 a 7 anni e mezzo.
Questa strategia basata sul rinvio delle udienze e sulle norme della nuova legge sul falso in bilancio ha avuto successo almeno per Berlusconi: il quale non ha rinunciato alla prescrizione (come avrebbe dovuto fare se innocente) ed è stato prosciolto, pur sussistendo il fatto reato, solo per decorrenza dei termini e in virtù della concessione (miracolosa) delle attenuanti generiche. Restava il grosso ostacolo (non l’unico, per la verità) del processo per corruzione in atti giudiziali: compravendita di sentenze, avvocati e giudici sul libro paga di Berlusconi. Quest’ultimo se l’è cavata, sempre per prescrizione, grazie ad un brillante escamotage dei suoi avvocati, che riuscirono a dimostrare che il fatto-reato compiuto da Berlusconi era avvenuto in un tempo in cui non esisteva la previsione della "corruzione in atti giudiziali", ma solo quella di corruzione semplice che prevede una prescrizione dimezzata.
Ciò non valeva però per i coimputati Previti, Squillante, Verde e altri che avevano maturato la fattispecie delittuosa in tempi successivi, e che erano "schiacciati" dai documenti bancari ottenuti per rogatoria dalla Svizzera. Non restava che far approvare a tamburo battente dalla solita maggioranza blindata di centro-destra una nuova legge sulle rogatorie che complicasse l’iter burocratico e introducesse il concetto di inutilizzabilità anche per vizi formali dei documenti ricevuti dalla Svizzera o da altri paesi aderenti alla Convenzione europea del 1959 in materia di assistenza giudiziaria fra Stati sovrani.
E’ nata così, nonostante l’opposizione del centro-sinistra, la infausta legge 3 ottobre 2001 n° 367 che introduce importanti modifiche al codice di procedura penale e prevede fra l’altro che i documenti ricevuti per rogatoria privi su ogni pagina del "visto di conformità" non possano essere utilizzati e cadano nel nulla insieme ai testimoni che potrebbero attestarne l’autenticità e il contenuto.
Nell’intenzione degli avvocati difensori del clan berlusconiano, che ne avevano preparato la stesura in qualità di parlamentari neo eletti, questa legge avrebbe dovuto essere la linea Sigfrido, un ostacolo assolutamente insormontabile per l’accusa: annichiliti i documenti che contengono le prove e ammutoliti i testimoni che possono garantirne la veridicità, la strada verso la condanna sarebbe stata sbarrata per sempre. Ma non è stato così, almeno per ora. Un vecchio proverbio dice che il diavolo insegna a fare le pentole ma non i coperchi. Gli avvocati divenuti onorevoli, certamente bravissimi, principi del Foro in diritto penale e in procedura penale, nel confezionare la legge si sono dimenticati di un piccolo particolare: per quanto riguarda le rogatorie, e in genere i rapporti giurisdizionali fra Stati, il Diritto internazionale e le Convenzioni tra le parti, così come la prassi consolidata nel corso degli anni, hanno la prevalenza sul diritto interno di ogni singolo Stato.
Lo diceva il titolo del vecchio art. 696 CPP, e lo dice esplicitamente anche il nuovo 696 modificato dalla legge 367/2001. Il punto è stato subito individuato da diversi tribunali, che con motivazioni intelligenti hanno respinto le eccezioni di inutilizzabilità dei documenti rogati, o hanno rimesso la questione al giudizio della Corte Costituzionale (vedi Tribunale di Roma, sez. 6 penale, ordinanza 7 novembre 2001; Tribunale di Milano, 2 sez. penale, ordinanza 12 novembre 2001).
Di particolare interesse è l’ordinanza del tribunale di Milano, 6 sez. penale, del 21 novembre 2001 nel processo IMI-SIR, che ha scatenato le ire di Taormina e di Previti. L’ordinanza compie un nuovo esame e una valutazione completa della materia alla luce del Diritto internazionale, delle Convenzioni in materia e della recente legge 367/2001. La questione è molto tecnica e riporto quelle parti dell’ordinanza che possono interessare i lettori.
Il Tribunale di Milano osserva innanzi tutto che le eccezioni della difesa non riguardano la veridicità dei documenti (che non è contestata), ma la mancanza puramente formale del timbro di conformità su ogni foglio. Dopo aver ribadito la prevalenza del Diritto internazionale, l’ordinanza osserva che i documenti rogati sono convalidati da una lettera ufficiale di accompagnamento del Procuratore federale della Confederazione svizzera, "che attesta con conseguente assunzione di responsabilità la piena conformità tra ciò che è stato chiesto e ciò che è stato trasmesso". E’ evidente a tutti che la firma del procuratore federale elvetico attribuisce ai documenti un crisma di autenticità ben maggiore di quello di un timbro su ogni foglio, che può essere impresso anche da un semplice fattorino. La prassi instauratasi fra tutti gli Stati firmatari della Convenzione è conforme al principio ricordato.
L’ordinanza riporta quanto scritto in proposito dall’Ufficio Federale di Giustizia della Confederazione elvetica: "Le rogatorie in corso sono state trasmesse in Italia nell’identica forma con la quale vengono trasmessi gli atti dalla Svizzera agli altri Paesi e viceversa". Principio, questo, costantemente confermato dalla nostra Cassazione: "Non è ammissibile che il testo di un accordo internazionale abbia in uno Stato valore ed effetti diversi da quelli che ha negli altri Stati partecipi dell’accordo".
L’ordinanza non manca di rilevare che i frettolosi redattori della nuova legge si erano dimenticati di una vecchia convenzione bilaterale italo-svizzera, quella del 22 luglio 1868, mai abrogata e quindi tuttora in vigore, che in materia di rogatorie stabilisce che "gli atti devono ricevere esecuzione su carta non timbrata".
Se ciò era ragionevole oltre un secolo fa, tanto più lo è ora quando per le comunicazioni in tempo reale si usa il fax o l’è mail, e la documentazione bancaria si trova solo su computer. Sulla base di queste e altre considerazioni, il Tribunale ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità dei documenti rogati. Il processo dunque va avanti.
Le reazioni scomposte del prof. Taormina e dell’avv. Previti rivelano la stizza per questo insuccesso, la delusione e la preoccupazione per la sorte degli imputati. Quando però si arriva a chiedere impunemente l’arresto dei giudici per una decisione non gradita, la folle minaccia rivela anche il proposito da tempo perseguito di spaventare i giudici, di mettergli il bavaglio e di sottomettere tutta la magistratura, anche quella giudicante, al volere del potere esecutivo. I potenti non si devono toccare! Questo è il leit motiv.
E’ quasi una prova d’orchestra, l’inizio di un regime, nonostante i severi moniti del Presidente della Repubblica finora rimasti inascoltati.