Presidente Cogo, lei dove era?
Dopo gli scandali di Roma e Budapest la Presidente della Regione Margherita Cogo è partita lancia in resta contro tutti, in uno slancio moralizzatore che ha scandalizzato il mondo della politica. Eppure la relazione della commissione d'inchiesta sugli scandali è durissima proprio contro di lei... Un'intervista senza peli sulla lingua alla ex-presidente.
Di fronte agli scandali di Mosca e Budapest, Margherita Cogo, ancora Presidente della Regione, faceva approvare dalla Giunta dei regolamenti rigorosi sui contributi, istituiva una commissione d’indagine interna, chiedeva la testa di Grandi ed Atz, appoggiava la richiesta delle opposizioni di costituire delle commissioni d’inchiesta del Consiglio.
Ma dov’era la Cogo quando la Giunta deliberava sui convegni inconsistenti e sui viaggi allegri? Se la questione morale le stava davvero così a cuore, per quale motivo ha preso le distanze dal malaffare solo dopo che la pentola è stata scoperchiata, dalla dogana russa e dalle conseguenti inchieste giornalistiche?
Queste domande se le sono evidentemente poste anche altri. Nella relazione conclusiva della commissione d’inchiesta presieduta da Antonino Lo Sciuto, consigliere altoatesino di Forza Italia, si offre un giudizio pesantissimo sui tre anni di gestione Cogo, la cui responsabilità per il degrado della Regione, in quanto Presidente, è considerata maggiore di quella dei suoi assessori, Grandi ed Atz compresi.
L’accusa è di quelle pesanti, soprattutto per una sinistra che, già in crisi di credibilità, rischia ora di veder crollare anche la propria differenza sulla questione morale. Per la Cogo, poi, il colpo è micidiale: con quale credibilità può accusare gli altri se anche lei, per tre anni, ha partecipato al banchetto?
Proprio a Margherita Cogo abbiamo allora chiesto di rispondere alle nostre domande.
Alla fine, il giudizio più pesante è caduto proprio su di Lei. Ora non vorrà accampare manovre elettoralistiche da parte delle opposizioni…
Tutt’altro. La relazione della commissione Lo Sciuto fotografa un degrado della Regione assolutamente reale. L’analisi è impietosa, ma quanto mai veritiera. Se quella relazione può contribuire a diffondere la consapevolezza sul fatto che questa Regione è malata, che così com’è non può andare avanti e che dunque va riformata al più presto, allora ben venga quella relazione, anche se a rimetterci, alla fine, fossi proprio io.
Ma Lei, per tre anni, la Regione l’ha presieduta!
Condivido l’analisi della commissione, non il giudizio finale. Se si pensa che la Regione si sia ridotta in questo stato in questi ultimi tre anni, per colpa di due assessori furfanti e di una Presidente sprovveduta o addirittura complice, allora non si è capito dove sta il problema.
E dove starebbe?
Questo degrado noi lo abbiamo ereditato dal passato, proprio io l’ho denunciato per prima e per tre anni ho tentato, ovviamente non da sola, di porvi rimedio.
Non è il solito gioco di scaricare la responsabilità su chi è venuto prima? Che regge se si è alla guida dell’ente da due mesi, non da tre anni.
Non ho dato la colpa alle Giunte precedenti. Tuttavia è un fatto incontestabile che questo degrado perdura da decenni. La stragrande maggioranza dei dipendenti della Regione non ha mai fatto un concorso pubblico: mica sono stati tutti assunti in questi tre anni! I regolamenti sui contributi mancano da sempre, non è che prima c’erano e poi la mia Giunta li ha aboliti! I viaggi all’estero con valigette di soldi in contanti, per partecipare ad incontri di dubbia utilità, erano un costume in voga ben prima che in Regione arrivassi io! Potrei continuare. Questo significa forse che tutte le Giunte degli ultimi decenni erano formate da disonesti? Se così fosse, bisognerebbe liberare la Regione dal malocchio, la qual cosa non mi compete. Ed invece, il degrado di quell’ente deriva dal suo assetto istituzionale, non dalla presunta disonestà di chi l’ha governato.
Vale a dire?
Dal 1972 la Regione è un ente di fatto senza competenze. Da allora, le forze politiche hanno concentrato le loro attenzioni esclusivamente sulle Province, poiché quelli sono gli enti che contano davvero per i cittadini. Se non fosse per il fatto che, di recente, la Regione è divenuta uno snodo cruciale per le riforme istituzionali, che peraltro paiono interessare quasi solo ai Ds, nessun politico aspirerebbe mai ad avere un incarico in Regione. Lo si accetta in mancanza d’altro, perché girare con l’auto blu, distribuire contributi ed essere a capo di un po’ di personale, oltreché percepire un’indennità maggiore, è pur sempre meglio di niente. La Regione ha finito così per essere considerata dai partiti come un ente di sottogoverno. Proprio il Suo giornale ha affermato di recente che la Regione è la pattumiera della partitocrazia provinciale.
Forse, è la verità…
Già, ma se l’assetto istituzionale è questo non ci si può far nulla: sacrificare la Regione sull’altare delle Province può anche essere considerato dai partiti, in mancanza di alternative, una scelta responsabile, per quanto indigesta. Il risultato finale, però, è che quando un ente è dimenticato e lasciato a se stesso per troppo tempo, non può che degenerare.
Non è che che lei dà la colpa al sistema per nascondere le magagne?
No: se il problema è l’assetto istituzionale, allora il dovere del politico è quello di riformarlo. È su questo aspetto, ben più che sui singoli episodi, che chi fa politica andrebbe giudicato.
Insomma... Non basta dire che ci si è battuti per la riforma dello Statuto, per giustificare di aver avallato il malgoverno.
Avallato un corno! Intanto, a denunciare questo degrado sono rimasta per lungo tempo da sola, spesso accusata di gettare fango sull’Autonomia. Quanto oggi sta scritto nella relazione Lo Sciuto l’avevo pronunciato, evidentemente con la cautela imposta dal momento, addirittura nelle mie prime dichiarazioni programmatiche del 1999. Ed il campanello d’allarme l’ho suonato sino all’ultimo, quando, appena prima di dimettermi, ho mandato ai giornali un intervento nel quale dicevo che la Regione è un ente a rischio di malcostume.
Le dichiarazioni non bastano.
Mi si può accusare di non aver fatto abbastanza per cambiare le cose, di non esserci riuscita, e anche di aver compiuto degli errori, ma non mi si può dire che non ci ho provato. Né si può affermare che tutto è rimasto come prima. Sul personale, era dal ‘92 che la Regione doveva recepire la privatizzazione del rapporto di lavoro: per approvare quella legge dovetti ignorare i veti della Svp, col risultato di finire sfiduciata. Sui contributi, già all’inizio del mandato avevo portato in Giunta una proposta di regolamentazione, che fu respinta, salvo approvarla, ancora senza la Svp, solo dopo lo scoppio dei recenti scandali e cancellarla di nuovo, oggi, non appena me ne sono andata. Sulla trasparenza, quando fui eletta Presidente le delibere della Giunta non erano neppure esposte all’albo, mentre oggi, grazie alla Zendron e dopo una durissima battaglia, sono addirittura consultabili via Internet. Potrei poi citare le battaglie sulle auto, sui finanziamenti alla Fuev, su certe operazioni immobiliari poco chiare, fino alle minutaglie sull’uso scorretto dei telefonini o su pretestuosi viaggi di studio di certi dipendenti ben protetti dal politico di turno. Per tre anni, dentro quella Giunta, si è consumato uno scontro quotidiano sulla questione morale, solo che la stampa ne faceva cronaca rosa, dipingendo il tutto come incompatibilità caratteriali, mentre la maggioranza appariva perlopiù infastidita, temendo una rottura delle alleanze o ripercussioni sugli equilibri provinciali.
Chi prenderà il mio posto erediterà, comunque, una Regione migliore di quella che ho trovato io. Dalla prossima legislatura, poi, grazie alla norma transitoria – a sostenere la quale, in Regione, Ds e Verdi si trovarono soli, nemmeno compatti – quantomeno il problema della pattumiera, come dite voi di QT, dovrebbe essere in parte superato: le maggioranze provinciali non saranno più in pericolo.
Però le delibere su Mosca e Budapest le ha votate anche lei..
Se un assessore propone una delibera, la cui legittimità è stata verificata dai dirigenti e se v’è la copertura finanziaria, ebbene, o qualcuno mi mette in guardia prima che la delibera arrivi in Giunta, o altrimenti bocciarla significa aprire un caso politico. Ne abbiamo aperti in continuazione, ma non si può far parte di una Giunta approvando soltanto le proprie proposte e votando sempre contro quelle degli altri, perché non ci si fida a priori.
Già, ma vigilare era suo compito, proprio in quanto Presidente. C’è chi dice che, in realtà, Lei abbia chiuso un occhio per aver mano libera sulle cose sue. I calendari di Messner, ad esempio: ne ha fatti comprare dalla Regione in quantità e poi sono rimasti a prender polvere.
L’acquisto di quei calendari rientra nelle normali spese di rappresentanza. Sono oggetti belli, di qualità. E alla fine sono stati distribuiti, sebbene un po’ in ritardo. Ammetto tuttavia che quell’acquisto può essere stato inopportuno, visto che Messner è anche un europarlamentare. Ma dove sta il dolo? Che tornaconto avrei avuto? Errori ne ho fatti, ma non assecondiamo chi vuole solo sviare l’attenzione dal problema vero, che è quello dell’intero sistema che non funziona e che va riformato. Se in Regione certi comportamenti sono possibili, è perché ci sono leggi e regolamenti troppo vaghi, che lasciano eccessiva discrezionalità agli assessori, con tutti i rischi che ciò può comportare. Per risolvere il problema alla radice, più che fare i poliziotti bisogna cambiare quelle leggi e quei regolamenti, come in parte siamo riusciti a fare, o meglio ancora estinguere quei capitoli di bilancio attraverso la loro delega alle Province, risultato che avremmo raggiunto se il Consiglio non si fosse incartato.
Tutto bene quindi?.
Non andava bene per niente, sono stati tre anni di stillicidio. Ho assunto l’incarico di Presidente della Regione per due obiettivi sostanziali: assicurare l’approvazione della riforma elettorale ed avviare la discussione sulla riforma della Regione. Il primo obiettivo è andato in porto. Sul secondo, nonostante tutto, va preso atto che oggi tutti concordano sulla necessità di una riforma, con posizioni molto più vicine di quanto non fossero tre anni fa. Paradossalmente, anche gli scandali sono serviti per fare in modo che si prendesse atto dell’urgenza della riforma della Regione. Se alla fine mi sono dimessa, è perché ho preso atto che quella Giunta era ormai diventata un ostacolo per le riforme, più che lo strumento attraverso il quale realizzarle. Con le mie dimissioni ho voluto dare, su questo argomento, una sveglia alla coalizione cui appartengo. Inoltre, ritengo che un Presidente rispettoso delle istituzioni, di fronte a quanto accaduto, dovesse dimettersi. L’ho fatto. Da sola.
Chiedo mi si riconosca almeno questo.